E’ un continuo saliscendi. In altura e alle corse. Ancora in altura e ancora alle corse. Ganna è maestro, con i suoi stage al rifugio Oberto Maroli a 2.800 metri sopra Macugnaga. E’ andato su anche dopo Tokyo e ieri a Trento è sembrato un treno in corsa. Colbrelli è anche lui bravissimo, perché appena sceso da Livigno, si è pappato il Benelux Tour. Eppure giorni fa, parlando di alimentazione con Sobrero, una sua frase ci è rimasta nella memoria.
«Sento spesso la nutrizionista anche quando si tratta di andare in altura – ha detto il campione italiano della crono e da ieri campione d’Europa del Team Relay – dove si lavora tanto e l’alimentazione è decisiva per non buttare a mare il lavoro fatto».
Come si mangia in altura? Quali sono le differenze? E si corre davvero il rischio di buttare via tutto se non si mangia nel modo giusto?
Per rispondere a queste domande, abbiamo suonato alla porta di Laura Martinelli, attualmente nutrizionista del Team Novo Nordisk, ma in procinto di tornare nel WorldTour.
«L’altura – dice – è un luogo magico. A parità di sforzo, ottieni doppio risultato. Ma perché le cose funzionino a dovere, considerando il periodo classico di due settimane, è necessario curare benissimo l’acclimatazione. I primi 3-4 giorni, fatti nel modo giusto, sono necessari per poter raggiungere la qualità voluta nei restanti dieci».
In cosa consiste il modo giusto?
Bisogna vincere la resistenza degli atleti, spingendoli a mangiare. In quei primi giorni, i preparatori di solito non danno tabelle, ma raccomandano di fare appena delle sgambate per abituarsi alla quota. Di riflesso i corridori pensano di non dover mangiare, visto che bruciano poco. Invece è l’esatto contrario. Proprio in quei giorni va aumentato l’apporto calorico e glucidico, per assecondare l’adattamento all’altura. Si tratta di aumentare la quota carboidrati fino al 20 per cento, perché lassù aumenta il consumo. Devono mangiare il primo a pranzo e a cena, mentre di solito tendono a non farlo. Con gli uomini va così, con le donne è il contrario, perché la donna è in grado di utilizzare meglio il grasso corporeo, per cui non c’è bisogno di aumentare i carboidrati.
Come si gestiscono quei giorni, con tabelle generiche o diete personalizzate?
Se non conosci l’atleta, si dà una tabella generica, poi si personalizza. Il primo anno si va più a braccio, cercando di intuire le risposte all’altura ed entrare in sintonia con l’atleta.
Da cosa si capisce se un atleta si è acclimatato?
Dalla disidratazione, la perdita di peso, le sensazioni in bici e la gestione del giorno di riposo. Si parla tanto. Nel caso ad esempio del Teide, ci sono quelli che nel giorno di riposo vogliono scendere a Las Americas per mangiare una pizza e quelli che restano in alto. Bisogna osservare la pressione a riposo, quelli che ce l’hanno bassa sono favoriti. E poi bisogna stare attenti all’idratazione, soprattutto con quei soggetti che già normalmente hanno resistenza al bere.
Par di capire che comunque l’altura sia una bella fonte di stress…
Infatti do per scontato che il corridore prima di andare lassù faccia un check completo del sangue e sia a posto. Altrimenti, se c’è qualche parametro sballato, si rischia l’overtraining e in quel caso l’altura diventa negativa. Sono accortezze che si dovrebbero sempre avere, ma che a volte si dimenticano.
Conclusa la fase di adattamento, l’alimentazione dei vari giorni prosegue normalmente?
Si avvicina molto di più al solito, sì. Si dosano carboidrati e proteine in funzione del programma di lavoro.
In altura si dimagrisce?
Capita, anzi spesso è uno degli obiettivi che si vogliono perseguire. Andare in altura per perdere massa grassa si può, così dopo la fase di adattamento puoi ridurre l’intake, il quantitativo di alimenti. Però si deve stare attenti. C’è chi prova a dimagrire improvvisando. Riduce i carboidrati come farebbe a casa, ma è uno schema che in altura non funziona. Se togli i carboidrati, ti ritrovi con uno sbilanciamento verso le proteine e rischi di mettere in atto dei processi catabolici che vanificano tutto il lavoro fatto. Non si tratta in quel caso di aver preso troppe proteine, ma di non aver preso abbastanza carboidrati per sostenere quel carico proteico.
La presenza del nutrizionista in ritiro è dunque importante?
Il ritiro è una delle fasi più importanti. Tutte le volte che sono andata sul Teide, ho visto molto valorizzato il mio ruolo. Altrimenti è necessario che il nutrizionista si colleghi con il preparatore, sperando sia uno della nuova scuola. Quelli un po’ meno aggiornati vedono male l’aumento della quota carboidrati.
Con le donne è tutto così diverso?
L’aumento di carboidrati va evitato e si deve lavorare al contrario, creando stress perché la risposta porti a un miglioramento delle prestazioni. Non valgono gli stessi criteri e anche la letteratura medica riferita all’altura per le donne è scarsissima. A parità di stimolo, la risposta delle donne è diversa.
Al ritorno dall’altura cosa si fa?
Si tiene conto della temperatura e semmai del jetlag. Non è il cambiamento di quota che incide, ma il cambio di clima. Si deve andare un po’ cauti, sapendo che il beneficio può esserci subito o dopo una settimana.