Tre chilometri all’arrivo. Il gruppo è lanciato sul filo dei 60 all’ora. C’è tensione. Si gomita per prendere la posizione che si reputa migliore: chi deve fare il treno, chi l’apripista, chi la volata, chi magari deve proteggere un compagno davanti. E in quei frangenti il dispendio energetico è massimo. Ma è lì che il pistard è avvantaggiato.
Jonathan Milan, l’altro giorno raccontandoci con lucidità i finali delle sue vittorie in volata alla CRO Race, disse che c’era molto della sua attività in pista. «Quei 4′ oltre il limite sul parquet te li ritrovi tantissimo su strada».
E qualche mese prima Paolo Alberati parlando di Fiorelli ci disse come il dispendio energetico massimale incidesse sulla prestazione. Lo stare a ruota. Il limare. E, sempre parlando di Fiorelli, ci disse come il suo atleta di volate negli ultimi due chilometri ne “facesse tre”. Troppe. Per dire che basta un spendere un po’ di più e tutto va a monte.


Base aerobica…
Paolo Artuso, che di Milan è il coach alla Bahrain-Victorious, ci aiuta a comprendere meglio cosa volesse dire Jonathan e perché avesse ragione.
«Tutto vero – spiega Artuso – ma prima ancora del finale di corsa farei un passo indietro. Per fare quei wattaggi massimali nel finale devi arrivarci fresco. E ci si arriva con due punti primari: l’efficienza di pedalata e l’efficienza lipidica. Devi avere una base aerobica super. Prendendo l’esempio di Milan lui ha vinto dopo 5 ore e mezza di corsa (prima tappa) e dopo 4 ore e passa (la seconda)».
Quando Artuso parla di efficienza di pedalata non si riferisce tanto allo stare ben messi in sella, quanto alla pedalata vera e propria, al rendimento e al dispendio energetico. C’è chi per fare cento pedalate spende “cinque” e chi spende “due”.
«E per questo ci si lavora, tanto più per un corridore alto (1,94 metri, ndr) come Milan. Una volta si faceva la ruota fissa. Jonathan raggiunge questa efficienza con il lavoro in pista».
«Quando invece parlo di efficienza lipidica, intendo la capacità di utilizzare la benzina dei grassi. Noi abbiamo il serbatoio lipidico che è enorme e quello degli zuccheri che molto più piccolo. Più abituo il fisico ad utilizzare il serbatoio dei grassi e più zuccheri avrò a disposizione nel finale.
«E come mi abituo a bruciare i grassi? Facendo parecchia base aerobica anche “intensa”, quindi Z2 e Z3».


Quell’agilità
«C’è un terzo elemento – continua Artuso – ed è l’agilità. Milan non è arrivato là davanti su percorsi del tutto piatti, ma superando anche delle asperità. Tra l’altro, faccio un inciso, nel giorno in cui ha perso la maglia mi hanno detto che sulla salita di 17 chilometri hanno fatto fatica a staccarlo. E le ha superate bene, senza spendere troppo, grazie all’agilità».
«A 60 rpm una pedalata dura un secondo, a 90 rpm dura 0,66”. La contrazione muscolare quindi più breve e ciò consente maggior ossigenazione ai muscoli. Questa resistenza alle alte cadenza sulle salite di 8′-12′ (oltre all’efficienza lipidica e di pedalata) ha fatto sì che Milan potesse arrivare fresco nel finale e sfruttare le sue doti di pistard».


Pista e lattato
Ed è qui, che emerge appunto il pistard. Quando lo sforzo è massimo e si va in asfissia.
«A questo punto – va avanti Artuso – subentrano i lavori lattacidi e la pista in tal senso dà una grossa mano, in quanto si fa un lavoro di forza ad elevatissima intensità.
«Nello specifico, prima della CRO Race, in pista Milan ha lavorato su ogni tipo di forza e di resistenza lattacida: partenze da fermo da 125 metri, 250 metri… E lavori da 2.500 metri e fino ai 4.000 metri. Nel complesso un volume “piccolo” ma ad alta intensità. E se si fa un buon recupero succede che vince anche su strada».
«In questo modo per me è più facile allenare un Milan: devo fargli fare “solo” la base aerobica e poi in pista fa i lavori intensi. Ma quando si ha sottomano un atleta così potente e di una certa stazza bisogna stare attenti anche alla parte aerobica. Sapete cosa vuol dire far fare un’ora di medio a Milan? Significa che per 60′ deve fare 430-450 watt. Lì fa, ma fisiologicamente è devastante. Di conseguenza certi carichi devi ridurli un po’. Altrimenti il giorno dopo è stanco e salta tutto.
«Serve consistenza nell’allenamento. E per consistenza intendo l’allenarsi oggi, più domani, più dopodomani… Non è solo alternare carico e scarico. E’ dare continuità ai lavori».


Quattro minuti
E torniamo al punto iniziale: quanto dà una specialità come quella dell’inseguimento (ma non solo) su pista alla strada. Mediamente un inseguimento dura 4′, un po’ meno se a squadra, un filo di più se individuale. Bisogna “dare del tu” all’acido lattico. Conviverci.
«La tolleranza al lattato – dice Artuso – è la capacità dell’atleta di mantenere una situazione non equilibrata (accumulo di acido, ndr) per il maggior tempo possibile. Lavorare sulla tolleranza fa sì che si migliori quando si è a tutta. Sostanzialmente si smaltisce meglio l’acido lattico.
«Come? Facendo alta intensità. Per esempio: 3 serie da 10′ di 30”-30”. Alla fine porti a casa 15′ di fuori soglia. Oppure 3×3′ a tutta in pianura».


Ossigeno al cervello
In più c’è una cosa che Paolo Artuso conferma. Nei finali serve freschezza anche mentale e il pistard, che è abituato a limare o nel caso dell’inseguimento a tenere la linea migliore, ne ha da vendere.
«Di certo il pistard è avvantaggiato anche dal punto mentale e della lucidità. Tante volte vediamo delle cadute in discesa: ma perché? Perché “vedono doppio”. Non sono lucidi. Sono meno abituati alle punte di acido lattico e hanno meno ossigeno al cervello. Ne guadagna la guidabilità.
«Concludendo con Milan, il giorno in cui ha fatto la volata di quasi 400 metri non solo è stato bravo a tenerla, ma è stato bravo a tenere la posizione prima del via e a valutare la situazione (Mohoric, suo compagno era davanti e il gruppo rimontava, ndr)».