BILZEN (Belgio) – L’hotel dove Tadej Pogacar incontra i giornalisti nel pomeriggio è un vecchio castello rimesso a nuovo, con mura in mattoncini fuori e vetrate scure che affacciano su prati verdi a perdita d’occhio. Si fa presto a capire perché mai il Belgio sia tanto verde, dato che anche oggi ha piovuto ininterrottamente dal mattino e soltanto alle 16 ha deciso di smettere.
Quando stamattina lo sloveno e i suoi compagni hanno arrestato il pullman sulla strada fra Trois Ponts e Stavelot, è servita tutta la loro grinta per vestirsi e partire lungo gli ultimi 100 chilometri della Liegi. Ulissi, che mercoledì si è sciroppato la Freccia Vallone, guardava il cielo poco convinto, ma Tadej è arrivato ieri sera e i compagni lo hanno aspettato per la “recon”. Si sono coperti con guanti in neoprene degni di un sub, hanno chiuso ogni possibile spiffero e sono spariti alla volta della Cote da Wanne, prima salita di giornata.
«Abbiamo fatto una bella ricognizione – dice Pogacar – mi piace sempre ripassare le strade di una delle mie corse preferite. Sta diventando una tradizione, da sei anni facciamo più o meno sempre gli stessi allenamenti e oggi non ha fatto eccezione. Siamo andati e abbiamo spinto forte per non avere freddo. Così la distanza è passata molto velocemente».
La Freccia Vallone è rimasta negli occhi di tutti i corridori e se ne fa ancora un gran parlare. Anche Pogacar l’ha seguita in televisione e ammette di aver sofferto per i suoi compagni. Il ragazzo ha la solita faccia pulita e gli occhi stanchi, ma come al solito appare molto ben disposto, per cui le domande arrivano e spaziano. Non solo la Liegi, ma anche le cadute e tutto quello che per un motivo o per l’altro popola la fantasia di venti giornalisti venuti da tutte le parti soltanto per lui.
Domenica scontro con Van der Poel: chi di voi due secondo te è fisicamente più attrezzato per queste gare?
Non vedo l’ora di affrontare di nuovo Mathieu, ma non penso che ci sia solo lui da tenere d’occhio. La Liegi è adatta agli scalatori più che ai corridori più pesanti come Mathieu, ma sappiamo che lui può fare tutto. Penso che domenica sarà una gara abbastanza aperta, con molti attacchi da lontano e tutto può succedere. E’ una gara molto lunga, una delle più lunghe dell’anno, con tanti metri di dislivello in salita. Si adatta meglio ai ciclisti un po’ più leggeri, ma comunque incisivi.
Che cosa pensi di quello che ha fatto Mathieu in questa primavera?
Ogni anno, ormai. Quello che fa ogni anno è fantastico, anche se questa volta si riconosce di più con la maglia di campione del mondo. Sta scegliendo le sue gare e si esibisce ogni volta ad altissimo livello. Per questo è anche divertente correre contro di lui, anche se forse divertente non è la parola giusta.
Cambiando discorso, che cosa ti è parso delle cadute che si sono viste di recente?
Penso che quest’anno ho visto uno dei due incidenti più orribili di sempre mentre guardavo la televisione. Non è stato bello vedere queste enormi cadute, in cui i corridori a terra non si muovevano nemmeno. Erano sdraiati e fermi e da casa ero lì a sperare che qualcuno venisse a prenderli velocemente e ad aiutarli. Purtroppo non ci si può fare nulla, è già successo. Gli incidenti accadono continuamente e altri ne accadranno. Il ciclismo è uno sport molto pericoloso, spero che tutti lo sappiano. Ogni anno andiamo sempre più veloci. Abbiamo attrezzature più veloci. Superiamo i limiti dei nostri corpi e delle bici. Ovviamente non possiamo provare tutte le tappe, tutte le strade. Hai le mappe per studiarle. Puoi farlo con Google Maps, Earth View, qualunque cosa. Puoi vedere la strada, ma non è la stessa cosa se la conosci. Per cui andiamo e basta.
Pensi che ci sia un po’ di responsabilità anche dei corridori?
Certamente sì. Molti corridori incolpano gli organizzatori, ma a volte è solo colpa nostra. Andiamo troppo veloci. Non sempre le cadute sono dovute a buche o crateri, ma certo non abbiamo la fortuna di correre sempre su asfalto nuovo. Andiamo più veloci in ogni discesa, in ogni salita, in ogni tratto pianeggiante. Poi si somma la stanchezza dei corpi e normalmente ci sono cadute. Anche io sono caduto alla scorsa Liegi, ma la colpa fu soltanto mia. Mi stavo concentrando per risparmiare quanta più energia possibile. Ero dietro al mio compagno Vegard, che è piuttosto grande e non vedevo niente. Così, quando Michael Honoré è caduto, non ho potuto evitarlo
E comunque domenica si torna alla Liegi, nella stagione del Giro e del Tour: in che modo la Doyenne si inserisce nel programma?
