Poca crono, investimenti enormi. Cattai, ne vale la pena?

27.12.2021
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I chilometri a crono nei grandi Giri diminuiscono sempre di più. E’ una tendenza accertata. Vi diamo dei numeri. Nel prossimo Giro d’Italia i chilometri contro il tempo in totale saranno 26,3, vale a dire lo 0,77% dell’intero percorso. Percentuale “appena” più alta (appena in senso assoluto, perché è più del doppio) alla Vuelta: 1,6%, ma quasi la metà sono a squadre. Quella spagnola è pressoché la stessa percentuale di chilometri a cronometro del Tour de France. Di contro i marchi di bici, e le squadre, ci investono sempre di più. Tutto questo ha un senso? Ne abbiamo voluto parlare con Stefano Cattai, di BMC.

Stefano fa da ponte tra l’azienda e i team, non a caso la sua posizione è definita “technical liaison”, pertanto può darci ottime indicazioni in merito.

Cattai, technical liaison di Bmc. Stefano è stato professionista dal 1990 al 2001
Cattai, technical liaison di Bmc. Stefano è stato professionista dal 1990 al 2001

Investire e crederci

«Ognuno – dice Cattai – ha le proprie necessità, le proprie idee e le proprie strategie aziendali. E soprattutto ha i propri team di riferimento. In base a questo sa quanto valga la pena investire.

«Alla domanda se convenga o no investire a fronte di percentuali così piccole di cronometro, io comunque rispondo di sì. Ne vale il prestigio dell’azienda. E comunque sia un investimento del genere porta sempre ad un ritorno, pensando anche ai prodotti da mettere poi in commercio».

«Chiaramente ci sono dei distinguo da fare. Tu puoi investire, e anche tanto, sui materiali ma al tempo stesso devi avere un team che investa e creda nello sviluppo. Quando dico investa intendo non solo a livello economico, ma che dedichi del tempo a lavorare su quegli sviluppi.

«Per farla breve, io posso anche creare un telaio aerodinamico, ma poi serve il team che lavori sulla posizione del corridore. La sola “immagine” non basta a giustificare l’investimento per l’azienda».

A volte i progetti vanno a buon fine, altre volte sono lasciati morire. Anche questo è un costo marginale della ricerca e dello sviluppo
A volte i progetti vanno a buon fine, altre volte sono lasciati morire. Anche questo è un costo marginale della ricerca e dello sviluppo

I binari morti…

Certo però che investire, fare sviluppi e nuovi progetti ha un costo. E immaginiamo sia anche piuttosto elevato. Per esempio quanto costa l’evoluzione di un modello di bici esistente?

«Non posso dare una risposta precisa sul costo di uno sviluppo o di un nuovo progetto – riprende Cattai – E’ difficile da quantificare. Non si tratta solo di fare dei test, si tratta di prendere 2-3 ingegneri e farli lavorare solo su quello. E se lavorano solo su quello non portano avanti altro lavoro. Poi ci sono i passaggi in galleria del vento, l’acquisto di eventuali nuovi materiali… Non si può quantificare. Però, ripeto, ne vale la pena. A volte investo dieci e ottengo uno, a volte investo dieci ed ottengo cinque. Ma se si avessero risorse illimitate si investirebbe in continuazione. Quindi serve.

«E ancora: bisogna valutare su cosa stiamo investendo. Su un progetto specifico per le vendite o che mira alla prestazione?».

In effetti il discorso è molto complesso. A volte non ci rendiamo conto, ma lo stesso Cattai ci dice che per ogni nuovo progetto ci sono alle spalle non meno di 18-24 mesi di lavoro e se si tratta di progetti ex novo può capitare anche che vadano a morire.

Magari si parte con una determinata idea e poi strada facendo ci si rende conto che non è fattibile. In questo caso si sono “gettate” risorse economiche e temporali, ma in qualche modo in effetti ne è valsa la pena perché si è capito che non bisogna insistere su quella determinata via.

Miglioramenti “su carta” e reali

Ma se il Cattai tecnico e uomo di azienda la pensa in un modo, l’ex corridore cosa dice? Oggi parliamo spesso di dettagli, di preparazioni molto curate, ma tornando al discorso delle minime percentuali a cronometro nei grandi Giri, viene anche da chiedersi perché in allenamento un uomo di classifica debba stare tante ore su una bici da cronometro. Non sarebbe più redditizio per lui fare qualche salita in più o lavorare su qualche lacuna?

«Va vista in un’ottica diversa – spiega Cattai – Oggi quando cerchiamo di migliorare, in generale, parliamo sempre di piccole percentuali. Per esempio in azienda possiamo migliorare una ruota del 2%, ma questo non significa che poi la prestazione dell’atleta aumenterà del 2%. C’è un “pacchetto” da tenere in considerazione: le ruote, il telaio, la posizione del corridore, la scelta delle gomme… E magari a conti fatti quel miglioramento delle ruote si traduce in un miglioramento reale dello 0,1%, dico a caso. Però si è visto, soprattutto nel ciclismo di oggi, che si può vincere anche per pochi secondi».

Alla fine conta la testa

«Ma da ex corridore – conclude Cattai – dico che c’è una cosa da valutare ed è la mente. Nella testa dell’atleta conta molto sapere che c’è chi crede in lui, chi ci investe e soprattutto che sa di avere a disposizione i materiali migliori. Conta moltissimo, credetemi. L’atleta deve avere la consapevolezza che ciò che sta usando è il massimo».

«Cadel Evans per questo era un vero maniaco. Era molto interessato, non si stancava mai. Ed era anche “facile” spiegargli le nostre volontà. Anche se qualche volta aveva qualcosa da obiettare. In quel caso il nostro era quasi un lavoro da psicologi per convincerlo che quel materiale era buono (questo per dire quanto conti la testa, ndr). Marco Pinotti addirittura aveva un punto di vista da ingegnere. Anche Rohan Dennis era un grande lavoratore, molto metodico.

«E poi invece c’era anche chi era “artista”, come Gilbert, che viveva questa parte in modo molto più distaccato».