Il tifo è da sempre una componente dello sport, ma lo si guarda soprattutto dalla parte appunto dei tifosi. Le curve di uno stadio, gli appassionati sul divano, le ali di folla a bordo strada nel ciclismo. E in questo caso, che è quello che ci riguarda, è intervenuto Alessandro Covi.
Il giovane talento della UAE Emirates ha detto al nostro direttore, Enzo Vicennati, che nel giorno dell’impresa sulla Marmolada, quando passava tra le ali di folla vedeva che automaticamente il suo computerino segnava 50-60 watt in più… senza che lui accelerasse.
Elisabetta Borgia, psicologa dello sport e clinica della Federazione e della Trek-Segafredo, ci aiuta a spiegare tutto ciò da un punto di vista scientifico.
“Sentendo la gente che mi incitava e urlava il mio nome, mi ritrovavo con 60 watt in più senza che me accorgessi”: parola di Covi. Dottoressa, cosa succede nella mente e nel corpo dunque?
Noi siamo pensieri, siamo emozioni e siamo comportamenti, azioni, reazioni. Quindi nel momento in cui abbiamo dei pensieri di un certo tipo e delle emozioni che attivano e continuano vicendevolmente a rinforzarsi, abbiamo anche degli effetti a livello fisico. Effetti a livello comportamentale come maggiore determinazione e confidenza.
E come avvengono tecnicamente?
Questi corrispettivi fisici sono dati da un’attivazione del nostro sistema simpatico, che è il sistema attivante, istintivo, quello che serviva all’uomo primitivo per scappare dalle bestie feroci. Quindi è chiaro che bisogna lavorare sugli aspetti emotivi, sui pensieri. Proprio perché poi i dati oggettivi come i watt ci dicono che hanno effetti a livello fisiologico. Effetti che non sono solo mentali, ma anche di prestazione fisica.
Quindi un atleta dovrebbe essere bravo a “crearsi” sempre il tifo, anche quando non c’è?
In un certo senso sì ed è quello che avviene quando si parla del dialogo interno. Il dialogo interno non è altro che quello che ci diciamo in tutta la nostra vita e che diventa fondamentale anche nel mondo dello sport.
Un esempio?
Un conto è essere in gara e pensare che gli altri vanno più forte, che non è la nostra giornata, che le gambe sono dure. Un conto, all’opposto, avere un dialogo interno positivo che ti dice in maniera efficace cosa devi fare per essere competitivo in quel momento, che ti dà delle indicazioni corrette, degli incoraggiamenti o che, banalmente, ti serve anche solo per tenere il focus su quello che stai facendo.
Ti è mai capitato che un atleta ti abbia detto le stesse cose di Covi?
In termini di vantaggi, in senso lato, sì. In modo così specifico no. Tanto lavoro che facciamo è sul dialogo interno. Quando l’atleta ha dei momenti in cui si sente meno efficace, quindi è meno determinato, si va a lavorare proprio su questi aspetti. E cioè: cosa ha detto a se stesso, che emozione stava provando in quel momento e anche nel pre-gara.
Siamo nel ciclismo dei numeri in cui tutto è sotto controllo. Covi ha parlato addirittura di watt: ma questi surplus che inevitabilmente il corpo umano tira fuori, poi vengono pagati? Oppure è qualcosa in più che il corpo riesce a tirare fuori da chissà quale fonte?
Difficile da dire e quantificare. Io dico sempre ai miei atleti che le energie psicofisiche non sono infinite e che il nostro serbatoio di energie è come una tanica. Una tanica che a un certo punto si prosciuga. Però poi ci sono di mezzo molti aspetti, anche motivazionali appunto, che ci permettono di andare oltre i nostri limiti fisici. E’ chiaro che una cosa del genere, come aumentare il ritmo passando tra le ali di folla, non può essere portata avanti per lunghissimi tempi. E’ un po’ come quando fai un esame all’università e arrivi la sera che sei cotta, stravolta e senti che ti stai lasciando andare. Però in una situazione come quella di Covi l’aspetto motivazionale, l’eccitazione data dal vedere dei numeri che magari non ha mai visto prima, sicuramente gli hanno permesso di arrivare in cima senza calare. E poi ricordiamoci anche un’altra cosa.
Cosa?
Il limite fra il numero da fenomeno e l’errore madornale è molto sottile. Esempio: attacco in un momento inaspettato, lontano dal traguardo. Se tiro dritto e mi prendono a 100 metri dal traguardo ho fatto una cavolata, ma se arrivo ho fatto l’impresa. Per questo spesso dico che bisogna guardare le cose anche con un po’ di distacco e dire: «Va bene, ho fatto questo errore, ma l’ho fatto per questo motivo».
Si possono quantificare i watt in più della mente?
Nel dopo prestazione si fanno molte analisi e siamo in un mondo in cui i numeri sembrano avere la meglio. La mente è un aspetto che adesso viene considerato molto di più, ma in passato lo era molto meno. Sì, magari la mente ti fa fare dei watt in più e allora metti in bilico tanti punti di vista. Che fai in corsa o in allenamento li calcoli o non li calcoli? Magari fai in corsa dei passaggi che non riusciresti a tenere nel ritmo eppure…
Che insegnamento ha tratto Covi da questa esperienza?
Innanzitutto che può vincere. Tutti sapevano che era un grandissimo talento, ha dimostrato che non è solo talento, ma è uno che porta a casa il risultato sul campo. La consapevolezza è sicuramente l’insegnamento più grande. Lo ha interiorizzato, si sente efficace. E una volta interiorizzata un’impresa del genere, nella sua testa è come se si proiettasse in una dimensione diversa in cui dice a se stesso: «Non sono più quello solo talentuoso. Sono quello che ha già vinto e può continuare a farlo». Lo sa lui e lo sanno gli altri. Vedremo dove arriverà, ma di solito quando si parte in questo modo e cioè che cresci fisicamente, che stai facendo esperienze positive, che stai migliorando, che inizi a vincere… s’innesca una spirale positiva. Fino a che poi non diventi quello che vince. A quel punto c’è un altro step da fare: non sono più la promessa che ha vinto qualche gara. Sono quello che quando parte deve performare, altrimenti ho fatto la controprestazione.