Il segno premonitore che avrebbe potuto vincere il Fiandre è stata la chiamata di Rolf Sorensen, sorride Kasper Asgreen, che fino a quel momento era stato il solo danese capace di vincere il Fiandre.
«Mi ha telefonato prima del weekend – racconta il corridore della Deceuninck-Quick Step – e mi ha spiegato perché fosse convinto che potevo riuscirci anche io. Se un corridore come lui ti chiama e ti dice certe parole, la fiducia cresce parecchio».
Tutto in 10 metri
Una settimana dopo la vittoria del Fiandre, Asgreen ha ancora addosso lo stesso stupore dei primi minuti dopo un successo che molti a un certo punto ritenevano impossibile. Come fai a battere Van der Poel in una volata a due, visto che l’olandese lo scorso anno aveva liquidato allo stesso modo Van Aert?
«Mathieu mi ha passato all’ultimo chilometro – dice – e in quello stesso momento, Tom Steels (tecnico e preparatore del team, ndr) mi ha detto via radio che avevamo 35 secondi sul secondo gruppo. Era un bel margine da giocarci, così ho deciso di rischiare che la velocità si abbassasse. Mi sono messo a ruota e ho preso il controllo. Quando abbiamo iniziato lo sprint, ho pensato di lanciarlo molto lungo. L’unica speranza era che dopo tutti quei chilometri potessi avere più forza di lui. E Van der Poel a un certo punto si è seduto. Quando sono passato sulla riga, ricordo di essermi detto: ha funzionato! Con gli allenatori abbiamo lavorato tutto l’inverno sullo sprint e la forma è arrivata nel momento giusto. L’avevo sentito nelle settimane precedenti. Tutti quei mesi di duro lavoro raccolti negli ultimi 10 metri della corsa. Ha funzionato! Ho proprio pensato questo, passando la riga bianca».
Caduta morbida
Il racconto va avanti ripescando nella memoria i momenti chiave della corsa e della carriera, con lo sguardo ancora incantato.
«Il Fiandre – ricorda – era la corsa dei miei sogni sin da quando ho iniziato a seguire il ciclismo, con le sue salite e la distanza. Ma serve anche fortuna. Nella caduta, ad esempio. Mi è andata bene perché non sono finito nel mucchio, ma mi hanno colpito da dietro. E’ stato un atterraggio morbido. Se doveva accadere, è accaduto nel modo più indolore. Steels è arrivato alla svelta, mi ha dato la bici e sono potuto ripartire. E a quel punto il fattore decisivo è stato il gioco di squadra con Alaphilippe sul Taienberg, quando prima ha attaccato lui e poi mi sono mosso io con Mathieu e Van Aert».
Coincidenza oppure no, sul Taienberg aveva fatto la differenza decisiva anche nel Gp E3 Saxo Bank di Harelbeke. Questione di sensazioni o di pendenze, al Fiandre il… giochino ha funzionato nuovamente.
«La squadra ha lavorato in modo eccellente – dice – ed è questo il bello di farne parte. Comanda il gruppo. Sono tre anni che sono qui e la mentalità Wolfpack ha permesso a tanti giovani di migliorare e a tanti di noi di vincere grandi corse. Ma credo che avere l’aiuto di uno come Julian sia speciale. Spero che arrivi presto anche per lui il momento di vincere un’altra corsa importante».
La prima corsa
E quella prima corsa con la maglia della Deceuninck-Quick Step, Kasper ce l’ha ancora davanti agli occhi. Era il 4 aprile del 2018.
«La decisione di cambiare squadra (correva nel Team Virtu Cycling, ndr) fu abbastanza improvvisa – racconta – e ricordo che mi trovai sul pullman durante il meeting di quella prima corsa come un oggetto misterioso. I compagni e i direttori sprtivi non sapevano chi fossi e che cosa potessero aspettarsi da me. Alla fine chiusi tutti i buchi fino a 3 chilometri dall’arrivo e cogliemmo con Fabio (Jakobsen, ndr) una bella vittoria nella Scheldeprijs del 2018. Quando arrivai sul pullman, erano tutti eccitati e contenti per il lavoro che avevo fatto. Io mi sentivo come se la corsa l’avessi vinta anche io. E a guardare gli sguardi dei ragazzi quando sono tornato da loro nel giorno di Pasqua, si vedeva chiaro nei loro occhi che era come se il Fiandre lo avessero vinto anche loro».