«Le cadute ci sono perché le velocità sono basse», spiazza subito tutti Endrio Leoni. L’ex velocista che se la vedeva con Martinello, Cipollini, Minali, Abdujaparov, e ogni tanto li batteva pure, ha fatto un’analisi tecnica molto interessante di quel che è successo oggi a Dunkerque. La parola d’ordine odierna infatti è stata: paura. Pero fateci aggiungere anche gioia. Gioia per la maglia verde di Jonathan Milan.
Prima la caduta di Jasper Philipsen, che è stato costretto a salutare il Tour de France, poi le cadute in prossimità del traguardo e quell’involata che è stata a dir poco spettacolare. Per la cronaca la tappa è andata a Tim Merlier, che per un paio di centimetri o poco più ha battuto il nostro Jonathan Milan. Questa mattina il gruppo era partito sotto un fortissimo scroscio di pioggia.


Tra pioggia e speranza
Il tempo non prometteva nulla di buono, la temperatura era intorno ai 15 gradi. E l’umore che si respirava in partenza non era dei migliori per tutti. Non è mai facile, infatti, pedalare in queste condizioni. Ma tant’è.
Poteva essere davvero la giornata di Milan. I presupposti c’erano: la tappa era veloce, il finale ideale per lui. Ha un buon treno e oggi lo ha dimostrato, anche se manca ancora qualcosa per perfezionarlo al 100 per cento. E lui stesso ci è parso, come sempre, davvero tranquillo. Un controllo sereno, un vero atleta maturo. Tra l’altro, curiosità non da poco: la sua bici montava una corona da 54 denti.
I meccanici all’inizio non erano stati contentissimi delle foto che gli avevamo fatto, perché la corona, la catena e la trasmissione avevano un trattamento particolare, vista la pioggia, per mantenere la scorrevolezza a lungo. Un trattamento che probabilmente deriva anche dalla pista. E Jonathan è un gigantesco pistard, lo sappiamo.
Tuttavia questa accortezza non è bastata. Ai 1.200 metri il treno della Lidl-Trek era effettivamente corto. Due uomini sono pochi a quelle velocità per scortare Milan fino ai 250 metri, tanto più col vento contro. Tant’è vero che quando Stuyven si è spostato, ha lasciato l’altro compagno al vento, ma la velocità non era alta e gli altri lo hanno rimontato.
«Sono andato vicino alla vittoria, ma non è bastato – ha commentato Milan – Mi dispiace perché i miei compagni hanno fatto un grande lavoro, ma nel finale non è stato facile. C’è stata grande lotta per mantenere le posizioni. Di buono c’è che abbiamo altre opportunità. Chapeau a Merlier che ha fatto un’ottima volata».


Maglia verde
In tutto questo contesto, con la caduta di Philipsen e il secondo posto di Milan, Jonny si è preso la maglia verde. E non è poco, alla prima partecipazione al Tour. Da qui bisogna ripartire e andare avanti.
Tra l’altro, ci crede eccome a questo obiettivo. Uno che ha già conquistato la maglia ciclamino al Giro d’Italia, dove le salite sono anche più pendenti, ha tutte le carte in regola anche per la maglia verde.
«Adesso – ha detto Milan – cercheremo di mantenere questo primato. Per noi è molto importante. E’ un obiettivo sin dall’inizio. Oggi puntavamo alla vittoria di tappa e sono contento in parte, direi 50-50, tra gioia e delusione». Quando si dice il piglio del campione che non si accontenta…
L’ultimo italiano ad indossare questa maglia è stato Petacchi, che poi la portò a Parigi. A Milan serve la ciliegina sulla torta. Ma, come ha detto lui, le occasioni non mancheranno e rispetto ad altri sprinter ha dalla sua una squadra forte e completa.


Parola a Leoni
E dal discorso delle squadre passiamo all’analisi di Leoni: «Le cadute – spiega l’ex sprinter – avvengono perché molti dei corridori coinvolti nelle volate di oggi non sono adatti, non autentici. Si limava anche una volta, forse più di oggi, ma questi incidenti accadono perché le velocità sono più basse. Mancano quei treni che mettevano tutti in fila. Oggi invece ci sono tante squadre, senza veri treni e con corridori poco adatti».
«Sono meno preparati tecnicamente e tatticamente. E anche senza caratteristiche fisiche specifiche. Ai miei tempi nei treni c’era gente che veniva dalla 100 Chilometri. Corridori come Poli, Vanzella… ti tenevano fuori a 55 all’ora per un bel po’. Oggi quegli atleti ci sono, ma sono Pedersen, Van Aert, Van der Poel… che sono capitani. Si va forte è vero, ma anche perché hanno bici che vanno 7-8 chilometri orari più veloci a parità di sforzo».
«Quando oggi si è spostato Stuyven, la velocità è calata e i PicNic-PostNL sono risaliti forti. Milan è quasi dovuto ripartire. Bravo Merlier, che ha vinto da mestierante. Mi ha ricordato me, che dovevo fare un continuo destra-sinistra. E lì spendi tanto. Oggi non puoi farlo, perché fai una volata e sei fuori. Ma Merlier è stato bravo lo stesso. Tatticamente per me è il migliore. Nonostante abbia sbagliato il colpo di reni: lo ha dato troppo tardi altrimenti avrebbe vinto con più margine, molto meglio Milan in tal senso».
Leoni parla poi anche delle altre cadute e di certi fondamentali che mancano. Remco Evenepoel, per esempio, si lascia sfilare all’improvviso al centro del gruppo e probabilmente è lui che indirettamente innesca la caduta ai 4 chilometri dall’arrivo (metro più, metro meno).
«In teoria, per regolamento, quella manovra neanche si potrebbe fare. Ti devi spostare a destra o a sinistra. Perché chi arriva da dietro ti prende. Magari è a testa bassa anche lui. E se non ti prende, frena forte e mette nei guai quelli dietro».
Infine Leoni dà un giudizio su due team poco in vista ma che ci hanno provato. «Non mi sembrano male Uno-X Mobility e i Picnic-PostNL, mi sembrano ben corposi per gli sprint, ma altrettanto non mi sembrano ben gestiti dall’ammiraglia».


Bravo Tim
Infine, non possiamo non chiudere con lui: Tim Merlier, il re di Dunkerque. Ha vinto senza un treno. Quello che avevamo scritto prima del Tour, parlando con Petacchi, si è avverato in parte.
La squadra, la Soudal-Quick Step, è giustamente tutta per Remco e alla fine Merlier aveva un solo uomo. Però è bastato a vincere: lo ha portato, si è mosso nel momento giusto al posto giusto e gli ha consentito di alzare le braccia sul traguardo.
«E’ stata una corsa molto complicata. Era difficile essere in una buona posizione. Abbiamo perso Bart prima dell’ultimo quarto di gara, quindi ho detto alla squadra di fare il loro lavoro fino agli ultimi 5 chilometri. E poi è iniziata la vera corsa. E’ stato davvero difficile trovare la posizione. Negli ultimi due chilometri sono riuscito a recuperare, a riposizionarmi, ed ero costantemente nel vento. E visto che era contrario ho anche speso più energie.
«E’ sempre difficile battere Milan. Sono contento di aver conquistato la mia seconda vittoria al Tour de France. All’inizio ero sicuro, ecco perché ho alzato le mani, ma dopo non lo ero più. Ho aspettato con ansia. Certo, la maglia gialla era l’obiettivo, ma va bene così».