Healy ha la faccia da furetto e quando sorride fa grande simpatia. Poi sarà per i capelli smossi e lo sguardo che a volte sembra da matto, gli hanno costruito addosso la fama dell’anarchico: difficile da imbrigliare e vittima del suo stesso estro. Oggi ha portato via la prima fuga a 178 chilometri dall’arrivo e poi se ne è andato da solo quando ne mancavano 40. Sul traguardo di Vire Normandie, il piccolo britannico che dal 2016 corre con licenza irlandese, è arrivato con 2’44” su Simmons. Più che il suo estro, oggi gli avversari non sono riusciti a imbrigliare lui.
Servono nuovamente le parole di Charly Wegelius che lo ha guidato verso la vittoria per far capire che quell’immagine scarmigliata e disordinata è sbagliata. Anche di fronte a un’impresa così estemporanea, che tanto estemporanea (vedremo) non è stata.
«Abbiamo parlato di una mossa del genere – racconta il tecnico britannico – sul pullman questa mattina. Conosciamo le caratteristiche dei nostri atleti e pensiamo sempre al modo migliore per sfruttarle. Ma tra pianificare una cosa del genere e farlo, c’è di mezzo il mare. Sono cose toste. Questo ragazzo ha alcuni punti in suo favore. Il primo è il suo cervello, perché riflette molto sulle cose che fa. Il secondo è che è molto aerodinamico. E poi ha una resistenza bestiale alla fatica. Ma di certo non è anarchico. Certo ha fantasia, però studia quello che fa e si muove sempre con un motivo. La conseguenza è spesso molto bella da vedere».


Ripagare la squadra
Di certo sorride tanto Ben Healy ed è come se oggi fosse uno di quei pochi giorni in cui abbia davvero voglia di mostrare quello che ha dentro. Come quando nel 2023 vinse la tappa di Fossombrone al Giro d’Italia e apparve raggiante come non l’avevamo mai visto prima. Parla da vincitore e da leader, da uno che sa dire grazie.
«E’ semplicemente incredibile – risponde Healy – è successo quello per cui ho lavorato non solo quest’anno, ma da quando ho iniziato a fare il corridore. E non io da solo, parlo di ore e ore di duro lavoro da parte di così tante persone e questa vittoria è il modo migliore per ripagarle. I passi avanti degli ultimi tempi sono stati una vera e propria rivelazione e questo mi ha davvero fatto credere che sarei potuto diventare un corridore per risultati importanti. Mi sono messo sotto. Ho lavorato duramente. Ho cercato di perfezionare anche il mio stile di gara. Poi ho guardato anche un sacco di filmati di gara e questo oggi ha dato i suoi frutti».




Un colpo a sorpresa
Decisamente tanto studio e tanto cervello: mai giudicare (superficialmente) qualcuno dal suo aspetto. Quando 9’30” dopo di lui passano sul traguardo appaiati Powless, Baudin e Sweeney, che hanno saputo della sua vittoria dalla radio, le loro braccia si alzano al cielo all’unisono. Healy è ancora in strada e li aspetta. Fra l’emozione, la stanchezza e la necessità di riprendere fiato, quel tempo non gli è parso neppure così lungo.
«La tappa ha avuto un inizio pazzesco – racconta ancora Healy – un ritmo altissimo dall’inizio alla fine e io mi sono acceso subito. Forse ho passato un po’ troppo tempo e tante energie per cercare di entrare nella fuga, ma penso che sia solo il modo in cui sono capace di farlo. Una volta che ci sono riuscito, abbiamo dovuto davvero lavorare per avere il vantaggio giusto, quindi è stato un giorno davvero impegnativo. E intanto pensavo. Sapevo che dovevo avvantaggiarmi e scegliere il mio momento. E penso di aver calcolato bene i tempi e di averli colti di sorpresa. A quel punto, ho capito cosa dovevo fare. Da solo, a testa bassa e fare del mio meglio fino al traguardo. C’era l’altimetria perfetta: era una tappa che avevo cerchiato sin dall’inizio. Sono cresciuto guardando il Tour e ho sempre desiderato di farne parte. Ed è vero che ho solo vinto una tappa, ma esserci riuscito è davvero così incredibile…».


I calcoli di Pogacar
Lo portano via perché sta arrivando Pogacar. E a chi si chiedeva se quest’ultimo strappo sarebbe servito ad accendere la miccia fra i primi della classifica, la risposta arriva puntuale come il forcing della Visma-Lease a Bike e la risposta della maglia gialla. Vingegaard è arrivato con lui, ma ne ha subìto il passo. Su questi strappi non c’è storia, vedremo sulle salite più lunghe. Oggi semmai era lecito aspettarsi Evenepoel, su strade simili alla Liegi. Invece Remco è rimasto buono nella scia, mentre sotto il cielo del Tour si è sparsa la voce del suo (probabile) prossimo passaggio alla Red Bull-Bora. La maglia gialla se la riprende Van der Poel, che in fuga ha faticato ben più di quello che si aspettava e quel primato così fragile (un secondo su Pogacar, ndr) sarà più un sollievo per il campione del mondo che un vanto per l’olandese.
«Pensavamo che avrebbero provato – dice Pogacar sorridente – non so a cosa sarebbe servito, ma sono andati forte e ci siamo limitati a seguire. Le prime due ore sono state velocissime e fortunatamente siamo sopravvissuti. A quel punto abbiamo pensato se valesse la pena correre per la tappa, ma abbiamo deciso di non sparare colpi a vuoto e abbiamo fatto il nostro passo. Forse la Visma ha accelerato per impedirmi di perdere la maglia gialla, ma alla fine l’ho persa per un solo secondo, perché comunque la fuga davanti ha fatto davvero un lavoro straordinario. Tutto merito loro. Non mi dispiace avere la maglia gialla, ma come ho detto, l’obiettivo per oggi era di spendere il meno possibile, mentre domani è un altro buon traguardo per me. Però attenti, abbiamo ancora bisogno di un po’ di gambe per la seconda e la terza settimana. Quindi il lavoro di oggi va considerato positivo soprattutto in questa prospettiva».


Roba da mal di testa
C’è tanto calcolo in questo ciclismo spaziale che ha visto svolgersi una tappa di 201,5 chilometri con 2.987 metri di dislivello a 45,767 di media. Il calcolo millimetrico di Healy nel prendere la fuga e poi nel lasciare i compagni con un attacco che unisse potenza e sorpresa. Quello di Van der Poel, stremato sull’asfalto a capo di una giornata che gli ha riportato la maglia gialla, ma forse lo priverà delle gambe per rivincere domani al Mur de Bretagne. Il calcolo di Pogacar, deciso a mollare il primato. E il calcolo di quelli dietro, con il tempo massimo di 52’50” che ha permesso a Milan di arrivare a 29’33”, salvando la gamba e la maglia verde per appena 4 punti. Chi pensa che sia solo un fatto di muscoli e cuore, alla fine di tappe come questa potrebbe aver bisogno di una pillola per curare il mal di testa.