Il primo segnale davvero drammatico fu il malore che colse Colbrelli il 21 marzo del 2022. Chi lo vide cadere sul traguardo della prima tappa del Catalunya pensò che non ci fosse più niente da fare, invece il massaggio cardiaco salvò la vita al bresciano che interruppe subito l’attività. Un mese dopo, si fermò Gianmarco Garofoli per una miocardite. Dovette ricorrere a un intervento che dopo qualche mese gli permise di riavere l’idoneità. Quello che però fu raccontato come un semplice malore, pochi giorni fa è stato descritto da suo padre come un principio di infarto a 20 anni. Qualcosa di simile al malore che di recente si è portato via Simone Roganti, che ne aveva 21.
A dicembre 2020 venne fermato per miocardite Diego Ulissi. Nel 2021 l’ablazione cardiaca toccò a Viviani e l’anno precedente a Cipollini. Lorenzo Masciarelli ha scoperto di avere una pericardite grazie a un incidente stradale. Lo hanno ricoverato per un braccio dolorante senza sapere sul momento che gli stavano salvando la vita.
Si è andati avanti di caso in caso, segnandoci la fronte quando qualcuno se ne andava senza motivazioni apparenti. Come Dario Acquaroli, ex campione del mondo di MTB, morto per un malore ad aprile 2023, mente stava passeggiando sulla sua bici. La morte di Silvano Janes agli europei gravel di ieri ad Asiago potrebbe confluire nello stesso contesto. E’ come se dopo il Covid sul mondo si sia abbattuta un’ondata di virus cardiaci che, se non diagnosticati, portano alla morte. E se questo è vero, in che modo è aumentata l’attenzione di medici, società e atleti per tutelare davvero la salute?
La difesa che manca
E’ un tema delicato da maneggiare. Da molte parti infatti, più che il Covid si incolpano i vaccini, ma non esiste ancora, a quanto ci risulta, un nesso dimostrato di causa/effetto. In attesa che degli studi vengano portati a termine ed evitando di perderci in chiacchiere, in che modo si tutela la salute di chi fa sport?
Abbiamo la pelle d’oca nel renderci conto della difformità di regolamento a livello internazionale. I medici sportivi parlano fra loro. E l’osservazione anche ironica che vede gli italiani vittime nei congressi internazionali arriva spesso dalla Gran Bretagna. Oltre la Manica infatti, la visita di idoneità non è obbligatoria e ugualmente il tasso di mortalità dei loro atleti è di pochissimo superiore al nostro: perché fare tante visite, dicono, se poi gli esiti sono identici?
Il punto è proprio questo. Il sistema italiano va difeso con ogni mezzo possibile, ma va reso affidabile (in apertura l’Istituto Riba di Torino, eccellenza nazionale). Avremmo il modo per ridurre a zero la percentuale, non trattandosi per fortuna di numeri elevatissimi, ma rinunciamo a farlo. Spendiamo migliaia di euro dal dentista per avere un bel sorriso e ci accontentiamo o pretendiamo che una visita di idoneità agonistica costi meno di una pulizia dei denti. E’ normale?
Le idoneità regalate
Il medico italiano di una squadra WorldTour ci ha raccontato che le visite che esegue privatamente nel suo studio durano fra 40 e 50 minuti. Un altro ci ha detto che per rendersi conto di come sia possibile fare tutto bene e anche in modo rapido, abbia cronometrato una visita, fermando il cronometro a 38 minuti. Nei loro studi non si spende meno di 120 euro. Sono visite importanti, fanno la differenza fra vivere e morire, quindi è giusto che abbiano un costo.
Qual è la qualità o la profondità di una visita di 20 minuti, pagata fra 50 e 90 euro, di cui il medico percepisce a dir tanto il 50 per cento? Con quale tranquillità d’animo egli può rendere abile un atleta di qualunque età, sapendo di non aver fatto il meglio e che, qualora quello morisse, ne dovrebbe rispondere penalmente? E come è possibile che la Federazione dei medici sportivi ritenga accettabile l’idoneità agonistica rilasciata in appena 20 minuti?
La salute dei figli
Probabilmente ai livelli più alti dello sport il problema è relativo, seppure non sia difficile andare con la memoria alle morti di Lambrecht, Nolf, Myngheer, Goolaerts e quelli che hanno perso la vita per malori improvvisi. Nonostante la normativa UCI preveda di eseguire ad anni alterni l’ECG con prova da sforzo e l’ecografia cardiaca, sono sempre di più le squadre che li impongono annualmente e gli atleti che chiedono di farli. Quel che lascia con l’amaro in bocca è invece l’atteggiamento di tanti genitori nelle categorie giovanili.
Si vuole spendere poco, anche se si parla della salute dei propri figli, preferendo semmai vuotarsi le tasche per la bici più leggera. Ci si accontenta di visite di idoneità poco più approfondite di una pacca sulle spalle. Si chiede al dottore di fare presto. Le società fissano appuntamenti presso studi convenzionati in cui si eseguono batterie di test senza il minimo approfondimento. E’ facile rendersi conto che l’approssimazione di certe visite sia legata alla poca attenzione da parte degli utenti, soprattutto delle famiglie dei più piccoli. Perché certe abitudini cessino, sarebbe sufficiente non frequentare più gli studi in cui si lavora con superficialità. Invece si va avanti con la mentalità italiana per cui un ristorante è buono se per 20 euro ti riempie la pancia, senza guardare la qualità di quel che si butta giù. Forse però, parlando di cuore e sopravvivenza, sarebbe meglio puntare su un… ristorante con qualche stella in più.