Lo Slovacchia di Double, ormai sempre più “italiano”

03.10.2025
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Primo grande successo in una corsa a tappe per Paul Double, il britannico della Jayco Alula che si è portato a casa il Giro di Slovacchia, impreziosendo così la sua prima stagione nel WorldTour. Il corridore di Winchester è ormai un italiano d’adozione: ha trascorso tanti anni nelle squadre del nostro Paese, ha imparato il mestiere e si è talmente affezionato ai nostri lidi da aver programmato la sua permanenza proprio da queste parti, trasferendosi a San Marino.

Per il corridore di Sua Maestà quella slovacca è la classica vittoria che rappresenta un crocevia nella sua carriera: «La inseguivo da tempo, erano anni che sentivo di avere nelle gambe il successo in una gara di più giorni e in Slovacchia ho pensato che avevo la forma giusta per vincere. Il successo nella seconda tappa della Coppi & Bartali mi aveva detto che ero sulla strada giusta e soprattutto nel team giusto. In squadra sto bene, è un team ideale per me, con molti britannici e australiani ma anche italiani, quindi mi sento molto a casa».

In Slovacchia l’inglese è stato autore di un’impresa, ribaltando la gara all’ultima tappa
In Slovacchia l’inglese è stato autore di un’impresa, ribaltando la gara all’ultima tappa
Tu hai fatto il Giro d’Italia, hai notato un cambiamento nella tua forma ma anche nella tua esperienza prima e dopo il Giro?

E’ stata una grande esperienza, di quelle che ti cambiano. Dopo la corsa non sono stato bene di salute e mi è dispiaciuto perché appena sono rientrato in gara ho sentito che le gambe andavano ancora forte, avevo acquisito una forma invidiabile e non avevo potuto sfruttarla appieno. Sono rimasto fuori dalle gare oltre un mese e quando ho ripreso in Austria è stato un supplizio, stavo malissimo. Adesso ho ritrovato la forma di prima con un po’ di lavoro mirato con il mio allenatore, abbiamo recuperato bene ed è stato un sollievo perché ho avuto paura di non recuperare più per questa stagione.

Il Giro di Slovacchia è stato la tua prima vittoria in una corsa a tappe. Prima dell’ultima tappa pensavi che fosse possibile? In classifica eri molto indietro…

Io ed Engelhardt avevamo puntato tutto sull’ultima tappa, ma avevamo anche De Pretto pronto al risultato. Nel finale ci siamo trovati davanti io e Felix, ma sapevamo che con il controllo della Visma-Lease a Bike sarebbe stato difficile costruire qualcosa, invece siamo riusciti a trovare la tattica giusta e devo dire grazie al mio compagno di squadra tedesco che mi ha coperto, riuscendo così a vincere tappa e giro. E’ stato un gran colpo.

Ben sette stagioni in Italia per Double, l’ultima nel 2024 alla Polti. Alla Jayco è confermato per il 2026
Ben sette stagioni in Italia per Double, l’ultima nel 2024 alla Polti. Alla Jayco è confermato per il 2026
Tu sei arrivato al World Tour quest’anno. Quanto sono stati importanti tutti gli anni che hai passato in Italia?

Talmente tanto che sto pensando di tornare. Le difficoltà che ho incontrato, la lingua, l’ambientamento, mi hanno forgiato, sono state fondamentali. Sono arrivato al WorldTour al momento giusto, nel senso che ero finalmente pronto per affrontarlo e i risultati mi stanno dando ragione.

Tu hai 29 anni. Hai mai avuto paura di non poterlo raggiungere, visto che le squadre scelgono sempre i più giovani?

Sì, certamente. Io però credo sempre che la carta d’identità dice 29 anni ma io me ne sento molti meno. La testa è giovanissima e quella conta enormemente nel ciclismo di oggi.

In stagione Double ha accumulato 58 giorni di gara: nessuna Top 10, ma ben 3 vittorie per il suo team
In stagione Double ha accumulato 58 giorni di gara: nessuna Top 10, ma ben 3 vittorie per il suo team
Pensi che la vittoria in Slovacchia sia il momento più importante della tua carriera?

