La vicenda sportiva, ma soprattutto umana che ha coinvolto Sonny Colbrelli ha avuto un grande impatto su tutta la stagione italiana del ciclismo. Il futuro del campione europeo (ancora in carica, visto che la gara di Monaco è di là da venire) è tutto da scrivere dopo che gli è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo. Nessuno può comprendere quel che Sonny sta passando meglio di Riccardo Magrini, che da quasi 5 anni vive con il strumento attaccato al suo corpo, dopo quella terribile giornata di agosto.
Negli studi di Sky
Riccardo era ospite di un programma di Sky quando improvvisamente ha avuto un mancamento. Provvidenziale è stato l’intervento del collega Lucio Rizzica, che gli ha praticato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca fino all’arrivo dei sanitari. Il verdetto era stato drammatico: un infarto. Magrini è stato qualche giorno in coma farmacologico, poi la lenta ripresa.
Oggi Riccardo è tornato a una vita normale, commenta ogni giorno le grandi corse ciclistiche per Eurosport e ha accettato di buon grado di spiegare come può vivere con un defibrillatore un uomo di sport.
«Dipende molto dall’approccio psicologico – spiega – dall’accettazione dello strumento. Io non ci penso neanche, altrimenti riconosco che sarebbe difficile. In una cosa io e Sonny siamo stati fortunati: non ricordiamo nulla, quindi non ricordiamo la sofferenza, il dolore. Abbiamo perso conoscenza e ci siamo risvegliati con questo salvavita addosso, perché tale è».
La tua vita è cambiata? Nelle telecronache spesso parlavi dei cicloraduni ai quali ti invitavano ogni fine settimana, è ancora così, puoi parteciparvi?
Certamente, la mia vita non ha subìto particolari cambiamenti, ma chiaramente non è comparabile con quella di un corridore professionista. Esco spesso in bici, ma uso la bicicletta a pedalata assistita per tenere sotto controllo gli sforzi. Prima del Tour sono uscito 4 volte in bici nell’arco di una settimana, nel complesso arrivo a fare almeno 4.000 chilometri l’anno e sono pochi a causa del lavoro. Però ripeto, il mio caso è riverso rispetto a quello di uno sportivo praticante.
Molti parlando di Colbrelli hanno tirato fuori l’esempio di Eriksen, che ha ripreso appieno la sua attività e dalla prossima stagione giocherà nel Manchester United.
Sono situazioni molto diverse. Quello del danese è stato un episodio, ma nel caso malaugurato dovesse ripetersi, ha sempre gente vicino a lui. Per un ciclista è diverso, il rischio è maggiore innanzitutto perché è uno sport più solitario da questo punto di vista, almeno in allenamento, poi si tratta di sforzi molto diversi. Molto conta il carattere, la testa. Certo, per i dottori si dovrebbe stare sempre a casa…
Un’attività intensa è quindi da sconsigliare?
Sinceramente non so dare una risposta definitiva, dipende dalla persona. I rischi ci sono, bisogna pensarci. Per me è diverso, io ad esempio ho sempre avuto la passione per lo sci e d’inverno sono tornato in montagna, qualche partita a pallone ancora me la concedo, faccio attività fisica anche se secondo il medico, il dottor Bulletta che mi ha operato dovrei perdere ancora qualche chilo… Per fortuna in questi 5 anni non ci sono stati segnali negativi, ma un conto è fare una vita sana inquadrando lo sport in essa, un altro compiere sforzi veri.
Obiettivamente come la vedi?
Gli auguro con tutto il cuore di poter tornare a competere, ma – e lo dico con una grande tristezza – ho dei dubbi.