L’universo Ineos è estremamente vasto. Non c’è solo il ciclismo, considerando l’impegno fino all’edizione dello scorso anno della Coppa America di vela (e il ritiro della sfida di Ineos Britannia dei giorni scorsi ha destato molto scalpore) come anche quello nella Formula 1 al fianco di Mercedes, rivale sulle due ruote ma strettissima partner sulle quattro. Le commistioni fra i vari campi sono molto strette e a livello di ricerca il lavoro diventa spesso comune.
Direttore Area Ricerca e Sviluppo della Ineos Cycling è Luca Oggiano, dirigente che si è fatto una lunga esperienza all’estero e che tra l’altro ha vissuto sulla sua pelle l’evoluzione sempre più prepotente del movimento norvegese nello sci alpino, passando poi alle due ruote. L’intervista con lui significa entrare in un mondo davvero particolare, dove non si parla solamente di watt, copertoni, allenamento perché per poter emergere in un ambiente così complesso, la commistione fra le varie discipline è massima e non è neanche unica, considerando ad esempio come il lavoro della Visma-Lease a Bike sia alla base della scalata ai vertici mondiali del movimento remiero olandese.
Partiamo dalla tua carica. In che cosa consiste?
Si tratta di seguire e curare tutti i vari prodotti sviluppati dai partner che poi vanno a essere implementati all’interno della squadra. Io mi occupo del lato performance di tali prodotti, più che altro dal punto di vista aerodinamico, quindi Kask, Pinarello, Gobik, eccetera. Affrontando lo sviluppo, la ricerca e l’implementazione all’interno della squadra dei vari prodotti.
Questo lavoro che tu fai quanto prende anche dalle altre esperienze di Ineos e quanto le altre esperienze di Ineos, ad esempio nella vela, sfruttano anche il lavoro che fate voi?
In realtà ci sono stati dei travasi di esperienza, soprattutto per quel che riguarda Mercedes Formula Uno all’inizio della partnership. Il mondo del ciclismo però è diverso, non si può far tutto in “house” come si fa con la vela o la Formula Uno, si lavora in sinergia con diversi partner. La commistione riguarda soprattutto le metodologie, dove c’è un continuo scambio, soprattutto sul piano dell’aerodinamica, ma poi gli ambiti sono diversi. Quindi si va avanti per la nostra strada.
Quando sei entrato in questo mondo?
Dal lato del ciclismo nel 2017, ma il lavoro sull’aerodinamica riguarda aerodinamica dei tessuti, sviluppo tute e sviluppo prodotti è più datato, dobbiamo risalire alla mia tesi di laurea nel 2005. Qualche annetto di esperienza c’è, lavorando per anni con il team norvegese tra discipline veloci dello sci e pattinaggio su ghiaccio in particolare. Nel 2017 ho accettato la proposta del team Sky.
Da spettatore prima e protagonista poi, quanto è cambiato l’influsso della ricerca e dello sviluppo nel ciclismo?
Credo che uno dei passi più grandi che siano stati fatti è stato quello del riuscire a dare delle metodologie super avanzate, facendo crescere aziende “medio piccole”, come possono essere per esempio quelle dei caschi. In questo sono state implementate esperienze di altri campi come la stessa Formula Uno, dando accesso a nuove strumentazioni. Questo ha portato un enorme miglioramento dello sviluppo del prodotto e quindi anche ovviamente delle prestazioni.
Tu hai una cultura e radici omnisportive, secondo te l’evoluzione del mezzo che c’è stata nel ciclismo è pari a quella degli altri sport di vostra competenza?
Difficile fare un paragone. Il ciclismo ancora oggi ha comunque una forte componente umana, negli altri quella meccanica è quasi allo stesso livello, quindi incide molto di più. Il ciclismo credo che in questo momento sia lo sport trainante nel suo genere e potrebbe essere ancora più rivoluzionario senza le varie limitazioni poste dall’UCI, che fa un ottimo lavoro, ma tende a limitare la possibilità di spingere dal punto di vista della ricerca e sviluppo per cercare di equalizzare le forze. Ma si vede che nel ciclismo odierno è stata implementata molto della cultura di discipline come Formula 1 ma anche Moto GP.
A breve termine ci saranno altre evoluzioni nel mondo del ciclismo e chiaramente quindi anche nel tuo team?
Sicuramente, considerando che siamo nel pieno di una rivoluzione industriale dettata dall’uso dell’intelligenza artificiale che va di pari passo con l’atleta stesso. Io credo che nell’ambito di caschi, telai, strutture aerodinamiche si possa ancora fare tantissimo. Di pari passo con le limitazioni di cui prima, pienamente legittime, che ti portano spesso a cancellare tutto il lavoro e rimetterti davanti a una pagina bianca, ma più ricco di prima in base alle conoscenze acquisite.
Un lavoro necessario?
L’impegno del massimo organo porta a cercare di minimizzare le differenze tra le varie squadre permettendo uno sviluppo della tecnologia che sta diventando sempre più fruibile anche da team che non hanno dei budget enormi, che sta portando quasi tutte le aziende ad avere un’attenzione più rivolta alla performance del prodotto piuttosto che al design. Secondo me vedremo delle cose interessanti nei prossimi anni.
Secondo te queste evoluzioni andranno a ridurre sempre più la componente umana nella prestazione?
Nel ciclismo probabilmente no, si tratta di uno sport dove ancora la componente umana è fondamentale. Certo, se metti di fronte due Pogacar, quello con i materiali migliori probabilmente andrà a vincere. Ma le differenze grosse, come è anche bello che sia, arriveranno comunque dalla componente umana. La componente dei materiali darà quell’extra, diciamo quel 5-10 per cento in più, ma il resto verrà comunque fuori dalle gambe del ciclista. Ed è questa la strada che comunque l’UCI vuole dettare.
Le innovazioni nella Formula Uno hanno avuto un ricasco importante dal punto di vista della sicurezza nelle auto di tutti i giorni. Nel ciclismo avviene e avverrà lo stesso?
Sicuramente, se guardiamo tantissime innovazioni nate per il ciclismo professionistico sono diventate di uso comune. Basti pensare al computerino, il Garmin, ormai anche il ciclista della domenica lo usa, guarda i watt, tiene conto di tutto. A parte il lato sicurezza, c’è proprio il lato di gamification, come si chiama in inglese, ovvero il trasformare lo sport in gioco e rende tutto secondo me molto più bello, più divertente. Anche dal punto di vista dell’aerodinamica stessa ci sono ormai varie possibilità per tutti di poter per esempio misurare il proprio coefficiente aerodinamico. C’è questo travaso di conoscenze che anche vent’anni fa erano utilizzate solamente ad altissimo livello, che stanno iniziando a essere fruibili per tutti.