Uno l’ha ringraziato più volte durante il Giro d’Italia. L’altro aveva espresso degli apprezzamenti nei suoi confronti. Parliamo di Filippo Zana e Marco Pinotti, atleta e coach.
La coppia della Jayco-AlUla ha iniziato col piede giusto la sua storia lavorativa. Pinotti ci racconta proprio di questo viaggio e come è intervenuto con il corridore veneto. «Ma lo dico subito – spiega Pinotti – il merito è anche dello staff. Penso a Laura Martinelli per esempio. Ogni giorno, ogni allenamento, di ogni camp o altura, era calibrato al meglio per quanto riguarda l’alimentazione. E questo ti consente di lavorare al top».
Marco, un bel Giro da parte di Zana: te l’aspettavi?
Un po’ sì. Speravo in una vittoria di tappa, visto come era uscito dall’ultima settimana del camp che avevamo fatto in altura. Ne ho avuto conferma immediata già al Romandia. C’era un livello di partenti di tutto rispetto e Filippo era andato forte. Di contro avevo pensato che ci fossero quelli che arrivavano stanchi dalle classiche di aprile e che invece Zana fosse fresco. Ma al Giro no…
Al Giro ha trovato concorrenti che avevano preparato il Giro…
E giorno per giorno Filippo dava segni di ottima condizione. L’unico dubbio era l’ultima settimana, visto che andava forte proprio dal Romandia. Invece ha continuato a migliorare. Ma questo era un dubbio più mio che suo, perché la preparazione era stata fatta per arrivare bene a inizio Giro. E invece lo ha finito forse meglio di come l’aveva iniziato.
Andava in fuga, tirava per i compagni, spingeva il rapporto…
Filippo ha preso le fughe che doveva, che poi sono quelle andate via di forza. Sinceramente, persa l’opportunità di Bergamo, pensavo fosse davvero difficile vincere una tappa… E invece ne ha vinta una ancora più bella, per di più contro gente difficile, basta pensare a Pinot. E il giorno dopo sulle Tre Cime si è confermato nonostante venisse da una tappa in cui aveva speso tanto.
Sul Lussari l’abbiamo visto arrivare stremato…
Ha fatto molto forte la parte in salita. Una sorta di test per il futuro.
E a proposito di futuro, può essere un uomo da corse a tappe, Zana?
Non ho la sfera di cristallo, ma credo che lui già sia da corse a tappe. Ha chiuso 18° nelle generale: magari quest’anno ne ha avuti tre o quattro in più che sono andati a casa, ma succede sempre che alcuni big abbandonino. E poi non dimentichiamo che Filippo ha già fatto terzo ad un Tour de l’Avenir: vieni considerato di default da corse a tappe. Magari potrà iniziare a lavorarci puntando a quelle di una settimana. Per certi aspetti mi ricorda un po’ Caruso. Damiano ha iniziato ad andare veramente forte nei Giri quando aveva 26-27 anni.
Può arrivare in alto, ma in modo progressivo insomma: è così?
Esatto. Quando un corridore tira per il capitano e nel finale restano in dieci, vuol dire che i numeri li ha anche lui.
Marco, come hai lavorato invece con Zana? Che corridore hai trovato?
Ho trovato un corridore abituato a lavorare tanto. In qualche caso l’ho dovuto tenere a freno. Nel ritiro di dicembre abbiamo fatto un bel lavoro sul volume ed ero già soddisfatto. Poi a gennaio è arrivato magro, molto magro. Dovevamo fare dell’intensità in salita, ma negli ultimi giorni gli ho detto: “Filippo non farle al massimo perché non vorrei esagerare”. E lui: “No, no Marco sto bene”. Ha fatto gli allenamenti tirati e due giorni dopo era morto. Quindi non ha finito al meglio quel ritiro. Ne è uscito stanco e questo ci ha un po’ condizionato l’inverno.
Chiaro…
Io credo anche perché col fatto della maglia tricolore a novembre, tra cene, premiazioni… non aveva potuto lavorare al meglio. Così abbiamo un po’ cambiato i piani. Abbiamo fatto qualcosa che per lui era nuovo: una doppia altura. Abbiamo fatto una dozzina di giorni dopo l’Andalusia. Subito dopo la gara non è tornato a casa, ma è andato in macchina a Sierra Nevada.
Lui come stava?
Era un po’ deluso. Team nuovo, anno nuovo, tricolore sulle spalle… voleva andare meglio. Ricordo che dopo l’Andalucia e l’altura abbiamo fatto delle corse di un giorno in Francia e c’erano 5/7 della squadra del Giro. “Corsacce”, nel senso che erano dure, faceva freddo. Il primo giorno Filippo ha fatto benino. Il secondo giorno era a pezzi e si è ritirato. Ha preso una bella batosta. Tutti mi chiedevano spiegazioni, ma io dicevo: «Aspettiamo prima di giudicare questi ragazzi. Hanno lavorato tanto». E dalla Strade Bianche le cose sono migliorate. Filippo ha corso bene. La squadra era contenta. Poi al Catalunya ha beccato un paio di belle fughe. A quel punto gli ho detto: «Adesso resettiamo. Hai fatto la prima parte di stagione, la condizione è salita. Prepariamoci al blocco importante di altura».
Dove?
Siamo andati quasi tre settimane ad Andora e quella è stata la chiave di volta. Però se guardo indietro mi chiedo: sarebbe stato lo stesso senza quei 12 giorni in altura a febbraio? Secondo me, no. Quindi alla fine anche quello che sembrava un training camp andato male, nel suo insieme ha funzionato: 12 giorni più 18, un mese di altura prima del Giro.
Tutta questa altura era nuova per Zana?
Alla fine sono venuti fuori i benefici. Filippo ha risposto bene a ogni carico. Nella seconda altura io ero presente. E anche per me è stato più facile. Potevo vedere Filippo e gli altri ragazzi in faccia, parlarci in cima alle salite, analizzare e commentare i dati, vedere i parametri al mattino… Abbiamo fatto due allenamenti veramente tosti e da come ha recuperato ero sicuro che sarebbe andato forte.
Riguardo ai lavori: cosa avete fatto? Base in altura e qualità con le gare?
No, no, abbiamo lavorato anche sull’intensità. Qualcosa già a gennaio nel camp, che però non era in altura. Nel primo ritiro in quota abbiamo fatto meno specifico: era la prima altura e ci sarebbe stata la corsa subito dopo. Ma nel secondo camp in quota abbiamo fatto di più.
Marco, hai parlato di specifici, in cosa hai dovuto lavorare di più con Zana? In cosa era più carente?
Carente in nulla, però possiamo dire che abbiamo lavorato un po’ di più sull’alta intensità: fuorisoglia, accelerazioni… Nel secondo ritiro in quota abbiamo dedicato due giorni a questo tipo di sedute. Mentre ai grandi volumi ci era già abituato.