Arteria iliaca, l’incubo del ciclista? Chiediamo al dottore

13.05.2023
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Stybar ha dichiarato pochi giorni fa di essersi sottoposto all’intervento chirurgico per risolvere la patologia dell’endofibrosi dell’arteria iliaca. Un’operazione che come le pedine di “indovina chi” coinvolge gli atleti del gruppo. Negli ultimi anni ha coinvolto, restando in Italia, Erica Magnaldi, Nicola Conci, Luca Chirico, Eugenio Alafaci, Fabio Aru e Alessandro Monaco. Vista la sua natura, legata perlopiù allo sport, agli occhi ignoranti di chi osserva viene vista come un’ultima spiaggia. 

Risponde Guardascione

Nulla di tutto questo. Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla, ci ha infatti spiegato cosa porta alla diagnosi ma sopratutto chi e perché si decide di operare questa parte del corpo ai più sconosciuta. E forse di incubo non si deve parlare…

«Devo premettere due cose – chiarisce Guardascione – perché sono fondamentali. Esiste una predisposizione anatomica, perché non tutti hanno l’arteria iliaca che fa un’ansa, che fa una specie di curva o di ginocchio a livello inguinale. Il secondo fattore predisponente è proprio l’attività ciclistica intensiva. Quindi riguarda i ciclisti, dilettanti, professionisti e quant’altro che praticano da parecchi anni l’attività di endurance».

Il dottor Carlo Guardascione in carriera ha avuto a che fare molte volte con questa patologia
Il dottor Carlo Guardascione in carriera ha avuto a che fare molte volte con questa patologia
Che patologia è?

La patologia si chiama endofibrosi dell’arteria iliaca. Ed è una patologia vascolare ovviamente dovuta all’ispessimento e al restringimento di alcune zone dell’arteria Iliaca, che però sono già anatomicamente anomale. Nel senso che si inspessisce la parete arteriosa nella zona inguinale in soggetti che fanno questo tipo di sport di endurance da parecchi anni (nei giovani, a parte qualche caso eccezionale, non si vede). Hanno quindi un’arteria che fa una specie di ansa, una specie di curva, fisiologicamente. Per cui inspessendo la parete sotto sforzo, si ha un restringimento del flusso sanguigno. Durante lo sforzo fisico deve aumentare il flusso sanguigno agli arti inferiori, se questo flusso sanguigno deve passare in una zona che è stenotica, perché l’inspessimeto restringe il lume, è ovvio, il sangue non arriva e come conseguenza come sintomo prioritario si ha la difficoltà a mantenere lo sforzo e una sofferenza vascolare.

L’arteria iliaca è un vaso sanguigno di grandi dimensioni che si trova nella regione pelvica del corpo umano
L’arteria iliaca è un vaso sanguigno di grandi dimensioni che si trova nella regione pelvica del corpo umano
Qual’è il principale sintomo?

Dolore alle gambe e la mancanza di forza, la perdita di potenza a livello di gamba perché c’è uno strozzamento del flusso di sangue che deve arrivare agli arti inferiori.

Quindi la la diagnosi non è così difficile…

La diagnosi è duplice. Innanzitutto è clinica, nel senso che l’atleta racconta i suoi problemi che hanno tutti una caratteristica comune: il fatto di manifestarsi solo sotto sforzo intensivo. Non avviene a riposo. Poi la diagnosi viene confermata da un esame diagnostico che è un angiografia, quindi un esame con un mezzo di contrasto in cui praticamente viene verificato e visualizzato com’è il decorso dell’arteria iliaca. Generalmente si scopre appunto che a livello inguinale l’arteria ha una malformazione anatomica. Può presentare un’eccessiva lunghezza o una specie di curva che ovviamente, stando seduti sulla bicicletta, quando la posizione di flessione forzata della schiena comprime la zona, dà origine al problema. 

L’intervento chirurgico in cosa consiste?

Consiste nel togliere quest’ansa mettendo uno stent, generalmente in materiale sintetico, con cui si elimina questo strozzamento dell’arteria e il sangue ritorna a fluire normalmente. 

Monaco ha subito la stessa operazione l’estate scorsa, ora è in mezzo al gruppo in forza al team Technipes
Monaco ha subito la stessa operazione l’estate scorsa, ora è in mezzo al gruppo in forza al team Technipes
Con l’operazione si ha la certezza di risolvere il problema al cento per cento?

In grandissima percentuale l’operazione risolve. Nella mia carriera ricordo soltanto di un caso che ha dovuto essere operato due volte, a causa dello scollamento post operatorio nel punto in cui era stata messa la protesi biologica, che ha richiesto un secondo intervento. Però questo fa parte della casistica operatoria di questo tipo di interventi.

Che tempi di recupero si hanno?

Non brevi, perché ci vuole almeno un mese di immobilità assoluta per consentire alle strutture anatomiche di adattarsi al nuovo stent, a questa nuova protesi che è stata inserita e poi una riabilitazione. Per cui, chi va veloce impiega tre mesi. Poi da tre a sei mesi per la guarigione completa.

Lei ha avuto molti casi di atleti con questo tipo di problema?

Certamente sì. Le caratteristiche sono proprio queste, una malformazione anatomica congenita e un’attività ciclistica o di endurance che può capitare anche ai triatleti. Ma anche sciatori di fondo, podisti. Si parla sempre di un’attività prolungata per tanti anni. Due anni fa abbiamo avuto Amanda Spratt che è una donna. La Van Vleuten è stata operata anche lei, che non era una mia atleta, però questo si sa. Così come Aru.

La posizione in sella non è la causa ma è un fattore che può favorire la patologia
La posizione in sella non è la causa ma è un fattore che può favorire la patologia
Quanto passa dai primi sintomi/sospetti alla effettiva diagnosi e decisione di operarsi?

Inizialmente è una cosa che viene piano piano, perché l’endometriosi è il restringimento dell’arteria e non è repentino, ma lento e progressivo. Quindi si parla di settimane e mesi. L’atleta sente un qualcosa di strano poi, magari per un mese non sente più niente. Poi gli ricapita di nuovo… Quindi arrivare alla diagnosi non è mai repentino. Un’angiografia con mezzo di contrasto non è un esame di routine, per cui bisogna farla con una certa cognizione di causa. Quindi la diagnosi non è immediata perché la malattia è progressiva e molto lenta anche nel progredire. Diciamo che ci sono dei fattori predisponenti e anatomici, anche di viscosità, nel senso che se si ha il sangue molto denso si può avere uno stimolo a l’irrigidimento dell’arteria. Un po’ come capita con l’arteriosclerosi coronarica o l’arteriosclerosi cerebrale nelle persone normali. 

In futuro l’atleta può riprendere al cento per cento la sua carriera al massimo livello?

Diciamo che la prognosi è sempre molto buona. Al 100% no, ma almeno un 90% dei ritorno alle prestazioni precedenti alla patologia ci si arriva. Perché è un problema praticamente meccanico, una volta risolto il problema del sangue, in base alle sue qualità ritorna a essere quello che era prima.