Penso che è tutto importante. Secondo me questo successo è un altro step perché ha aumentato la mia fiducia, considerando anche coloro che mi sono lasciato dietro, gente importante, che ha già vinto nella massima serie. Io credo che ogni esperienza sia importante, nel bene come nel male, ma è chiaro che vincere aiuta.

Che differenze trovi come organizzazione tra le squadre italiane dove sei stato e quella australiana?

C’è una grande differenza, che influisce sul corridore e se ne parla troppo poco. Faccio un esempio: quand’ero alla Zappi, spesso toccava a me portare anche il camion con tutto il materiale. In un team della massima serie hai tutto a disposizione, sei servito e riverito, ma io non sono capace. Spesso chiedo di dare una mano e mi dicono che devo pensare solo a correre e stare tranquillo. Ma non è nella mia natura, non sono stato abituato così. Per questo dico che gli anni passati in Italia sono stati così importanti. Mi hanno forgiato nell’animo. Apprezzo molto il lavoro che fanno quelli che fanno parte dello staff, tutti, anche quelli che non sono mai citati, ma nelle nostre vittorie c’è anche la loro mano…

Il britannico ai tempi della sua permanenza al Zappi Racing Team, fondamentale per la sua crescita (foto Instagram)
Il britannico ai tempi della sua permanenza al Zappi Racing Team, fondamentale per la sua crescita (foto Instagram)
Che cosa ti aspetti dalla prossima stagione, visto che hai ancora un anno di contratto?

Ne parliamo in questo inverno con la squadra, con il mio allenatore, ma io sono contento di imparare, di fare cose nuove. Qualsiasi cosa succeda, sono pronto. Se poi mi chiedessero di andare al Tour de France, sarebbe un sogno, lì c’è la crème de la crème. Sarebbe bello, ma per me sarebbe bello anche tornare al Giro perché mi sento a casa. Forse è meglio fare un’altra volta la corsa rosa. Vedremo comunque che cosa mi porterà il destino, io sono a disposizione.

Zappi, dall’alluvione alla rinascita. E adesso il futuro

26.10.2023
6 min
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RIOLO TERME – Due giorni di pioggia hanno cambiato un intero territorio. Due notti di angoscia e paura hanno lacerato l’Emilia Romagna con un alluvione senza precedenti che ha deviato la vita di molte persone. Tra queste c’è Flavio Zappi e il suo omonimo Racing Team situato sulle colline romagnole, precisamente a Riolo Terme a pochi passi dall’iconica Gallisterna dei mondiali 2020. Nove mesi fa vi avevamo raccontato della sua accademia che aveva appena messo le radici nell’hotel che di lì a poco sarebbe diventata la casa dei ciclisti U23 provenienti da tutto il mondo.

A maggio la struttura è stata sommersa da acqua e fango come la maggior parte delle case della Romagna. Siamo andati sul posto a quattro mesi di distanza dal disastro e, in punta di piedi, ci siamo fatti raccontare cosa è successo e come Flavio e i suoi ragazzi hanno saputo rimboccarsi le maniche per ripartire.

L’alluvione

Siamo stati ospiti di Flavio Zappi a gennaio quando attraverso il racconto del suo sogno ci aiutava a riempire le stanze vuote del suo hotel con progetti e un’idea che va oltre ciò che si conosce già. Quando questo sembrava prendere forma ecco che l’alluvione ha fermato tutto in due assordanti giorni di pioggia torrenziale. 

«Ci sono voluti sei giorni – racconta Zappi – per cavare tutto il fango dall’hotel. Eravamo quasi pronti per partire con il nostro progetto del caffè dei ciclisti e avevamo appena aperto la struttura per i primi ospiti. In poche ore tutto si è azzerato. L’acqua ha iniziato a circondarci e dopo poco ci siamo ritrovati con tutte le stanze del piano terra allagate e piene di fango. Io e la mia compagna Maria Arroyo, insieme ai ragazzi non abbiamo perso tempo e abbiamo salvato tutto quello che si poteva portandolo ai piani alti. Eravamo talmente stremati che ci siamo addormentati in ufficio.

