Tra il 2010 e il 2015, Adriano Malori ha disputato Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta per un totale di sette volte. Ha conosciuto molto bene le grandi montagne di queste corse, così come i paesi più caratteristici o alcune tra le zone più remote nelle gare minori. L’esperienza pertanto non gli manca quando dice che il percorso de L’Etape Parma by Tour de France non ha – e non avrebbe – nulla da invidiare ad una tappa di media montagna di un Grande Giro.
La seconda edizione della gran fondo ufficiale del Tour – organizzata sempre da ExtraGiro – andrà in scena domenica 4 maggio con partenza e arrivo a Parma e un tracciato leggermente modificato rispetto all’anno scorso. Planimetria e altimetria aumentano di pari passo: 150 chilometri e 3.150 metri di dislivello. Dalla città all’Appennino Est parmense e rientro, per una giornata da vivere tutta d’un fiato per i più agonisti e con più serenità per il resto dei pedalatori.
Andata fuori Parma
L’uscita dal Parco Ducale verso i primi rilievi rispecchia lo stesso tragitto del 2024. Tutte le strade toccate da L’Etape Parma sono ben conosciute da Malori. Su quegli asfalti ne ha fatti fuori tanti di copertoncini fin da quando era un allievo che studiava per diventare il grande pro’ che è stato.
«La gran fondo – attacca il 37enne di Traversetolo – è caratteristica perché si sviluppa su tutti gli itinerari che fanno i ciclisti parmensi in base alle varie stagioni. La prima parte, quella che va verso la zona dei calanchi e dei “vulcanelli” del gpm di Rivalta, è la palestra d’allenamento per tutti quegli appassionati che sfruttano la propria pausa pranzo in bici. Le colline di quell’area della provincia non sono troppo distanti dalla città, ma ti permettono già di fare una validissima sessione. Sono caratterizzate principalmente da strappi medio-corti e secchi che ricordano le côte delle Ardenne. Si torna a casa sempre con un bel dislivello concentrato in un paio d’ore».
Si continua a salire
Se durante la settimana il tempo per allenarsi è ridotto, nel weekend si possono estendere le ore di bici andando a cercare le salite leggermente più lunghe nel tratto di alta collina. E’ in questo frangente che la gran fondo del Tour comincia la seconda parte.
«In questo tratto – prosegue Malori nella sua analisi – l’Appennino ti fornisce infinite possibilità di itinerari. Il Passo del Crocione (secondo gpm di giornata, ndr) è una salita di tutto rispetto con una lunghezza che ti impegna già per diversi minuti. La relativa discesa è l’unico momento in cui rifiatare perché da lì in avanti si continua a salire. Si arriva attorno agli 800 metri di Lagrimone, paese che per me ha sempre rappresentato il crocevia dei miei allenamenti. Ricordo che quando arrivavo lì, guardavo il computerino e decidevo cosa fare, ovviamente tenendo conto anche del meteo. Se avevo ancora tempo e volevo salire, ne sceglievo una delle tante che sono lì attorno. Viceversa se ero un po’ stretto con i tempi, mi buttavo nelle discese veloci che portano in Val Parma o in Val Termina, che era quella più vicina a casa mia».
Monte Caio, la vetta de L’Etape
Da Lagrimone – che nel ’91 venne attraversato dalla Prato-Felino vinta in solitaria da Ghirotto – inizia l’ascesa a Schia-Monte Caio, il punto più alto della corsa con i suoi 1.273 metri di altitudine. Schia è la sede dell’omonimo comprensorio sciistico, nel quale è cresciuto l’ex azzurro di discesa libera Alessandro Fattori (due vittorie in Coppa del mondo), nonché appassionato ciclista.
«Nonostante le mie caratteristiche fossero altre – dice Malori – ho sempre amato questa salita perché è molto simile a quelle che trovi in una grande corsa a tappe. Non le manca davvero nulla. Schia aveva diversi versanti, ma a causa di frane e smottamenti recenti, ne sono rimasti solo un paio ben percorribili. Quello più “nobile” lo si affronta nella gran fondo. Si sale a gradoni con tanti tratti in doppia cifra di pendenza e altri in cui bisogna saper spingere di potenza. Poi a livello ciclo-turistico offre panorami favolosi. Sarebbe bello vederci arrivare una tappa del Giro, visto che di spazio lassù ce n’è tanto. Vi garantisco che ne uscirebbe un bello spettacolo. Purtroppo il grosso problema di Schia è un altro, che vi dirò fra poco».
