Janez Brajkovic arrivò nel ciclismo con le stimmate del campione. Iridato della crono U23 nel 2004 a Bardolino, lo sloveno si lasciò dietro Dekker e Nibali. Scalatore fortissimo, le statistiche lo davano alto 1,77 per 60 chili. Di lui si accorse Bruyneel che lo portò con sé alla Discovery Channel poi all’Astana e da lì alla Radio Shack. Quando il gruppo americano si sciolse, Jani tornò all’Astana, alla United Healthcare, al Team Bahrain e poi alla Adria Mobil.
Il 6 agosto del 2019, da poco rientrato da una squalifica per doping, pubblicò un post nel suo sito dal titolo “Scheletri nell’armadio”. Un testo durissimo, sui suoi difficili problemi con il cibo. Ma oltre alla sua fragilità, quel testo esprime l’amara consapevolezza (da parte sua) che il mondo del professionismo sia affetto da gravi disordini alimentari. Anche fra coloro che conquistano i podi dei grandi Giri.
Fino al 2020 Brajkovic è stato tesserato con la continental Adria Mobil. La sua ultima corsa è stata il Giro del Friuli, chiuso all’ottavo posto in classifica generale. Noi di bici.PRO siamo voluti andare oltre quel testo e a Brajkovic ci siamo rivolti, in questo viaggio nei disordini alimentari del gruppo iniziato da un’intervista a Laura Martinelli. Un percorso costruttivo che coinvolge tutti, ma soprattutto dovrebbe portare una diversa consapevolezza negli atleti e in chi li… maneggia con troppa disinvoltura.
Perché a un certo punto hai sentito il bisogno di parlare della tua situazione?
Mi sono accorto che qualcosa non andava nella mia testa quando ho fallito ai campionati nazionali nel 2019. Una settimana prima ero capace di fare 6,2 watt/kg per 35 minuti dopo 4 ore di bici e 2.500 m di dislivello, mentre il giorno della gara non ero riuscito a mantenere 5,5 watt/kg per 20 minuti. Dovevo sistemare questa cosa, dovevo dire la verità, tutta la verità.
Quando ti hanno detto per la prima volta che per andare più veloce dovevi essere magro?
Non ho mai avuto problemi di peso, la bulimia per me non era perdere peso. Si trattava di far uscire abbastanza energia da me, in modo che le mie emozioni fossero sempre più piccole… Così piccole da poterle trattenere dentro di me, senza esprimerle.
Allora perché pensi che i tuoi insuccessi siano stati in qualche modo legati all’alimentazione?
Ho sempre pensato che la bulimia stesse rovinando la mia carriera, perché comunque ho studiato e sapevo cosa significasse. Sapevo cosa provoca nel corpo, in che modo influisce sulle prestazioni e quale sarebbe stato lo scenario peggiore… Scenario che in alcuni momenti della mia vita ho davvero creduto mi avrebbe portato alla morte.
Credi che l’ambiente delle squadre, le battute e le pressioni dei manager ti abbiano spinto verso questo problema?
Nel mio caso no, ma per alcuni corridori ne ho la certezza.
Alcuni corridori hanno detto di parlare spesso di questi argomenti, ma di non avere il coraggio di affrontarli con i capi dei team: cosa ne pensi?
Ne parlano fino a un certo punto. Non parlerebbero quasi mai di bulimia o anoressia. In quelle condizioni, una persona prova così tanta vergogna, che fa di tutto per nasconderlo.
E’ possibile che nelle squadre in cui hai corso nessuno abbia notato nulla?
Certo che l’hanno capito. E una volta che te ne rendi conto, non puoi più essere onesto. Smetti di parlare con loro in modo rilassato. Alla fine, sapevo che stavo mentendo. All’Astana, un medico si avvicinò e cercò di parlare della mia bulimia. Ovviamente dissi che stavo bene e non c’era niente che non andasse. Non ero pronto per affrontarlo. Perché? Perché sapevo che se avessi detto di avere un problema, un minuto dopo l’intera squadra avrebbe saputo cosa stava succedendo… e non potevo gestirlo. Ma è successo comunque, il dottore lo disse a tutti.
Come fai a saperlo?
