Matteo Trentin è nel vivo della stagione. Lui più di altri, perché i suoi grandi obiettivi sono concentrati nella primavera e in particolare nella prima parte. Il corridore del UAE Team Emirates è uno degli italiani sui quali sono investite più responsabilità e attese da parte dei tifosi e… non solo, chiaramente.
Ormai è un veterano del circus, aggettivo che gli possiamo affibbiare non tanto per l’età (ha 32 anni), ma per l’esperienza e il carisma di cui gode in gruppo.
Matteo sei nel clou della tua prima parte di stagione, come vivi questo periodo di avvicinamento a questi grandi obiettivi?
Ormai ci sono abituato e a livello di testa non mi agito più. Invece da un punto di vista fisico devo dire che la gamba per ora risponde abbastanza bene. Anche oggi (ieri per chi legge: Matteo è in gara alla Ruda del Sol, ndr) è andata bene, nonostante il percorso non fosse proprio per me. Diciamo solo che ci manca una “vittorietta” per il morale e per dire a me stesso che sono sulla buona strada.
I tre “monumenti” in vista per te sono Sanremo, Fiandre e Roubaix. Qual è quello che senti di più?
Quello che vivo più da vicino è la Sanremo. Sarà che abitando a Montercarlo quasi tutti i giorni si percorre il finale della Classicissima. Ormai quelle strade è come fossero le strade di casa. Poi certo, un Fiandre… è un Fiandre. La Ronde, specie con il pubblico, è una gran cosa. Ci sono davvero poche gare così. Le sensazioni che puoi avere quando passi sul Kwaremont pieno di gente sono da fuori di testa. E noi non ci siamo abituati. Non siamo in uno stadio in cui il pubblico urla tutto il tempo. Tutto ciò non succede spesso nel ciclismo.
La Sanremo la senti di più: come vivi l’approccio, la vigilia?
Tranquillissimo. Ormai la situazione è collaudata. Il mercoledì, quasi per tradizione, andiamo (a Montecarlo vivono molti pro’ che spesso escono insieme, ndr) a provare il finale… come se servisse a qualcosa! Sono circa quattro ore di uscita. Andiamo fin oltre la Cipressa e torniamo indietro. Il giovedì si parte per Milano, il venerdì la sgambata e il sabato la corsa.
Qual è “il tuo momento” della Sanremo?
Ah, bella domanda! Cambia sempre. Oggi la Cipressa è più “usata” per fare la corsa dura dalle squadre che hanno questo interesse. Ma poi dal Poggio in avanti ogni momento può essere quello buono. Soprattutto dal falsopiano: può andare via un gruppetto, un corridore che azzarda. Si può aspettare la volata o partire in fondo alla discesa… E oggi è sempre più difficile perché tutti vanno forte e le possibilità sono le stesse per molti più corridori.
Passiamo ad aspetti un po’ più tecnici, Matteo. Siamo a metà febbraio e hai già otto giorni di corsa. Non sono pochi…
In passato ne ho avuti anche di più. Quando c’era il Down Under arrivavo a fine febbraio che ne avevo anche 20. Però è anche vero che col passare degli anni si va sempre più forte e per trovare la condizione bisogna fare il giusto, altrimenti si rischia di fare troppo. Le corse vanno dosate.
Sul piano della preparazione hai cambiato qualcosa?
Io cerco sempre di fare qualcosa di diverso. L’anno scorso ho lavorato molto sugli intervalli brevi, quest’anno ho fatto delle ripetute più lunghe. Tra novembre e i primi di dicembre ho fatto parecchia mountain bike e poi mi sono fatto i miei bei dieci giorni di sci di fondo. E devo dire quest’anno è andata molto meglio dell’anno scorso perché la neve era migliore. Essendo nevicato meno, era più compatta e ho potuto svolgere un lavoro molto produttivo. Successivamente in ritiro e in quel periodo ho fatto molto volume e man mano che sono arrivate le prime gare ho fatto lavori più “corti”. Da adesso in poi solo gare, niente altura, è così che voglio trovare il massimo della condizione.
Quali farai?
Adesso sto correndo alla Ruta del Sol, poi farò l’apertura in Belgio e arriverò alla Sanremo dalla Parigi-Nizza, quindi di nuovo Belgio.
E la palestra? In tanti hanno aumentato molto il lavoro “a secco”…
Io quella l’ho sempre fatta. Diciamo che sono tornato ai livelli pre-Covid, con un lavoro ben strutturato, cosa che stando a casa non si poteva fare. Ho lavorato sia sulle gambe e che sulla parte alta.
Invece sul piano tecnico, hai fatto dei cambiamenti?
No, sono cambiate solo le gomme. Siamo passati da Vittoria a Pirelli. Siamo ancora in una fase di test e di prove. Io per ora sto utilizzando dei tubeless da 25 millimetri e devo dire che le sensazioni sono buone. Non saprei dire cosa nello specifico, ma parlo del feeling di guida in generale.
Facciamo un passo indietro, Matteo, non ci hai parlato della Roubaix: come mai?
Perché tra tutte le classiche la Roubaix è quella che mi è sempre rimasta un po’ indigesta. Anche per questo è quella sulla quale sono meno focalizzato. Penso più all’Amstel Gold Race e sì che l’ho fatta solo tre volte. La prima neanche dovevo farla e ho bucato a mezzo giro dalla fine. Una volta mi hanno ripreso a quattro chilometri dall’arrivo, forse anche tre.
Questa non ce l’aspettavamo. E’ anche vero che l’Amstel è particolare: è stata vinta da pseudo-velocisti, ma anche da corridori più “scalatori”…
Mi si addice abbastanza, non è una Liegi e neanche una Roubaix, ma devi saper limare, stare davanti, andare forte in salita, ma al tempo stesso essere veloce.
Classiche e Matteo Trentin: senti il “peso”, la responsabilità di essere uno dei pochissimi italiani a poter fare bene?
No, non ci penso. Penso solo a fare bene. E poi alla fine della fiera parlano i risultati.
In queste sfide c’è un compagno che hai o che vorresti avere sempre al tuo fianco?
Essendo il UAE Team Emirates un grande team, con un programma ampio c’è sempre una grande rotazione di atleti. Questo discorso riguarda più i velocisti con il loro treno. Noi dobbiamo essere bravi ad adattarci alle situazioni e ad integrarci.