Le regole da tecnico di “Sweet Baby Jesus”

02.01.2022
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La prima volta fu a Tenerife a dicembre del 2008, all’alba della stagione in cui Contador e Armstrong avrebbero vestito la maglia dell’Astana e lo spagnolo per questo era parecchio contrariato. Sarebbe stato l’anno del Tour condiviso, vinto da Alberto a capo di tensioni clamorose. La squadra kazaka aveva ingaggiato un suo amico, Jesus Hernandez, compagno nelle giovanili e di tanti allenamenti.

E proprio Hernandez, in un giorno di allenamenti verso Masca, si prese il gusto di mettere in croce l’americano, staccandolo in salita nonostante l’altro avesse tentato di resistergli fino in cima. E la sera, tornato in hotel, scrisse un tweet, che ancora oggi è fra noi motivo di scherzo, chiamandolo «Sweet Baby Jesus», Dolce Bambino Gesù, e coprendolo di complimenti.

«Arrivavo con una buona condizione – ricorda Jesus, in apertura nella foto di Maurizio Borserini – perché nel 2008 non avevo corso e mi ero allenato tanto. Quel giorno si misero davanti Lance e Leipheimer. Io ero per tutti l’amico di Contador e quando andai vicino alla macchina, mi dissero di attaccarli, se potevo. Forse non colsi l’ironia di quella che poteva essere una battuta e così andai con loro e li saltai, dimostrando che ero più dell’amico di Alberto. Lance la prese con grande spirito e al rientro scrisse quel famoso tweet. Fu divertente anche per Johan (Bruyneel, tecnico del team, ndr). Io credo che a gente come Armstrong e come Alberto piacciano le persone con personalità. E se loro attaccavano, perché non avrei dovuto contrattaccare?».

Dalla bici all’ammiraglia

Oggi Sweet Baby Jesus è uno dei direttori sportivi della Eolo-Kometa. Da quei giorni, la sua carriera rimase parallela a quella di Contador. Smise alla fine del 2017 e fu Alberto a coinvolgerlo nel progetto continental Polartec-Kometa, agganciata alla sua Fondazione poi diventata un team professional.

«Sono molto contento di questo ruolo – sorride al termine del primo ritiro spagnolo – per come è andata in questi giorni insieme e per il rapporto che si è creato con staff e corridori. Ci siamo conosciuti meglio, peccato solo per il tempo brutto degli ultimi giorni. Quei mesi con Armstrong? Furono un’esperienza. Lance non mi ha mai trattato male, forse perché sono amico di Alberto. Ma si capiva che fra loro la tensione fosse a mille. Due così che puntano agli stessi obiettivi…».

Il direttore mascherato: Jesus Hernandez, madrileno classe 1981 (foto Eolo-Kometa)
Il direttore mascherato: Jesus Hernandez, madrileno classe 1981 (foto Eolo-Kometa)
Sembra passata una vita…

Sono già al quinto anno come direttore sportivo, è un vivere differente. I primi due anni non furono facili. Scesi di bici e passai in ammiraglia, da una squadra WorldTour con tutti i riflettori, a una piccola continental. Da quando sono arrivati Zanatta e Sean Yates però c’è stata un’accelerazione impressionante. La squadra è salita di categoria e lottiamo per obiettivi importanti. Molte volte in corsa devo respirare, perché vorrei andare davanti ad aiutare i corridori. In macchina sembra facile, ma non è così…

Pensavi a un progresso così rapido?

No davvero, è stato un salto molto alto. Ma visto che a gestirlo s’è ritrovata gente con tanta esperienza, è stato quasi naturale. Lavoriamo con grande serietà, normale lavorare per vincere.

Perché è stato determinante l’arrivo di Zanatta e Yates?

Perché ogni giorno imparo qualcosa. Quando parlano, mi fermo qualsiasi cosa stia facendo, e li ascolto. Yates l’ho avuto come mio direttore alla Tinkoff e poi all’Astana. Sono due maestri.

Smesso di correre nel 2017, nel 2018 Jesus è già alla Valenciana con la Polartec-Kometa
Smesso nel 2017, nel 2018 Jesus è già alla Polartec-Kometa
Che tipo di direttore sportivo è Jesus Hernandez?

Mi piace dissezionare la corsa. Osservare i dettagli. Il vento. La salita. Preferisco il livello tattico, oltre a trovarmi bene nel motivare i più giovani, perché non abbiamo una grandissima differenza di età. Con alcuni della squadra ho anche corso. Però quello che preferisco è prendere la mappa nella riunione del mattino sul pullman e presentare la corsa, spiegando i vari passaggi.

Eri così anche da corridore?

Quando ero in camera con Alberto (ride, ndr), si stava tutta la notte col libro in mano a preparare qualcosa. Niente era per caso, lui studiava il percorso e gli avversari. Era molto metodico in tutto. C’erano e ci sono corridori che non aprivano nemmeno il libro della corsa, noi invece arrivavamo al via e sapevamo già tutto.

E’ cambiato il vostro rapporto?

Non è cambiato niente. Va bene, non dividiamo più la stanza, ma siamo sempre amici. Usciamo la sera, andiamo a cena. Andiamo in bici con i corridori, ci divertiamo ancora con il ciclismo e con la squadra. Mi piace lavorare con lui e per lui.

Quando hai capito che la tua sarebbe stata carriera da gregario?

Già prima di andare alla Astana. Ho capito che non avrei vinto tanto facilmente, ma che avrei potuto aiutare il migliore a farlo. Quando nel 2004 passai alla Liberty Seguros, mi resi conto che andavo bene, ma sempre un gradino sotto i migliori. A Madrid mi allenavo con “Dani” Moreno, che ha la mia età. Lui si preparava per vincere e ci riusciva, io no. Non è stato difficile scegliere.

Da dove comincerà il tuo 2022 di corsa?

Da Valencia e Mallorca con gli spagnoli. Abbiamo diviso i corridori in base alle affinità. Io ho il gruppo spagnolo, Yates quelli che parlano inglese, Stefano e Conte seguono gli italiani. L’importante è che il corridore si trovi bene, questo è il nostro punto di partenza.