«Ci siamo mossi – prosegue Flavio – come una vera e propria squadra, i ragazzi erano spaventati ma allo stesso tempo non si sono persi d’animo e si sono rimboccati le maniche. Io non volevo che questo li traumatizzasse e interferisse con il loro obiettivo. Così dopo due giorni siamo andati a correre dimenticando di quanto era successo. Allo stesso modo volevo che si allenassero per far proseguire il loro percorso qui all’Accademy».

La ripartenza

Nelle parole di Flavio però si percepisce che nel suo carattere non ci sia la propensione a piangersi addosso. C’è chi giustamente dopo un evento così tragico avrebbe detto basta, ma per lui quella fase non è mai stata presa in considerazione.

«Il mio cuore è romagnolo – dice Zappi – credo nel progetto che abbiamo iniziato e non ho mai pensato di mollare nemmeno per un secondo. Siamo ripartiti da squadra, ci siamo aiutati l’uno con l’altro e oggi eccoci di nuovo pronti». Proprio così quale stanze vuote che abbiamo visto a gennaio, poi riempitesi di fango, oggi raccontano ciclismo in ogni centimetro quadrato. Merito anche di Maria Arroyo, colombiana Doc che vive il ciclismo con passione e si occupa per l’accademia di tutto quello che Flavio non fa.

I colori del ciclismo sono su ogni parete. «Siamo come una famiglia – spiega Maria Arroyo – i ragazzi vengono qua per un sogno e scoprono che c’è tanto altro. Noi gli facciamo conoscere la cultura italiana e di questo sport, e gli insegniamo a prendersi cura anche di questa struttura dando il loro contributo come possono».

Ci sono le maglie appese sui muri con la scritta Zappi, dipinta con le tonalità delle nazioni di ogni atleta. Una libreria con libri di ciclismo e poi una parete con le foto che ripercorrono tutta la storia del team Zappi, da Ben Healy, James Knox, Marc Donovan, Charlie Quarterman e tanti altri.

Marco Groppo davanti alla foto regalatagli da Gino Bartali
Marco Groppo davanti alla foto regalatagli da Gino Bartali

Maglia bianca

Insieme a Zappi c’è un signore che ci accoglie. «Lui è Marco Groppo – dice sorridendo Zappi – vincitore della maglia bianca del Giro d’Italia 1982 davanti ad un certo Laurent Fignon. Suo figlio Riccardo ha corso con noi quest’anno e adesso ha scelto di proseguire con gli studi universitari. Io e Marco abbiamo corso insieme fin da giovani e ora fa parte di questo progetto mettendo al servizio la sua esperienza».

«Non ho mai visto – dice Groppo – lavorare così tanto una persona come Flavio. Non si ferma mai. Mi ha chiesto di aiutarlo in questo suo progetto e dopo l’esperienza di mio figlio ho risposto presente. Avere ragazzi da tutto il mondo è qualcosa di speciale. Insegnare il ciclismo e conoscere tutte le culture è una fortuna. Qui a Riolo Terme, c’è il contesto ideale per loro, si può fare gravel, MTB, strada su percorsi allenanti e tranquilli».

Ci colpisce una foto, anzi la foto. Ogni appassionato, ma non solo, l’ha vista almeno una volta nella vita. Il passaggio di borraccia tra Coppi e Bartali.

«Questa me la regalò Gino in persona – racconta emozionato Groppo – durante la festa a casa mia per la maglia bianca dell’82. E’ autografata e voglio che sia d’ispirazione per i ragazzi. Una sera siamo stati qui seduti ad ammirarla con loro cercando di risolvere l’arcano mistero di quel passaggio di borraccia.

«I ragazzi di oggi conoscono poco la storia di questo sport. Sono troppo tempestati dai social e da questo mondo delle due ruote che va i tremila sotto un continuo stress. Quello che mi piace del progetto di Flavio è anche questo. Questa è una scuola di vita oltre che di ciclismo».

