Casco e occhiali, nulla di banale: ne parliamo con Clarke

22.05.2023
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SAN GIOVANNI IN PERSICETO – Spesso gli accessori del ciclista vengono dati per scontati e si può cadere nell’errore di non carpirne quanto siano importanti. Mettici che devono essere indossati per 21 tappe di seguito sotto vento, pioggia, sole (si spera), ed ecco che questi complementi acquistano tutta un’altra importanza. Abbiamo bussato al bus della Israel Premier Tech e ci ha aperto un Simon Clarke sorridente e rilassato nel primo giorno di riposo del Giro tra le campagne bolognesi. Con l’australiano abbiamo messo sotto la lente il suo kit protettivo firmato Ekoi, composto da casco e occhiali. 

Casco aero sempre

Lo abbiamo notato in corsa durante la tappa di Napoli, quando per un soffio, insieme al suo compagno di fuga De Marchi hanno sfiorato la vittoria. Clarke in quel caso indossava il modello AR14 di Ekoi. Un casco aero che per la verità sta indossando fin dalla prima tappa. Una scelta, quella dell’aerodinamica, che sempre di più si vede in gruppo. 

«E’ un casco – spiega – con cui mi trovo molto bene. Lo uso in tutte le occasioni. Con tutti i giorni di pioggia che stiamo affrontando questo modello aiuta a proteggersi maggiormente. Il sistema Mips oltre ad essere protettivo aiuta anche a fare entrare meno aria. Il fatto che sia aerodinamico per me vuol dire avere un vantaggio in più. E’ leggero e rimane sempre in posizione. Non sono uno che regola il casco di continuo. Lo sistemo prima di partire e così lo tengo per tutta la tappa. La rotella ATOP permette di essere molto precisi. 

«Il comfort è un altro punto a favore dell’AR14. I laccetti si regolano bene e credo che un amatore si possa trovare bene anche per questo. Le imbottiture interne sono morbide e non si appiattiscono. Io utilizzo una S che è la taglia più piccola disponibile».

Occhiali per tutto

Vederci chiaro in ogni condizione. Gli occhiali Premium 90 LTD di Ekoi sono un modello rivolto a chi della bici fa un mezzo per la ricerca della velocità e della prestazione. Ma sono anche una tipologia di prodotto che va in contro ad un gusto estetico improntato all’anima da gara. Discorso parallelo ma leggermente rivolto ad un utilizzo più versatile riguarda il modello E-Lens Evo con il sensore di oscuramento automatico elettronico. 

«Mi piace molto – dice – usare il modello Premium 90. Li uso da molti anni e mi sono sempre trovato bene. Sono ben areati e come il casco hanno una linea aerodinamica e racing. Anche il colore è molto bello. Sono occhiali leggeri e seguono bene la linea del mio viso. Come lenti utilizzo sempre quelle a specchio, mentre per le tappe di pioggia uso quelle più chiare. 

«Ekoi mi ha fornito anche il modello E-Leans. Ha un sistema davvero reattivo e interessante per oscurare la lente. Non lo uso in corsa perché ha un’inclinazione della lente che alle alte velocità non mi si addice. Però sono leggeri e sono molto comodi. Sono adatti a chi cerca un occhiale versatile e che deve indossare per molte ore. Io li uso anche nella vita di tutti i giorni».

Come si può vedere dalla foto la linea del casco segue la posizione di Clarke
Come si può vedere dalla foto la linea del casco segue la posizione di Clarke

Crono su misura

In questo Giro d’Italia le cronometro sono tre: resta ormai solo quella del Monte Lussari. L’aerodinamica del casco ad oggi è diventata un elemento determinante su cui le aziende produttrici investono sempre di più in fase di ricerca e sviluppo. Il modello TTRB LTD di Ekoi è un concentrato di velocità e fluidità dinamica durante il massimo sforzo. Quando Simon ce ne parla la crono è passata da meno di 24 ore e il feedback è più fresco che mai, per questo si nota anche un certo entusiasmo nelle sue parole. Questo nonostante la cronometro non sia mai stata un suo obiettivo primario.  

«Mi piace tantissimo – conclude – è il primo casco da crono della mia vita che si adatta alla mia posizione. La coda infatti si allinea perfettamente con la mia schiena. Ho sempre utilizzato dei modelli che avevano una coda che puntava verso l’alto rovinando così la mia aerodinamica. Il TTRB mi ha dato ottime sensazioni fin dal primo utilizzo. La lente ha una visibilità ideale, protegge molto bene e si vede in modo chiaro la strada. Dietro, nella coda ha una parte chiusa che aiuta a ridurre i flussi d’aria. E’ una parte chiusa che aiuta l’aerodinamica complessiva».

La festa di Pedersen, il tormento di De Marchi

11.05.2023
6 min
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Pedersen passa come una freccia, mentre accanto alla transenna sulla sinistra s’è fermato De Marchi cercando un po’ di silenzio nel baccano di Napoli e del cuore che martella. Una corsa per raggiungerlo e poi ci fermiamo rispettandone il respiro. Un metro più avanti, Simon Clarke ha tolto casco e occhiali e sta piangendo. Sono entrambi del 1986 e per entrambi la vittoria di tappa avrebbe significato molto, ma il gruppo ha recuperato forte e le minime schermaglie fatte negli ultimi 500 metri sono state fatali.

