SESTRIERE – Quando ormai tutti, ma proprio tutti i 159 corridori rimasti in gara sono sfilati verso le ammiraglie, ecco che spunta Edoardo Affini. Il gigante della Visma-Lease a Bike ha un sorriso grosso così.
Edoardo è transitato 41’08” dopo il bravissimo Chris Harper e ha perso ulteriore tempo perché si è infilato direttamente nella mixed zone per stritolare con un abbraccio dei suoi Simon Yates. Hanno vinto il Giro d’Italia ed è giusto così.
Lo hanno vinto con una grande azione di squadra. Il ruolo di Wout Van Aert se non decisivo è stato determinante. Che locomotiva, Wout… Alla fine i campioni trovano sempre un modo per farsi vedere, mettersi in mostra e soprattutto per essere nel vivo della corsa. Ma nel vivo della corsa e di questo Giro c’è stato anche Edoardo Affini. Era dal successo sul Lussari di Primoz Roglic che non conquistava un Grande Giro, ma quella era tutta un’altra storia. Era decisamente più attesa quella maglia rosa. E la festa può dunque iniziare.


Edoardo, sei emozionato, ve lo aspettavate?
Aspettavate “ni”, nel senso che io onestamente ci credevo. Se chiedete anche ai massaggiatori, ai ragazzi dello staff, quando parlavamo con i direttori dicevo sempre che Simon doveva crederci, perché continuavo a vederlo bene. Era bello pimpante, forse da un certo punto di vista ci credevamo quasi più noi che lui.
Incredibile, ma ormai anche tu hai una certa esperienza in fatto di grandi capitani…
Anche ieri sera gli ho detto: «Dai Simon, credici. Insisti». E come me anche gli altri. Abbiamo provato a dargli la spinta giusta e poi oggi ecco quel che è successo! Quando in radio ho sentito che cominciava a guadagnare ho detto: «Dai, dai… ma che roba sta succedendo?». Che poi ha vinto il Giro d’Italia sulla salita dove l’aveva perso. Ma lui è tornato per vincerlo. Penso che sia una storia incredibile, una gran bella storia.
Era in programma di mandare in fuga Van Aert? Avevate progettato questa azione?
Sì, ma non in modo forzato, diciamo. Mi spiego: non è che dovesse fare proprio quello che ha fatto, però si è creato un gruppo grosso di attaccanti, volevamo metterci un uomo e Wout è riuscito ad entrarci. Poi chiaramente, per come si è messa la corsa, è venuto fuori un piano perfetto.


Edoardo, come hai vissuto questi chilometri finali?
Li ho sofferti! Perché dopo tre settimane e con queste salite sono abbastanza finito, ma è chiaro che avere quelle notizie dava motivazione.
Cosa ti chiedevano gli altri vicino a te?
Ah – ride – volevano sapere come stava andando. «Ma è finita?». «Come sono messi?». «Cosa è successo?». Io davo un po’ di indicazioni, ma fino a un certo punto, perché poi la distanza cominciava ad essere troppa, quindi anche la radio non si sentiva più bene. Arrivare quassù e vedere tutto quanto… una gioia!


Hai avuto modo di vedere Simon, di fargli i complimenti?
Sì, sì, sono andato nella mixed zone. Stava facendo le interviste, ma me ne sono altamente “sbattuto le balle” (concediamogli questa licenza, ndr) e sono piombato su di lui. Per una cosa del genere non c’è intervista che tenga. Ci siamo abbracciati subito.
E’ una grande soddisfazione anche per chi come te lavora per questi capitani, giusto?
Assolutamente. In queste tre settimane io ho fatto un po’ il suo bodyguard, per le tappe ovviamente più veloci. Per quelle più dure stavo lì finché riuscivo. Poi ero di supporto, ovviamente, anche ad altri corridori della squadra. Però che dire, con Simon abbiamo fatto un ritiro insieme a Tenerife, ad inizio anno siamo stati in camera assieme… Penso che si sia creato un bel legame. E poi, ragazzi, dopo una vittoria del genere… E’ tanta roba.