Sono abbastanza in forma. Vengo dal ritiro di Sierra Nevada e sono già concentrato sul Giro e sul Tour, ma credo di essermi preparato abbastanza bene anche per domenica. Mi piace molto questo programma. Non è troppo pesante e mi lascia molto tempo per allenamento e riposo fra una corsa e l’altra. Al contempo mi aiuta a trovare motivazioni nelle gare che faccio. Quando guardo il Fiandre, l’Amstel o la Freccia vorrei correrle anche io, ma so anche che devo essere più fresco per il Giro e poi per il Tour. Quindi la motivazione arriva con ogni gara che vedo in tivù.
La caduta dei Baschi ha colpito tre dei pretendenti al Tour, cosa hai pensato quando te ne sei reso conto?
So per esperienza che ci vuole molto tempo per recuperare. Il corpo ha bisogno di tempo, anche se la mente è pronta per andare sulla bici. Vorresti spingere, ma il corpo ha bisogno di riprendersi, qualsiasi sia la frattura o il danno. Un infortunio così influisce sulla preparazione e anche sulla parte mentale, quindi spero che tutti possano recuperare il più velocemente possibile. Che possano andare ad allenarsi in altura più velocemente possibile. So quanto sia importante avere più tempo possibile e penso che ne abbiano ancora abbastanza per il Tour.
Vorresti che Vingegaard fosse al Tour, dunque?
Sì, di sicuro. Sono il tipo di persona che vuole sempre gareggiare contro i migliori e Jonas è probabilmente il miglior scalatore del mondo. Mi auguro che torni allo stesso livello di prima e che possiamo creare ancora una volta un buono spettacolo. E spero che nessuno pensi che sia felice del suo infortunio, altrimenti dovrei pensare che qualcuno lo scorso anno lo sia stato per il mio e non vorrei pensarci.
Cosa ti aspetti dalla sfida Giro-Tour?
Ci saranno degli alti e bassi in questo programma, ma adoro correre in Italia. Ho corso in Italia per tutta la mia vita e voglio arrivare a Roma con buone sensazioni e vivere bene quelle tre settimane. Poi ovviamente voglio passare una bella settimana dopo il Giro e iniziare il lavoro per il Tour e prepararmi a soffrire in Francia. L’importante sarà finire il Giro bene mentalmente e anche fisicamente, non essere del tutto distrutto. Non servirà fare chissà cosa, in quel mese non servirà sfinirsi. Il corpo sarà ancora in forma, servirà seguire le sensazioni per arrivare al Tour de France non cotti.
Tornando alla Liegi, dopo gli 80 chilometri di fuga alla Strade Bianche e i 60 di Van der Poel alla Roubaix, cosa dobbiamo aspettarci per domenica?
Attaccherò ai meno 100 (ride ndr). Perché no? Si fa per ridere, ragazzi. Penso che questa non sia la Roubaix e neanche la Strade Bianche. Le salite più dure della Liegi si affrontano nel finale, quindi penso che sia piuttosto difficile andare via troppo presto. Vi dirò anche che mi manca Remco nella lista dei partenti, lo ammetto. Perché ha vinto le ultime due edizioni, in cui io non sono stato nei finali. Speravo dall’inizio dell’anno che ci saremmo scontrati qui alla Liegi, perché lui ama questa corsa e la adoro anch’io. Sarebbe stato interessante. Il ciclismo a volte fa schifo, quando succedono queste cose. Quando in gara ci sono tutti quelli del massimo livello e ugualmente riesco a vincere, mi sento sicuramente più soddisfatto.
Pensi che domenica potresti perdere?
Non penso a perdere. Voglio dire che in questa gara ci sono così tante salite ed è una gara così lunga, che puoi essere sorpreso da un gruppetto che va via e devi avere una buona squadra per controllare. Penso che ci siano parecchi altri contendenti. Quindi guai sentirsi già vincitori, dovremo essere molto attenti nel finale.
Ci pensi davvero a vincere i cinque Monumenti?
La Sanremo si avvicina ogni anno di più, ma è una delle gare più difficili da vincere. E la Parigi-Roubaix, vedendo come si è corsa negli ultimi due anni, potrebbe essere adatta a me. Potrei vedermi lì dentro. Non è la soluzione migliore per i piani della squadra, ma di certo proverò a vincerla. Non serve neanche parlarne tanto, la squadra lo sa. Penso che sia abbastanza chiaro che cerco di vincere il più possibile e che non mi piacciono i programmi copia e incolla.