Il ritorno a casa di Daniele Pontoni dagli europei di Pontevedra non è stato semplice, senza un filo di voce. Verrebbe da pensare che l’abbia lasciata in Spagna per gli incitamenti ai ragazzi, ma non è così: «Con gli sbalzi tra caldo e freddo l’ho persa ancor prima delle gare – racconta con un po’ di fatica ma in via di ripresa – tanto è vero che mi sono dovuto portare un collaboratore che diceva ai ragazzi quel che dovevano fare».


La trasferta iberica rimarrà nella storia. Mai prima d’ora l’Italia aveva vinto il medagliere continentale e questo dato per Pontoni è quello che più conta, che testimonia la bontà del lavoro fatto e che parte da lontano. Per questo al suo ritorno ha tenuto a sottolineare come l’ideale oro sia da attribuire a tutto lo staff azzurro, soprattutto a coloro che lavorano nell’ombra: «Sono tutte rotelle fondamentali dell’ingranaggio. Marco Decet, ad esempio, mi ha aiutato moltissimo. Tutti contribuiscono a dare tranquillità al gruppo e questo aiuta a ottenere i risultati».
Il gruppo che hai presentato a Pontevedra verrà integrato per i prossimi appuntamenti?
Sicuramente, noi lavoriamo su numeri un po’ più grandi. Io credo che però sia importante continuare sulla strada che abbiamo intrapreso, quella di coinvolgere anche i più giovani, gli allievi 2° anno. La Pellizotti ne è un esempio. In questo modo arrivano pronti alla gara, al gruppo, saltano quel passaggio come quando prendi una bici nuova, quel momento di scoperta che ti lascia un po’ interdetto. Abbiamo così atleti che si formano più lentamente, ma sono già svezzati e sui quali si può lavorare davvero per un biennio.


Come lo allargherai?
Una discriminante saranno i percorsi, io comunque conto di lavorare su 7-8 ragazzi e 4-5 ragazze, anche se fare rotazioni non sarà semplice vista la conformazione della Coppa, per la quale dobbiamo anche scegliere quali appuntamenti seguire visto che la sua concentrazione impone sacrifici economici. La logistica ad esempio ci impone di andare a Dublino con un team ridotto. Intanto però ho detto ai ragazzi che ora si è chiusa la prima fase della stagione, bisogna riposare per poi ricaricare le pile ed essere pronti. Un occhio di riguardo lo avremo sempre per il calendario italiano, che come si è visto ha consentito di prendere punti per il ranking e partire più avanti.
Una scelta sulla quale Mattia Agostinacchio aveva puntato molto, sapendo che era fondamentale essere in prima fila…
Ma anche per la Pellizotti, che ha potuto scattare dalla seconda. Per questo le avevo detto di gareggiare a Salvirola, quei punti sono stati determinanti. Devo dire che in questo sto trovando grande collaborazione da parte delle società, che sostengono il nostro impegno. E’ chiaro che non dobbiamo illuderci che saranno sempre rose e fiori come a Pontevedra.


Quanto è importante il lavoro che state svolgendo con il team performance della FCI?
Fondamentale, direi decisivo. I ragazzi si stanno abituando a cose che possono sembrare scontate ma non lo sono: il lavoro sul riscaldamento, l’approccio alla gara nei giorni precedenti, gli aspetti legati al post gara e all’alimentazione e tanto altro. E’ un mix di pratica e scienza che ha fatto fare al gruppo un deciso salto di qualità. D’altronde sappiamo che nel ciclismo moderno temi simili ormai vanno tutti di pari passo.
Qual è stata la medaglia meno preventivata?
Difficile a dirsi: io avevo fatto un pronostico ai ragazzi, alla fine ho sbagliato per difetto di una. Diciamo che all’appello manca solo il podio della Casasola, ma sapevamo che c’erano 4 atlete a concorrere per 3 medaglie e tutto si giocava su particolari. Lei ha avuto una piccola disattenzione all’inizio che le è costata una dispendiosa rincorsa per tre giri, ma ha dimostrato di valere quel podio. Queste corse si giocano sui dettagli e non sempre le cose possono andar bene.


La Pellizotti ha sottolineato di essere stata nel posto giusto al momento giusto…
E’ vero, l’esatto contrario di quanto è avvenuto a Sara. Giorgia ha corso con molta sagacia ha saputo cogliere l’opportunità come d’altronde anche Filippo Agostinacchio e il suo argento mi dà grande soddisfazione perché lo ritengo un leader di questa squadra, un riferimento per la sua sicurezza, la sua professionalità, infatti ho deciso di puntare su di lui come ultimo uomo della staffetta.
Che cosa gli hai gridato all’ultimo giro?
Avevo notato che i francesi prendevano le curve sempre molto larghe come loro abitudine tecnica, gli ho detto d’infilarsi per sorpassare l’avversario e andare a vincere. E così ha fatto.


A proposito dell’oro di Mattia?
Il suo grande merito è di essere rimasto lucido dopo essere caduto sugli ostacoli, ha resettato la testa e non ha seguito l’istinto di recuperare subito. Lì si è visto il lavoro nostro, dello staff, la rappresentazione di tutto quanto detto prima. Ora questi risultati li mettiamo insieme e li accantoniamo perché da qui in poi sarà un’altra pagina tutta da scrivere, i mondiali saranno profondamente diversi. C’è però in più una generale consapevolezza di quel che i ragazzi sono capaci di fare e su queste basi dobbiamo costruire il resto della stagione.