Anche se la carovana del Giro d’Italia è sempre quella e per 21 giorni – in realtà, tra riposi e vigilia si arriva a 28 – viaggia tutta insieme, non sempre ci si incontra tanto è grande e tanti sono gli impegni. E noi Alessandro Verre lo abbiamo finalmente incrociato giusto la mattina di Verres (il gioco di parole è del tutto casuale!).
Un ragazzo che conosciamo da tempo, che abbiamo visto crescere, che abbiamo seguito persino nella più bella nazionale under 23 di Marino Amadori: quella che lottava con Filippo Zana all’Avenir e vinceva il mondiale a Leuven con Baroncini. E così il piacere è stato reciproco.


Quella voce impressionante
E’ stata la stessa voglia di Alessandro Verre di confidarsi. «Quando sono stato male, ragazzi. La mattina di Bormio, sul bus avevo il fiatone solo a prepararmi – raccontava il lucano della Arkéa-B&B Hotels – non riuscivo proprio a respirare. Ho pensato: oggi non la finisco. E quindi che sarei tornato a casa».
Mentre Alessandro parlava ci dirigevamo insieme verso la partenza della tappa. Lui verso il gruppo, noi verso la nostra macchina, entrambi in direzione Sestriere. Parlava, ma la sua voce era quella tipica di chi ha un raffreddore importante, una voce nasale. Non il suo solito timbro. Ecco perché fino a quel momento il lucano si era visto poco in corsa. Aveva fatto più cicli di antibiotici.
Ma da lì a poche ore la sua corsa rosa sarebbe cambiata. Avrebbe preso tutt’altro indirizzo, passando da un Giro “anonimo” – almeno per chi non sapeva – a un Giro da combattente vero.


Verre presente
Verre va in fuga. Sulle salite della 20ª tappa il gruppo si assottiglia fino a scatenare la bagarre definitiva sul Colle delle Finestre. Scappano in due: lui e Harper. Poi l’australiano prenderà il largo. Dietro Wout Van Aert prima e Simon Yates poi riprenderanno tutti i fuggitivi, tranne loro due.
All’arrivo, quel pianto liberatorio e forse anche delle risposte che sono arrivate proprio in extremis. E che vi abbiamo raccontato in presa diretta mentre tutti davano l’assalto a Simon Yates, re del Giro, e a Isaac Del Toro, il grande sconfitto.
«Abbiamo sparato le ultime cartucce – diceva Verre – le ultime energie che c’erano. Anche se non è una vittoria, per me vale come una vittoria. E anche per la squadra: tutti sanno il periodo difficile che stiamo vivendo in Arkea-B&B Hotels». Con grandi probabilità la squadra bretone sarà costretta a chiudere i battenti. Sembra addirittura che il team manager Huber abbia dato il via libera ai suoi corridori in vista del 2026.
«Questa bella prestazione – riprende Verre – perciò va a tutti: alla squadra, alla mia famiglia, ai miei amici. Quel mio pianto era dunque di rabbia».


Una salita durissima
«Prima del Colle delle Finestre mi sentivo benissimo, solo che questa salita non è stata adatta a me.
E non tanto per lo sterrato (Verre viene dalla mtb, ndr) ma perché era davvero troppo lunga. Non sono abituato a salite di un’ora e passa.
Nonostante tutto avevo un po’ di fiducia, ma negli ultimi metri sull’asfalto ho capito che si sarebbe fatto difficile. Ho cercato subito di prendere il ritmo di Harper. Poi, quando ho visto che stavo per andare in crisi, ho cercato di gestire e salire al mio ritmo. Ma in quegli ultimi dieci chilometri la salita era interminabile. Infinita».
Al netto delle difficoltà della Arkéa, Verre sarebbe stato comunque in scadenza di contratto. Pertanto, essersi messo in mostra in una frazione tanto dura e sul palcoscenico del Giro è stato importante. Ma soprattutto quell’azione gli ha dato la fiducia anche per la seconda parte di stagione.



Da Sestriere a Roma
E guarda caso, il giorno dopo lo abbiamo ritrovato in fuga persino nel circuito di Roma, non certo il suo terreno, visto che parliamo di un atleta che sfiora i 60 chili ed è uno scalatore. Ma quando poi la testa si sblocca, anche le gambe si sbloccano… specie se il peggio del raffreddore e degli antibiotici inizia a essere alle spalle. Quel tentativo ci è piaciuto da matti. Una gran bella reazione.
E’ stato come dire: «Io ci sono. Io sono questo, non quello delle tappe precedenti».
«Quello del Sestriere – dice Verre – è stato il mio primo podio tra i professionisti. Se penso che qualche giorno prima volevo andare a casa…».
«La fuga di Roma? E’ stata più per divertimento e anche per confermare quanto avevo fatto il giorno prima. Chiaramente sapevamo che il gruppo non ci avrebbe lasciato troppo spazio, però è andata. Nella riunione sul bus, quasi quasi sono stato io per primo – e poi i miei compagni – a proporla. Ho visto che stavo bene e ci ho provato».
In questi giorni Verre sta proseguendo la sua fase di recupero. Niente bici. Poi inizierà il lavoro verso il Tour de Suisse e il campionato italiano… magari per dare una mano, insieme a Giosuè Epis a Luca Mozzato.