Dopo le lettere e le proteste, sulla nuova normativa tecnica dell’UCI è sceso il silenzio, ma non sono spariti i punti di domanda e neppure l’indignazione (in apertura il presidente Lappartient). Si ottiene così la vera sicurezza? E’ confermata l’entrata in vigore per il 2026? Si parla della limitazione all’altezza del cerchio. La larghezza del manubrio. Il limite allo sviluppo metrico dei rapporti, per cui chi ha il 10 deve metterci una vite per impedire alla catena si scendere. I GPS sulle bici e la squalifica delle squadre che non si sono piegate a regole inesistenti e non condivise. Al di là delle implicazioni industriali e della noncuranza con cui le regole sono state diffuse e imposte, restano la perplessità sulla competenza di chi le ha pensate e il silenzio di chi avrebbe potuto quantomeno aprire il dibattito e ha preferito restare in silenzio.
E’ mai possibile che Gaia Realini e Jonathan Milan debbano sottostare alla stessa regola per la larghezza de manubrio? Perché si è disposta la serie delle misure per le bici da crono basandosi sulla statura degli atleti e non si è fatto lo stesso per i manubri? E soprattutto qual è stato il reale coinvolgimento delle parti coinvolte?


La bandiera della sicurezza
La bandiera della sicurezza sta diventando il nuovo strumento di potere, solo che questa volta la sventolano in tanti. L’UCI si è mossa sul fronte dei materiali e delle regole di gara, imponendo multe per il gregario che esulta, ma non dicendo nulla sui percorsi borderline che mettono a repentaglio la salute stessa degli atleti. Sul fronte interno si organizzano convegni con gli stessi attori di sempre, che difficilmente porteranno a qualcosa, e contestualmente si viene a sapere che il presidente Pella ha depositato una proposta di legge, facendola scrivere – così ha spiegato – agli ex corridori che ha coinvolto nella Lega del ciclismo professionistico.
In entrambi i casi manca completamente la condivisione. E se è vero che a proporre una legge può essere soltanto un parlamentare, sarebbe stato e sarebbe ancora auspicabile che la stessa fosse scritta dagli attori che da anni si battono – con esiti incerti – per il tema sicurezza. La capacità di aggregare e prendere il buono dalle proposte altrui è quello che potrebbe fare la differenza.


Il fronte spaccato
Dalla Toscana, è rimbalzata la notizia che Neri Sottoli e il Comitato regionale della FCI hanno portato in Italia i dispositivi di sicurezza Boplan. Nel resto nelle gare giovanili si continua invece a inciampare e cadere sui piedini delle transenne che sporgono di 15 centimetri.
Quello che dal nostro modesto punto di osservazione facciamo fatica a capire è se l’obiettivo sia davvero la sicurezza o ottenere il primato di aver raggiunto per primi un risultato. Nel convegno che si è tenuto giovedì scorso alla vigilia dell’Italian Bike Festival si sono ritrovati attorno a un tavolo attori che non hanno mai condiviso molto e hanno continuato a ribadirlo, col sorriso ma senza arretrare di un metro.
Mentre Paola Gianotti rivendicava la legge sul metro e mezzo, le bike lane e i cartelli all’ingresso dei comuni, l’avvocato Santilli si è affrettato a dire che la sua utilità sia prossima allo zero. Allo stesso modo si è preso atto che le modifiche auspicate del Codice della strada non siano servite a migliorare le cose, né sul piano della circolazione né su quello delle dotazioni tecniche previste per le bici. E mentre si diceva che la politica non riesce a recepire le istanze del ciclismo, l’onorevole Pella ribadiva che non è vero, che Salvini e Piantedosi sono sensibili al tema e che comunque una legge intanto l’ha presentata lui.


Nessuna reazione
Riassumendo. Facendo leva sulla scarsa partecipazione – indotta o colpevole – si va riformando il ciclismo stabilendo arbitrariamente norme e criteri non sempre condivisi. Chi è stato escluso giustamente protesta. Le cose non cambiano. E sulle strade e a volte nelle corse si continua a morire. Il bello è che nessuno si arrabbia davvero. Si subiscono leggi e gabelle senza mettersi di traverso, come si subirono squalifiche e angherie senza il minimo cenno di protesta.
Nella Formula Uno cambiano regole su regole: impongono marca e misura delle gomme, delle centraline elettroniche, il tipo di motore e la sua potenza, ma lo fanno con il dovuto anticipo. Nel tennis si oppongono ai verdetti dell’antidoping tutelando i loro atleti (non serve neppure fare nomi). Nel ciclismo non si arriva neppure a pensarlo. Nel ciclismo si punta a farsi dire grazie, probabilmente, per avere un’altra leva da tirare.