Il murale con le foto di che raccontano la storia delle squadre di Zappi
Il murale con le foto di che raccontano la storia delle squadre di Zappi

Il team e i giovani

I minuti scorrono e tra un discorso e l’altro Marco e Flavio si beccano come da ragazzi, forse il segreto della loro passione deriva anche da qui. Per il 2024 c’è il progetto del team juniores che si affiancherà a quello U23. Lo scopo sarà quello di dare più continuità all’accademia, insegnando il ciclismo qui in Italia. Il Racing team di Zappi è l’unione di ragazzi provenienti da ogni angolo del pianeta. 

«A livello di nazionalità – spiega Zappi – quest’anno abbiamo due americani, un messicano, un colombiano forte, un irlandese, due neozelandesi, un australiano e infine gli inglese. Anche se con la Brexit quest’ultimi sono meno tutelati degli stranieri che godono di visti sportivi migliori. Per l’anno prossimo avremo anche il team juniores che ci permetterà di crescere i ragazzi e dargli una qualche garanzia in più su una crescita costante.

«Una cosa che ci sta a cuore – conclude Flavio – è cercare di insegnare i valori di questi sport senza che l’ambizione li corroda dentro. Non tutti passano professionisti e chi non ce la fa non deve viverlo come una sconfitta. Il nostro scopo è quello di dare tutti gli strumenti per farlo nel modo più sano possibile».

E’ arrivato il momento di salutare Flavio e gli lanciamo una provocazione: «Forse l’unico modo per comunicare quanto di bello state facendo sarebbe proprio vincere…».

La risposta di Flavio non si fa attendere: «Certo, ma a chi mi dice così chiedo sempre quanti corridori può dire di avere fatto passare in World Tour (alludendo a Ben Healy, James Knox, Marc Donovan, Charlie Quarterman, ndr)».

Flavio Zappi e la sua accademia per il ciclismo

18.01.2023
7 min
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Pagare per correre o correre pagando. Viviamo l’epoca di un ciclismo dove si vedono talenti rinunciare e ritirarsi da carriere brillanti in età premature, le chiavi di lettura sono infinite. Pochi giorni fa Thibaut Pinot ha annunciato il suo ritiro dicendo: «Ora sono pronto per la vita intera».

Quella di Flavio Zappi e la sua Racing Team Cycling Academy è una storia interessante che merita di essere raccontata. Il suo scopo è quello di far sì che ragazzi di tutto il mondo provino a giocarsi le carte per realizzare il proprio sogno, invece che rinunciare e proseguire la vita con il peso di un rammarico. Per noi italiani è forse un concetto lontano, quasi incomprensibile. Trovare una squadra pronta a fare correre non è poi così difficile. Flavio però pensa che ci siano realtà che nemmeno con il talento sportivo riescono a trovare i mezzi per mettersi in mostra. Ed ecco che la sua idea di ciclismo inizia ad avere senso…

Lo Zappi Racing Team quest’anno conta ben 17 atleti
Lo Zappi Racing Team quest’anno conta ben 17 atleti

Siamo andati a vedere da vicino questa realtà, che da quest’anno avrà base fissa nell’Hotel Villa delle Fonti, che ha comprato e cui a brevissimo cambierà il nome. Flavio ci ha accolto con il suo entusiasmo carismatico e il suo italiano condito da una cadenza inglese dovuta all’esperienza di vita a Oxford dove tutto è nato. Abbiamo bussato alla porta senza pregiudizi, ma con l’intento di ascoltare la storia di un uomo e della sua idea di ciclismo. 

Flavio perché hai aperto questa accademia?

Non lo faccio per soldi. Sono ormai 10 anni che non penso più al guadagno, sono successe delle cose in famiglia che mi hanno fatto arrivare a questo pensiero, in più ho la passione per il ciclismo. Ho 63 anni. Questo progetto con Maria Arroyo mi dà una linfa in più per vivere. 

Come mai Riolo Terme?