Alla fine della stagione firmai con il team United Healthcare. Al primo ritiro, un tecnico italiano mi chiese se avessi la bulimia, come gli aveva detto quel medico dell’Astana. Non c’è fiducia o riservatezza nel ciclismo. Finché questo andrà avanti, i disturbi alimentari e i problemi di salute mentale rimarranno argomenti tabù…
Perché c’è vergogna nel parlarne?
Perché sai che stai facendo qualcosa di brutto, qualcosa di innaturale, in un certo senso stai barando… Pensi di avere il controllo, ma in effetti è il cibo che controlla te. La soluzione è molto semplice: semplicemente non mangiare, ma non puoi fermarti. E in questo modo continui a tradire te stesso ogni giorno, più volte al giorno…
Ti sei mai sentito debole in corsa per questo problema? Pensi che i tuoi risultati ne siano stati condizionati?
Sì, in ogni corsa che abbia fatto dal 2005 al 2020, con l’eccezione del Castilla Leon 2006, del Tour de France 2012 e il Delfinato del 2010 (ad eccezione del prologo).
Hai mai pensato che la sola soluzione per uscirne fosse smettere di correre?
Mai, correre e andare in bici non erano un problema. Il problema era molto più profondo… il mio passato, la mia infanzia.
Hai scritto di molti corridori con lo stesso problema: hai parlato con loro oppure li riconosci dai comportamenti?
Molti, uomini e donne. Corridori che non avevo incontrato mai prima. Per loro è un sollievo incredibile poter parlare con qualcuno che capisce, non giudica, si limita ad ascoltare. Questo è il motivo per cui non mi fermo, ne parlerò finché non diventerà accettabile, finché se ne potrà discutere. Finché le cose non saranno fatte bene e i corridori saranno in grado di ottenere aiuto all’interno delle squadre.
Credi che il tuo carattere e i tuoi comportamenti siano stati condizionati?
La bulimia era solo un sintomo, non il problema principale. Ma sì, il mio comportamento era molto diverso da quello che è adesso.
Pensi che la tua carriera ne sia stata condizionata?
Sì.
Credi che la gente dall’esterno si renda conto di cosa significhi oggi vivere come un ciclista professionista?
Più o meno, ma non del tutto.
Pensi di averla superata?
Credo di stare meglio, non penso mai al cibo, non penso più che devo vomitare. Mangio in modo sano, ma ora il cibo non è più il centro della mia vita.
C’è un consiglio che vorresti dare ai giovani corridori sul tema dell’alimentazione?
Mangiate per andare forte, non per perdere peso. Non ascoltate ogni idiota che pensa di sapere tutto sulla nutrizione. Io sono sempre qui per parlarvi e anche se non avrò sempre una risposta, vi ascolterò. Essere ascoltati, significa già molto.
C’è un consiglio che vorresti dare ai direttori sportivi sull’alimentazione dei loro atleti?
Non sapete quasi niente. Sapete molto poco di psicologia e di come parlare ai corridori. Restate nella vostra corsia, siate gentili e non feriteli. Ascoltateli.
Jani, cosa fai oggi?
Da alcuni anni mi occupo di preparazione, ho sempre avuto parecchie conoscenze, ma non ero abbastanza sicuro di condividerle con gli altri. Ora lo sono. E i risultati sono visibili con i miei atleti. Stanno migliorando velocemente, sono più felici. Sto anche lavorando a un progetto a Dubai, con giovani corridori degli Emirati Arabi Uniti. Avevo un grande desiderio e ce l’ho ancora: correre un’altra stagione. Perché sarebbe la prima stagione in cui sarei completamente in salute e sono sicuro che potrei ottenere molto. Non grandi vittorie, sono realista, ma di sicuro qualche piazzamento tra i primi dieci. Purtroppo le squadre non sono rimaste colpite da quello che ho proposto…
Cosa hai proposto?
Aiutare i corridori con problemi mentali e disturbi alimentari. Ho visto i risultati in prima persona, lavorando l’anno scorso con un corridore del WorldTour che voleva tornare a casa da un grande Giro nella prima settimana e poi nella terza andava in salita con i migliori 8 della classifica. I nostri limiti sono prevalentemente mentali, non fisiologici.
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