Jay Vine è il nuovo campione australiano a cronometro (immagine di apertura AusCycling). Non sorprende la sua vittoria, quanto il fatto che abbia dominato su una bicicletta e in una disciplina in cui non si inventa nulla. Ricordando che è passato professionista solo nel 2021, dopo un anno in continental e approdando al massimo livello con la Alpecin-Deceuninck per aver vinto la Zwift Academy.
Da quest’anno l’australiano di Townsville, 27 anni, è nel WorldTour con la UAE Emirates e pedala su una Colnago. Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti e David Herrero, rispettivamente meccanico e biomeccanico del team, di raccontarci la sua posizione in bicicletta.
Sotto il profilo delle scelte tecniche che tipo di corridore è Jay Vine?
ARCHETTI: «Dal punto di vista tecnico, Jay Vine è un corridore preparato. Sa quello che vuole ed è in grado di percepire le differenze dei materiali. Si fida parecchio di noi meccanici e del biomeccanico, quindi per tutto quello che concerne la preparazione dei mezzi, bici standard e da cronometro e anche in merito alla posizione in sella. Inoltre è un ragazzo estremamente educato e uno votato al lavoro».
HERRERO: «E’ un corridore che ha delle buone conoscenze ed è dedito ad ascoltare mettendo in pratica quello che gli viene detto. Non si discutono le sue potenzialità, ha già dimostrato il suo valore alla Vuelta 2022 e in altre corse di buon livello. Mi piace definirlo un diamante grezzo da affinare e lucidare».
Rispetto alla posizione che usava in precedenza avete fatto delle variazioni?
ARCHETTI: «Sono state fatte delle variazioni su entrambe le biciclette, per le quali il corridore ha passato diverse ore con il biomeccanico David Herrero. Sono stati numerosi test e la maggior parte del tempo è stato investito sulla bicicletta da cronometro».
HERRERO: «Abbiamo cambiato completamente le posizioni che usava in precedenza, ma le differenze maggiori le troviamo sulla bicicletta da crono. In precedenza non c’era stato un approfondimento vero e proprio atto a trovare la combinazione ottimale mezzo meccanico/atleta. Ecco perché durante il primo collegiale con il Team UAE gli abbiamo dedicato un’intera giornata in velodromo e sulla bici da crono. Abbiamo utilizzato la telemetria in tempo reale, con l’obiettivo di conciliare la miglior cadenza e l’espressione di potenza, la frequenza cardiaca e quella respiratoria, considerando anche la velocità. Vine ha vinto il titolo nazionale e questo è per noi un primo grande riscontro».
C’è qualcosa di particolare che contraddistingue la sua bicicletta?
ARCHETTI: «Potremmo dire che è un australiano atipico. Non di rado i corridori che arrivano dall’Oceania, o comunque legati alle terre Commonwealth, chiedono le leve dei freni invertite, rispetto agli europei. Jay Vine invece ha chiesto di usare la configurazione standard, ovvero leva destra per il freno dietro e leva sinistra per quello anteriore».
HERRERO: «Considero una sorta di standard l’insieme delle scelte relative alla bici tradizionale. Invece per quella da crono abbiamo alzato i supporti delle appendici. Lo abbiamo fatto in modo importante, in modo da sfruttare l’allungamento del corridore sull’orizzontale e dare a lui la possibilità di contenere la testa tra le braccia. La sua posizione aerodinamica è molto buona, con un fattore cx non trascurabile e di ottimo livello, considerando che in passato non ha mai fatto dei test specifici».
Jay Vine ha chiesto delle variazioni dei materiali, oppure ha mantenuto tutto inalterato fin dal primo utilizzo?
ARCHETTI: «Ha chiesto di potere provare ed usare una sella con una larghezza maggiore, rispetto a quella utilizzata nelle battute iniziali».
HERRERO: «Nulla che valga la pena segnalare e che ha obbligato a rivedere la sua biomeccanica».
Il setting di Vine è di quelli normali, oppure è un po’ estremo?
ARCHETTI: «Assolutamente nella normalità per la bici standard, se contestualizziamo il tutto nei tempi più moderni. Il setting di Vine non ha eccessi, nel senso che eccede nello svettamento tra sella e manubrio, con un’estensione delle gambe adeguata alle sue caratteristiche. La sella è piuttosto avanzata, comunque in linea con le richieste attuali».
HERRERO: «Per quanto riguarda la bicicletta standard, ha dei valori che rientrano nella normalità, invece su quella da crono il setting può considerarsi di quelli impegnativi. Il vantaggio di Jay Vine è un corpo molto elastico e flessibile, un vantaggio non da poco. Questa elasticità gli permette di adattarsi senza criticità ed ecco che il biomeccanico può osare andando a sfruttare l’aerodinamica, senza dispersioni e perdite di potenza, restando in un range temporale di performance inferiore all’ora».
Focalizzandoci sui materiali a disposizione di Jay Vine, che dotazione ha il corridore?
ARCHETTI: «A Vine è stato fornito l’ultimo modello della Colnago, ovvero quella che ha debuttato al Tour de France, la V4Rs. Una taglia 51 e con il manubrio Colnago in carbonio. Invece per le crono la TT1. Da quest’anno le biciclette hanno la trasmissione Shimano Dura Ace, le ruote Enve in tre versioni, 2.3, 4.5 e 6.7, tutte con cerchi hookless della serie SES e canale interno 23 millimetri. Come team avremo in dotazione solo gli pneumatici tubeless e anche in questo caso c’è stato un cambio rispetto al passato. Abbiamo Continental, con sezioni comprese tra i 28 e 30 millimetri».
HERRERO: «Vine usa una taglia 51 e lui è alto 184 centimetri. Se prendiamo in esame solo i numeri potremmo dire che la bicicletta è troppo piccola, invece non è così. L’atleta ha un busto lungo ed è il classico caso dove è meglio usare un telaio più piccolo, soluzione che paradossalmente permette di trovare facilmente il giusto equilibrio, senza perdere di potenza, avendo il giusto comfort e anche un feeling costante nella guida del mezzo meccanico».
Gomme sempre più grandi, esiste il rischio di abbassare la performance?
ARCHETTI: «Non è solo una questione di pneumatici, la bicicletta di oggi è un sistema complesso dove ci sono molte variabili in gioco. Bisogna partire dal presupposto che si utilizzano sempre più le ruote ad alto profilo anche in salita, con sezioni spanciate e con i canali interni maggiorati. Lo pneumatico si deve accoppiare in modo perfetto con il cerchio, quindi l’allargamento delle sezioni delle gomme è una conseguenza. Poi in termini di numeri, test e medie orarie delle corse, i risultati dicono il contrario, ovvero che con i nuovi materiali si va più forte».
HERRERO: «I risultati in laboratorio e su strada dimostrano il contrario, anche se è necessario trovare il giusto equilibrio tra i diversi componenti in gioco. Qui bisogna considerare anche l’impatto frontale. E’ un discorso molto ampio, che tocca diverse variabili e componenti della bicicletta, oltre alla posizione del corridore. Il ciclismo moderno è fatto di ricerca, tecnologia e numeri, dettagli e conta anche il più piccolo».