Prima di questa base fissa, la nostra era una vita da “zingari” tra Cesenatico, Borello, Cervia… Bellissimo, ma una confusione continua. Più che altro per i ragazzi spostarsi ogni tre mesi era difficile dal punto di vista logistico. Cercavo un albergo a tutti i costi, qualcosa di solido alle spalle, un punto fermo. La mia idea principale era il mare, però i prezzi sono esorbitanti e gli edifici sono scadenti. Parlandone con Marco Selleri è venuta fuori questa possibilità su collegamento di Davide De Palma che organizza il Rally di Romagna. E si è presentata questa opportunità di avere base fissa qui a Riolo Terme. La zona si presta bene agli allenamenti e le strade sono belle.

Che progetti avete per l’hotel?

Pensiamo di ricavarci uno spazio per ciclisti oltre che per la squadra. Vengo da un’esperienza a Oxford dove avevo cinque caffè. Qui voglio farne uno per ciclisti, con un meccanico a disposizione, e creare spazi appostiti per appassionati dove fermarsi e guardare il Giro o il Tour. Per realizzare tutto ci vorrà almeno un anno.

Facciamo un passo indietro, chi è Flavio Zappi?

Ho fatto un breve periodo da professionista. E’ stata una scelta mia, non volevo essere coinvolto in quello che di lì a poco sarebbe stato il periodo nero del ciclismo. Me ne sono accorto e ne sono uscito subito. Mi ricordo bene quando dissi che a cinquant’anni sarei voluto essere ancora vivo. Si pasticciava troppo così mi ritirai a 25 anni e fu una grossa delusione. Sono rientrato 15 anni dopo. Decisi di rimettermi in sella per fare un po’ di attività e dopo sei mesi correvo insieme ai dilettanti inglesi, là non c’è limite d’età. Poi ho fatto un club, in uno dei caffè che avevo.

Da dove viene la passione per il ciclismo?

E’ partita dalla Colombia (dice rivolgendo lo sguardo verso Maria, anche lei colombiana, ndr). I miei genitori avevano un albergo a Tradate, vicino a Varese. Nel ’71 c’erano i campionati del mondo su pista. La nazionale colombiana alloggiava nel nostro albergo. Quella del famoso “Cochise” Rodríguez che vinse poi il campionato del mondo inseguimento. Insieme a mio fratello, anche lui appassionato, rubammo le bici dal garage e andammo a un giro. La prima sensazione che ricordo fu quella della velocità di quelle bici così futuristiche. Da lì iniziò tutto: allievo, juniores e così via. 

Maria Arroyo si occupa di tutta la parte organizzativa e del design della squadra
Maria Arroyo si occupa di tutta la parte organizzativa e del design della squadra
Torniamo ai giorni d’oggi e al tuo progetto. Come vede la gente il tuo modo di fare ciclismo?

Ho avuto parecchie critiche inizialmente, mi hanno puntato il dito contro e hanno detto: «Tu fai pagare i ragazzi per correre». Io sto dietro i ragazzi da febbraio a ottobre, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Alle corse, quando cadono, quando piangono. Quando un corridore cade in allenamento, va al pronto soccorso e trova mamma e papà al suo fianco. Qui ci sono io e questo non ha prezzo. Oltre a quello c’è tutta la crescita formativa. I ragazzi devono crescere imparando tutti gli step di questo sport. Si fanno briefing, si parla. Un diesse li porta alle corse e li vede in allenamento, oppure direttamente alla corsa dopo. E’ un approccio olistico, dall’alimentazione, alla posizione in bici, alla tattica. Secondo me non ha prezzo. Se dovessi veramente farlo per soldi, dovrei fare pagare quello che chiedono in altri sport e cioè cinque volte di più. Io non nascondo che faccio pagare circa 14/15 mila euro all’anno. Altri sport come tennis, sci e altri hanno accademie dove si parla di 50 mila euro in tre mesi. 

Come rispondi a queste critiche?

