A Bassano del Grappa, più precisamente a casa della famiglia di Marco e Davide Frigo si può festeggiare visto che i due fratelli hanno trovato la prima vittoria dopo tanto tempo. Il più grande dei due ha fatto sua la terza tappa del Tour of the Alps, mentre Davide ha messo le mani sulla Coppa Montes (in apertura photors.it).
«Ero in macchina di ritorno dal Tour of the Alps – racconta Marco che intanto sta chiudendo le valige in vista del suo terzo Giro d’Italia – insieme a un massaggiatore del team e stavo guardando la diretta della gara su YouTube. Quando ho visto la sparata che ha fatto negli ultimi tre chilometri ho pensato che lo avrebbero rivisto solamente dopo l’arrivo. E’ partito con la gamba piena, una bella azione potente».


Emozione doppia
Marco Frigo ci aveva detto che ai festeggiamenti preferisce il lavoro a testa bassa. La vittoria al Tour of the Alps testimonia che il lavoro fatto fino ad ora è corretto e sprona a seguire la strada intrapresa. Lo stesso pensa del fratello, in famiglia non ci si lascia andare a brindisi e celebrazioni eccessive.
«Devo dire – prosegue Marco Frigo – che mi sono abbastanza emozionato nel vederlo vincere, ero seduto in macchina con la connessione che andava e veniva, quindi non si capiva molto. Da quel che ho visto ha corso bene, sempre davanti e nel vivo dell’azione. Nel finale erano ancora in tanti, mio fratello in volata è come me: fermo. Quindi sapeva di doversi inventare qualcosa ed è stato bravo. Poi a casa appena ci siamo visti c’è stato uno scambio di complimenti e poco altro».


Nemmeno Davide è uno che si lascia andare a esultanze particolari?
No no. Se ci fate caso nella foto sull’arrivo abbiamo la stessa posa.
Hai detto di te stesso di non essere mai stato un vincente, Davide è diverso?
Sta iniziando ad andare forte ora, da quest’anno. Si è sempre ben comportato in gara ma a livello fisico sta ancora maturando e questa cosa nelle categorie giovanili fa la differenza. C’è ancora tanto da crescere e siamo solo ai primi passi.
Quanto vi assomigliate?
Fisicamente tanto. Lui forse è leggermente più basso ma sta ancora crescendo, magari mi raggiunge. Son sincero, più di qualche persona mi ha detto che che rivede in Davide quello che ero io da junior: come posizioni in bici e caratteristiche fisiche. Mi fa piacere perché credo siano anche le qualità richieste dal ciclismo moderno, in cui serve tanta potenza sia in salita che in pianura. Il fatto di essere simili penso sia una questione genetica.




Ha seguito le tue orme anche per iniziare ad andare in bici?
Sicuramente un’influenza, involontaria c’è stata. Io ho mosso le prime pedalate a nove anni, lui ne aveva solamente due e già si trovava a seguirmi alle gare tutte le domeniche. Ovviamente non ho mai spinto perché anche lui praticasse questo sport. Diciamo che come in tutte le famiglie è facile che il fratello piccolo provi lo sport di quello grande.
E gli è piaciuto, visto che ora è al secondo anno junior.
Ovviamente un aspetto che conta molto è quello della passione, soprattutto a diciotto anni. In Davide questo aspetto è cresciuto tanto nell’ultimo periodo. Sapete quando sei adolescente ci sono tante cose che possono distrarti o farti abbandonare uno sport faticoso e che porta a fare dei sacrifici. Solo la passione ti fa stare in bici e credo lui ce l’abbia dentro. Lo vedo che legge, va sui siti specializzati, insomma è interessato.
Pedalate tanto insieme?
Ora che è junior secondo anno qualche volta sì. Anche perché sono io che mi occupo della sua preparazione. Ne abbiamo parlato in famiglia e abbiamo voluto fare così, io sto studiando Scienze Motorie all’università. Per me è un modo per mettere in pratica quanto leggo sui libri e in famiglia sono sereni. Poi l’anno prossimo passerà under 23 e magari le cose cambieranno. Ma per ora lo sport deve essere un divertimento.


Certamente…
Alla fine lo sto trattando come uno junior di cinque o sei anni fa. Come quando lo ero io. Vero che serve impegno ma siamo ancora nel ciclismo giovanile, non ci devono essere esasperazioni. Non è che lo metto a fare gli allenamenti da professionista. Anche nell’alimentazione è molto libero, non ha la bilancia con la quale pesare tutto. Lo tratto com’è giusto che sia, la voglia di diventare professionista deve partire tutto da lui, io non conto niente. Posso dargli il giusto supporto ma decide lui che cammino fare.
Dopo la vittoria cosa gli hai detto?
Che la cosa importante è il processo, deve sentirsi bene in bici ed essere felice perché è andato forte. Gli ho detto che ciò che conta è l’atteggiamento. Se in quell’attacco lo avessero ripreso sulla linea del traguardo sarebbe dovuto essere contento lo stesso. E’ la prestazione che conta, l’idea. Il risultato è una conseguenza di tante variabili e non sempre le possiamo gestire.
Non vediamo l’ora di conoscerlo, ce lo devi presentare…
Lo conoscerete, ma niente titoloni. Promesso?