Quando gli anni passano portare a regime un motore, seppur gigante, come quello di Vincenzo Nibali non è facile. Lo Squalo ha pagato qualcosa nell’immediato rientro post lockdown, perché? Ne abbiamo parlato con il suo storico preparatore, Paolo Slongo.
«Va premesso – dice il Slongo – che stiamo parlando di un anno particolare, non scordiamolo in cui non ci sono dei veri punti di riferimento. Detto ciò, Vincenzo alla Parigi-Nizza, ultima gara (a marzo, ndr) prima dello stop era competitivo ed in linea con il programma. Dopo il lockdown abbiamo volutamente ripreso con il calendario italiano per evitare i problemi dei viaggi all’estero, eventuali quarantene. Da ciò nasce il primo “errore” se così si può dire, cioè non fare corse a tappe visto che in Italia non ce n’erano. Però è stata una scelta voluta proprio per non correre rischi. Abbiamo visto che con gli anni a Nibali queste corse servono molto».
La brillantezza perduta
Pagato qualcosa in brillantezza, e Nibali non era certo contento di questa situazione soprattutto pensando ai tanti tifosi che sempre lo aspettano in primissima linea, lo staff ha deciso di ritornare in altura al San Pellegrino. Quindi campionato italiano e “blocco Tirreno”, come dice Slongo.
«Questa corsa era di 8 giorni, meglio rispetto ad un Giro di Polonia o altre, che sono state molto più brevi. Nel complesso è stato un lavoro importante. È vero che abbiamo pagato ancora, ma lo sapevamo. La cosa positiva però è che Vincenzo si sentiva meglio tappa dopo tappa. Mi diceva le sue sensazioni e poi recuperava meglio a fine corsa».
Ritorno ai livelli del 2014
Lo Squalo può arrivare ancora quindi ai valori eccelsi del 2013-2015? Slongo ne è convinto: «Sì ci si arriva ma è più dura. Faccio un esempio: prendiamo il peso. Raggiungere il peso forma col metabolismo che cambia richiede più sacrifici. Per quel che riguarda i valori in bici, se su resistenza e lunghe salite non ci sono grossi problemi sull’esplosività il discorso è differente. Per questo a volte facciamo sessioni di allenamento che sono quasi da velocisti: scatti, partenze da fermo…».
Due nodi: esplosività e tattica
A questo punto ci vengono in mente due domande. La prima: nell’era in cui tutto accade negli ultimi chilometri dell’ultima salita avendo meno esplosività bisogna cambiare tattica? La seconda, ma le corse di un giorno che sono più nervose dovrebbero far bene allo Squalo o no?
«La tattica in una gara di tre settimane è legata all’andamento della corsa. Se sei avanti di certo ci sono meno problemi, se sei indietro non puoi pensare di fare tutto all’ultimo. Per le corse di un giorno è vero: fanno bene ai cambi di ritmo. Infatti per Vincenzo sono più indigeste, ma al tempo stesso più allenanti: sono uno stimolo diverso. Quelle più il blocco Tirreno ci porteranno in condizione al Giro d’Italia. Ne sono convinto Vincenzo sulle tre settimane è ancora competitivo».
L’assenza di un rivale italiano
«Come lo vedo rispetto a dieci anni fa in queste fasi? Beh, in qualche modo ha più pressione e lui stesso se ne mette. Prima era più spensierato. Vincenzo non vorrebbe mai deludere i suoi tifosi che, al contrario, lo vorrebbero in testa dalla Sanremo alla Vuelta. A conti fatti è l’unico italiano che è sempre lì, dalle classiche ai grandi Giri. Manca un duello Moser-Saronni che avrebbe contribuito a dividere le pressioni e le attenzioni mediatiche».