L’oro di Bianchi, gigante buono, lancia la rincorsa a Parigi

12.01.2024
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Matteo Bianchi è stato il primo italiano nella storia del ciclismo a vincere il titolo europeo nel Chilometro da fermo. Considerando che il settore velocità azzurro era da anni sott’acqua e che solo di recente, con l’intuizione di Villa di coinvolgere Quaranta, ha ripreso vigore, il segnale è notevole a prescindere dalla medaglia che da ieri sera risplende al collo dell’atleta bolzanino. La rincorsa è nel pieno, i progressi sono tangibili e, andando ad approfondire, anche nelle prove veloci ormai è tutto un fatto di tattica e tecnica, calcoli e proiezioni. Lo è sempre stato, ma dominare la materia fa sì che anche l’Italia sia ormai degna di un posto al tavolo dei grandi.

Quaranta ha la voce delle feste più belle, come quando batteva Cipollini al Giro d’Italia. Come quando, poco più giovane di Bianchi, vinse il mondiale juniores della velocità.

«Intendiamoci – dice – si è parlato tanto, quando questi ragazzi avevano solo bisogno di riferimenti. Il DNA dell’uomo italiano è ancora veloce, io vengo dalla velocità, certe cose non cambiano. Bisognava solo rimboccarsi le maniche. I complimenti vanno fatti agli atleti, io al massimo li ho ispirati, ma la fatica sulla bici la fanno loro».

Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Andiamo con ordine: che differenza c’è fra sapere di meritare una medaglia e vincerla?

Una grossa differenza. A volte i sogni si avverano. Abbiamo messo insieme un bel gruppo, in cui ognuno sta diventando forte per le sue caratteristiche. Bianchi, certo, ma anche Napolitano, Predomo e gli altri. Già prima della qualifica, sapevamo di poter prendere una medaglia, Matteo era già arrivato secondo a Monaco. L’assenza di Hoogland aveva liberato un posto sul podio. Poi è venuto il miglior tempo in qualifica, ma quello è indicativo fino a un certo punto.

In che senso?

Nel senso che si usano rapporti diversi, non si spinge a tutta. Da quando il Chilometro si disputa su due prove, vince chi recupera meglio. Se fai subito un tempone e poi te lo trovi nelle gambe, non ti serve a niente. Sanno tutti che la prima prova viene meglio, anche se sei più agile. Forse se Mattia avesse usato un dente in meno, avrebbe potuto fare il record italiano, però magari l’avrebbe pagata nella seconda prova. La medaglia la vince chi peggiora meno: sembra strano da dirsi, ma funziona così.

Come ha passato il tempo fra la prima e la seconda prova?

L’ho visto tranquillo, sapeva di essere fra quelli che se la giocavano, ma non credevamo di vincere. Era già arrivato secondo dietro Landerneau, il francese che ha preso il bronzo. E poi c’èra Kool, l’olandese che correva in casa. Cosa ne sai se mette sotto il padellone e spara un tempo mondiale? Noi sapevamo che Bianchi è migliorato molto. In questo mondo di numeri, sapevamo che ce la saremmo giocata. Per cui non è voluto tornare in hotel e ha messo in atto il protocollo di defaticamento e recupero che abbiamo studiato. E’ stato anche dall’osteopata, poi ha atteso sul pullman.

Adesso si deve ragionare sulla velocità olimpica, che non è solo la somma di tre velocisti…

No, è molto più complessa. Per un tecnico è la specialità più difficile. Ci sono tre corridori diversi con tre rapporti diversi. Se il primo è troppo agile, mette in crisi il secondo, che a sua volta mette in crisi il terzo. Siamo arrivati a meno di 30 centesimi dai tedeschi, che girano da due anni su questi tempi, mentre noi gli abbiamo guadagnato terreno in continuazione. Peccato che non abbia funzionato bene il cambio fra Bianchi e Predomo, perché avremmo potuto limare 10 centesimi. Ma sono giovani, gli altri girano così forte da anni…

Cosa si può fare per puntare alla qualifica olimpica?

Io voglio sempre vincere, ma va bene così. Dobbiamo lavorare sul nostro tempo, sapendo che il gap non è più altissimo come tre anni fa. Fra qualche anno con questi ragazzi parleremo di medaglie fra gli elite, ma teniamo conto che abbiamo cominciato il ciclo olimpico con Predomo che era ancora junior. C’è una cosa che mi scoccia, che tutti i più forti sono in Europa e quindi col nostro tempo rischiamo di stare fuori. Mentre per la Cina basta a vincere nel circuito Asiatico e al Canada per qualificarsi in quello americano. Ma la nostra rincorsa resta entusiasmante.

Come si fa per qualificarsi?

Con i ragazzi restano le quattro prove di Coppa, mentre Miriam Vece è qualificata al 99 per cento. Le prime due prove di Coppa, sin dalla prossima in Australia, avranno un livello pazzesco. Nelle ultime due, soprattutto a Milton, andranno a giocarsela quelli che devono qualificarsi. E con loro non ci sono storie: dobbiamo vincere. Bisognerà fare 43.200-43.300. Ci stiamo avvicinando, lavorando sulla preparazione e sui materiali. Non so come finirà per Parigi, ma se devo essere eliminato, spero di non finire 15°, ma di essere il primo fra gli esclusi. Almeno ci darebbe una motivazione in più per puntare alla prossima volta. Ora si festeggia, domenica si parte per l’Australia: questo sarà un anno ad altissima tensione.