«Insomma, ho giocato un po’ – mormora Alessandrolui era molto più veloce di me e allora ho voluto provare a vincere. Insomma, fare secondo sarebbe stata una gran cosa, ma arrivati a questo punto, bisogna giocare per la vittoria. Quindi ho dovuto fare una cosa che forse non ho mai fatto in tutta la carriera: non dare più un cambio e me ne dispiace. L’avevo vista questa tappa, poi stamattina sono andato in partenza e ho visto che c’era un grande nervosismo e siamo andati…».

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Cambi saltati

Parla e poi riflette, il rimpianto lo scuote. Sembra che le domande gli nascano da dentro e lui risponda mano a mano che vengono fuori. Poi lentamente De Marchi si riconnette con questa strada assolata in riva al mare e il discorso riparte.

«Sono mancati 300 metri – dice – eravamo in due, era un po’ un azzardo. Però l’unica cosa da fare era provare da lontano, sperando di avere le gambe sufficienti. E’ stata una gara entusiasmante, sapevamo che poteva essere adatta alla fuga e ci abbiamo provato. Credo che Clarke sia più dispiaciuto di me, perché essendo più veloce sapeva di avere più chance. Però dovevo giocare un po’, rischiare e provare a fargli lanciare la volata lunga per saltarlo. Stasera forse sarò più contento, adesso ho solo un gran mal di gambe e di schiena…».

L’omaggio di Pedersen

Sono arrivati agli ultimi 3 chilometri con 30 secondi di vantaggio, sembrava fatta. Dietro il gruppo era largo, tirato da Ineos e Bora, che volevano solo tenere davanti i capitani e si disinteressavano della volata. Tanto che quando chiedono a Pedersen come mai abbiano impiegato così tanto per chiudere sui primi, il danese vincitore quasi si stranisce.

«Davanti c’erano due corridori fortissimi – queste le parole del danese della Trek-Segafredo – dietro abbiamo dato quello che potevamo. Non penso che riuscire a vincere sia stato un fatto di fortuna. Abbiamo lavorato molto per trovare questo livello. Sono maturato, ho iniziato a lavorare di più. La squadra è costruita accanto a me e oggi sono riuscito a concretizzare. Certo, al mio palmares mancano alcune classiche, ad esempio non ho un grande rapporto con la Roubaix. Ma proverò a vincere tutto quello che posso…».

Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa
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Lo stile De Marchi

De Marchi ritrova il sorriso, un sorriso amaro. Dall’altro lato della strada lo chiamano per chiedergli la borraccia e un tipo poco attento chiede al suo amico se abbia vinto lui. La città è rivestita di drappi azzurri, l’arrivo si specchia nel mare.

«Quando ho saltato i cambi? Nell’ultimo chilometro – spiega Alessandro – bisognava fare così. Forse nei chilometri precedenti ho lavorato di più, ho fatto più fatica, non ero proprio perfetto. Per stare lì davanti abbiamo fatto il nostro. Alla fine ho deciso di lasciare sulla strada tutto quello che avevo e questa è la cosa più importante. Se esiste uno stile De Marchi? Sì, quello di attaccare e poi non vincere. Però non si può rimanere sempre nel gruppo, dopo un po’ ti annoi. E onestamente oggi avrei sofferto molto di più a fare in gruppo quella discesa sulla Costiera».

Le strade del Giro

Le strade del Giro d’Italia, se ne parla tanto. I giornalisti stranieri giocano a fare gli agitatori, chiedendo ai corridori di fuori di parlarne. Qualcuno abbocca, qualcuno no.

«Le strade oggi erano davvero impegnative – commenta De Marchi – era una continua curva, un buco dietro l’altro e insomma, non è stata una passeggiata. Francamente non ho avuto occasione di guardare il panorama. Speravo di riuscire a portarmi dietro Gavazzi, sarebbe stato una spalla ideale. Oggi sono due anni dalla maglia rosa di Sestola e per questo mi scoccia ancora di più non essermi fatto un regalo».

Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati
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Un turno di riposo

Sul tema delle strade, interviene anche Pedersen, che sorride come avendo esaudito un bel sogno e quindi non ha voglia di cercare per forza la polemica: chi lo conosce sa che dice sempre quel che pensa. E questo è il suo pensiero.

«Le strade sulla costa sono bellissime – dice – se non le vedi, vuol dire che sei cieco. Abbiamo corso a tutto gas, certo, ma ci siamo resi conto che erano bellissime. Oggi abbiamo trovato un misto di asfalto brutto e anche nuovo. Sono le corse, abbiamo da fare 3.500 chilometri di corsa, non possiamo pretendere che siano perfette e sempre uguali. Perciò stasera faremo festa e poi da domani penseremo a quale altra tappa puntare. Non certo Campo Imperatore, domani ci prenderemo un turno di riposo, anche i compagni meritano di recuperare…».

Pedersen va avanti con le interviste. De Marchi si avvia con pedalate lente verso il pullman della Jayco-AlUla. Dall’altro lato della strada passa Leknessund atteso nella zona mista delle tivù. Napoli inizia a defluire dalle strade del Giro, mentre sulla corsa si allunga già l’ombra lontana del Gran Sasso.