Se da una parte Marco Giovannetti ed Eros Poli sono comunque rimasti vicini al ciclismo, seppur con modalità molto diverse e lontane dalle luci della ribalta professionistica, Marcello Bartalini la sua bici ormai l’ha riposta in cantina, troppi i suoi impegni quotidiani che l’hanno portato lontano dalle due ruote, complice anche un forte sentimento di disillusione, che traspare dalle sue parole.
L’empolese, olimpionico a Los Angeles 1984 con la 100 Chilometri a squadre e per due stagioni professionista sul finire degli anni Ottanta, si occupa a tempo pieno di sistemistica e televendite, curando produzioni televisive quotidiane che lo portano nelle case di tutti gli italiani. La televisione è il suo mondo, per un certo periodo ha lavorato anche come autore di testi per personaggi come Fiorello, ora però tutto gira intorno ad algoritmi e sistemi per 10 e Lotto e Superenalotto: «Me ne occupo ormai da 34 anni e ho imparato che bisogna stare sempre sul pezzo, perché il mercato è come il virus…».
In che senso?
Nel senso che muta sempre, i prodotti passano di moda con enorme velocità. Guardate ad esempio i prodotti per la ginnastica in casa: tutti pensavano che con il lockdown ci sarebbe stato un boom, invece il mercato si è saturato presto e oggi non ha sbocchi.
Il tuo nome però è legato all’arte…
Quella è passione pura, che vorrei tanto diventasse la mia attività principale. Ho sempre dipinto, ma la svolta è arrivata quando correvo in America, alla Pepsi Cola-Fanini-Fnt tirando le volate a Roberto Gaggioli. Allora conobbi Sam Francis, un vero nume dell’espressionismo, con cui nacque una profonda amicizia, ero l’unico che poteva entrare nel suo atelier. Non posso però dire che sia un mio maestro: anch’io sono un astrattista, ma seguo altre strade, lui è più vicino alla visione di Pollock.
I tuoi quadri hanno più mercato di qua o di là dell’Atlantico?
Lo avrebbero da entrambe le parti, il problema sono i dazi. Il mio sogno, se riuscirò a dedicarmi all’arte, è trasferirmi negli Usa per almeno 6 mesi l’anno e poter curare lì i miei interessi artistici, sarebbe molto più semplice.
Perché ti sei allontanato dal ciclismo?
Quando correvo era un ambiente più vero, più rispettoso verso il campione. Non sopporto ad esempio di vedere uno come Nibali osannato finché vinceva e da molti considerato finito solo perché ora è più difficile emergere. Troppi corridori sono poco umili, personaggi da social più che da strada, molta apparenza e poco altro.
Perché la tua carriera professionistica è durata solo due anni?
Non mi piacque quel che vidi. Ebbi la ventura di passare con Fanini, un appassionato che aveva l’abitudine di parlar chiaro: «Soldi ce ne sono pochi, se vuoi correre devi portarmi uno sponsor…». Era una sua regola, necessaria per andare avanti, potevi accettare o meno, ma in tanti lo hanno denigrato per questo e non era giusto. Poi c’è anche altro…
Ossia?
Ho trovato un mondo diverso da quello che mi aspettavo: credevo che regnasse una grande professionalità, invece mi trovai in un ambiente ricco di personaggi squallidi, meccanici poco capaci, tanti profittatori, gente pronta solo a nascondere i propri sbagli e soprattutto la propria imperizia. Chi meritava davvero non trovava spazio. Io ho sempre pensato che nello sport dovessero emergere i più forti, i più bravi, ma ho capito che non sempre è così.
Che corridore eri?
Non certo un campione, ma sapevo correre, tanto che mi avevano soprannominato “Scienza” perché ero bravissimo nell’organizzare le strategie di corsa. La gara che però non potrò mai dimenticare è una prova da junior, la Coppa Adriana, la vinsi quando avevo appena lasciato il lavoro di fornaio: fu lì che imparai la parola sacrificio. Il fatto che nulla arriva se non t’impegni con tutto te stesso.
La medaglia olimpica ce l’hai ancora?
Certo, è un riferimento. Ancora oggi mi chiamano nelle scuole per spiegare che cosa significa vincere un’Olimpiade, quanto lavoro c’è dietro e vedo negli occhi dei ragazzi quella scintilla, quel sogno che avevamo noi. Questo non è cambiato, per fortuna…
E in bici ci vai?
Non quanto vorrei, anche perché alcuni anni fa subii un incidente di macchina andando a Lugano per una trasmissione Tv, che mi ha lasciato strascichi alla schiena e a una gamba. Pian piano però voglio riprovarci, perché la bici è il migliore dei farmaci…