Io lo faccio così e questo è il mio pensiero. Corridori come James Knox, oggi alla Soudal-Quick-Step, Mark Donovan, alla Q36.5 Pro Cycling Team, e Charlie Quarterman, al Team Corratec, sono delle realtà che sono partite da zero. Posso fare una dozzina di nomi di ragazzi che in questi 10 anni hanno trovato la loro strada. E’ facile prendere un talento e vincere. I ragazzi che ho avuto io hanno tutte storie uniche.

Zappi con le maglie disegnate da Maria Arroyo, qui quella con la bandiera caraibica
Le maglie disegnate da Maria Arroyo, qui quella con la bandiera caraibica
Com’è partito tutto?

La mia idea iniziale era quella di fare il Tour de France a 50 anni. La mattina mi svegliavo, mi guardavo allo specchio e dicevo: «Sono tornato». Mi sentivo forte e lo ero. Facevo ricerche su chi fosse il più vecchio a fare un grande Giro, ero impazzito. Finché uno dei miei amici con cui mi allenavo a Oxford, un professore che tra l’altro mi ha fatto capire tante cose sui test del lattato già 15 anni fa, mi fece cambiare idea. In uno dei momenti dove mi sentivo più orgoglioso e motivato, mi disse: «Flavio smettila, i ragazzini in fondo hanno bisogno di te». Così iniziai a pensare a loro e a portarli a correre, mettendomi al loro servizio. 

Oggi la tua squadra conta 17 atleti da 6 diversi Paesi…

Sì e la mia idea è di rendere tutto ancora più cosmopolita. L’anno del Covid sono scappato e mi sono rifugiato ai Caraibi con un mio caro amico e la moglie. Inevitabilmente abbiamo iniziato a cercare il ciclismo anche lì. Così abbiamo sponsorizzato due ragazzi a fare la stagione in Italia. Chiaramente la cosa ha creato interesse, fino a che due di loro hanno chiesto di fare una stagione qua, non hanno i soldi per farlo, così le federazioni pagano per loro. Abbiamo quindi creato un ponte che arriva fino a Cuba. Quest’anno abbiamo anche più italiani, siamo arrivati a quattro. Tra questi c’è una mia sfida, Andrea Cantoni, un ragazzo con molta potenzialità e forza, credo molto in lui. Abbiamo anche fatto una collaborazione con una squadra colombiana. L’unica squadra colombiana gestita da una donna. Facciamo uno scambio, due ragazzi vanno là per tre mesi e due vengono qua.

Saranno quattro gli italiani al via in questa stagione nella squadra di Zappi
Saranno quattro gli italiani al via in questa stagione nella squadra di Zappi
Non credi che l’Italia sia il posto più difficile per questo tipo di fare ciclismo?

Quando abbiamo deciso di correre in Italia, ho cominciato a bussare a qualche porta: in Inghilterra mi dicevano che correvo lontano da casa, in Italia mi dicevano che i corridori erano stranieri. Così ho comunicato ai ragazzi che se avessero voluto li avrei guidati io, ma che si sarebbe dovuto fare alla romana. Oggi invece che stiamo diventando una realtà cosmopolita, l’interesse cresce e la nostra squadra vanta corridori da tutto il mondo. Ci guardano in molti e chissà cosa ci riserva il futuro

In base a cosa Flavio Zappi definisce una stagione positiva?

Dal punto di vista dei risultati, si misura in termini di vittorie. Si pesa anche in base a quanti ragazzi sono passati al professionismo. Per me tuttavia il risultato è vedere che i ragazzi anche se non sono andati bene, hanno capito se questa era la loro vita o no. Vederli iniziare una vita serena per me è un risultato altrettanto gratificante. Ho l’esempio di un ragazzo che ha fatto un’esperienza con noi e ora lavora in un’ambasciata. Altri che mi ringraziano tuttora per la possibilità che gli ho dato e che gli è servita per quello che sono diventati ora. Diventare professionisti non vuole dire realizzarsi per forza. I ragazzi qui capiscono anche che strada può prendere la vita senza che sia tutto o niente. Ma questo dovrebbe essere così anche altrove e purtroppo non lo è. Mi piacerebbe lo fosse…