Ultime salite e ritorno
Una volta scollinati sulla “Cima Coppi” de L’Etape Parma, restano due gpm da fare tutt’altro che anonimi. Il primo è Cozzano Pineta (quasi a quota 1000 metri), introdotto dal celeberrimo ed infernale “cavatappi”: tre chilometri e mezzo al 12% e punte al 16% prima di affrontarne altrettanti con pendenze un po’ più umane. Il secondo è nuovamente il Passo del Crocione, fatto all’andata dallo stesso versante, che rappresenta quella famosa modifica rispetto al 2024.
«La cosiddetta salita di Sodina – racconta Malori – ovvero l’inizio che porta a Cozzano Pineta è tremenda e se lo ricordano bene i partecipanti del Giro ’90. All’epoca però la iniziavano di slancio perché si arrivava in discesa da Corniglio, nella gran fondo invece la si prende da Pastorello e quindi si inizia a salire già da qualche chilometro prima. Per gli amatori della zona il “tirabuson” (cavatappi in dialetto parmigiano, ndr) è il nostro Zoncolan. La salita più dura che abbiamo qui attorno, una vera leggenda. E comunque anche il paesaggio di Cozzano Pineta è incredibile. Appena inizia la discesa, nelle giornate terse, si vede tutta Langhirano, la Val Parma fino alla pianura attorno alla città»-
«Dopo il secondo Passo del Crocione – puntualizza – se guardate il profilo altimetrico, c’è la salita di Faviano che non è segnata come gpm, ma che non è da sottovalutare. Così come gli altri severi strappi successivi all’interno del comune di Lesignano Bagni. Quando correvo li usavo spesso come tappabuchi per completare il mio allenamento di giornata. Vi assicuro che questo finale può restare nelle gambe a tantissimi, specie chi si vuole giocare la vittoria finale. Rispetto ad un anno fa, il rientro a Parma è meno semplice».
Importante per la promozione turistica
Un percorso di 150 chilometri di una qualsiasi gara ciclistica non è mai solo da vedere in ottica agonistica. Tutto ciò che le gravita attorno è fondamentale per far conoscere un territorio assieme alle sue eccellenze culturali, enogastronomiche o di altra natura. Malori conosce bene le sue terre e quelle confinanti per avere le idee chiare sull’argomento.
«Vi ricordate prima quando vi avrei detto il problema di Schia? – riprende il filo lasciato in sospeso – Il guaio di località come Schia è l’assenza delle istituzioni provinciali che non riescono ad incentivarne il turismo in inverno e soprattutto in estate. Ci sarebbero percorsi bellissimi da fare per le famiglie con le e-bike se solo ci fosse un numero adeguato di attività. Bene, ora so che dirò una cosa impopolare, attirandomi forse le ire di qualche parmigiano. La provincia di Parma dovrebbe prendere esempio da ciò che hanno fatto sulle montagne di Reggio Emilia, dove hanno riqualificato i loro centri montani facendoli diventare paesi attrezzati di villeggiatura praticamente tutto l’anno».
«Nel 2014 – chiude con una riflessione Malori – quando il Giro ebbe due tappe parmensi, ricordo che il mio compagno Giovanni Visconti alla Movistar rimase sorpreso dal fatto che non ne sentiva mai parlare delle nostre montagne attraverso pubblicità o mezzi simili. Secondo me qua da noi ci vogliono più le idee che i soldi per migliorare la situazione. In questo senso penso proprio, e lo spero vivamente, che L’Etape Parma by Tour de France sia un eccezionale veicolo di promozione turistica per le nostre zone dimenticate o sottovalutate. Perché, lo ripeto senza paura di essere smentito: sulla carta al nostro Appennino Est, con le sue salite, non manca nulla per essere teatro di una grande tappa del Giro d’Italia».