Savio nel ricordo di Rujano. Tanto affetto e qualche spigolo…

12.02.2025
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A 42 anni suonati, José Rujano non ha ancora intenzione di appendere la bici al chiodo. Corre ormai solamente in Sud America, anzi per meglio dire nel suo Venezuela, ha trovato un ingaggio alla Jimm Santos Triple Gordo correndo l’ultima Vuelta al Tachira al fianco del figlio Jeison e ogni tanto qualche colpo di pedale del vecchio campione l’ha ancora assestato, ad esempio nella settima tappa chiusa al Cerro del Cristo Rey all’11° posto.

Savio, scomparso lo scorso 30 dicembre, si era guadagnato grande stima in tutto il continente americano
Savio, scomparso lo scorso 30 dicembre, si era guadagnato grande stima in tutto il continente americano

Il primo incontro con Savio

La particolarità però non è tanto questa (anche se vedere padre e figlio nello stesso team ciclistico non capita proprio spesso…), quanto il fatto che quei giorni fatidici tra allenamenti e gare sono arrivati poco dopo aver appreso della scomparsa di Gianni Savio. Non una persona qualsiasi, ma qualcuno che ha avuto un peso decisivo nella sua vita. Un rapporto che tra alti e bassi è andato avanti per tutto il nuovo secolo, sin da un giorno del 2002. Durante proprio la Vuelta al Tachira…

«Ero davvero giovanissimo allora – ricorda il corridore venezuelano, ancora profondamente legato all’Italia – ed ero in lotta per la vittoria finale. Un giorno si avvicina a me questo signore particolarmente elegante, con i suoi baffi sembra un uomo d’altri tempi e mi comincia a chiedere chi sono, come sono arrivato a quel livello, se mi sarebbe piaciuto provare a correre in Italia. Figurarsi, era un sogno che si avverava».

Un giovanissimo Rujano maglia dei gpm al Giro del 2005
Un giovanissimo Rujano maglia dei gpm al Giro del 2005

Il sogno del Giro d’Italia

Non era una proposta da poco, perché Savio gli propose un contratto quadriennale, il che significava mettersi a posto, economicamente parlando, per un po’ di tempo e poter mettere qualcosa da parte: «Ma io non badavo a questo. Gianni mi dava l’opportunità di correre il Giro d’Italia e io ne avevo tanto sentito parlare. A quel tempo Savio era già molto conosciuto in Sud America, aveva portato ai vertici internazionali Leonardo Sierra. Sapere che credeva in me era un grande onore».

Savio ha sempre avuto un grandissimo fiuto ciclistico. Sapeva che quel ragazzo venezuelano, taglia piccola ma esplosiva soprattutto in salita, aveva della stoffa e Rujano non tradì le attese, conquistando una tappa, il terzo posto in classifica e la maglia verde al Giro del 2005 e aggiudicandosi anche la classifica combinata. Ma in quegli anni di vittorie il venezuelano ne portò a casa una buona quantità, tanto da solleticare gli appetiti di altre squadre.

Savio insieme a Leonardo Sierra, la sua prima grande scoperta in Sud America
Savio insieme a Leonardo Sierra, la sua prima grande scoperta in Sud America

Il litigio e la riappacificazione

Con Savio il rapporto non era sempre idilliaco, anzi. Oggi Josè lo riconosce non senza un pizzico di rammarico: «Avevamo due caratteri forti, al quarto anno entrammo in rotta di collisione e infatti andai via dal team cercando nuove strade. Potevamo anche litigare, ma c’era fra noi un profondo rispetto reciproco, continuavamo a restare in contatto, a incrociarci per le strade del mondo e alla fine nel 2011 tornai a correre con lui all’Androni».

Quel rapporto è andato via via cementandosi, andando anche al di là del ciclismo: «Conosceva tutta la mia famiglia, ci sentivamo almeno 3 volte l’anno e spesso capitava anche che ci si incontrava nei suoi viaggi da questa parte del mondo. Ci siamo sentiti anche lo scorso anno, sentivo che stava male e che faceva fatica a parlare».

José Rujano al centro con i compagni di team alla Jimm Santos Triple Gordo (foto Instagram)
José Rujano al centro con i compagni di team alla Jimm Santos Triple Gordo (foto Instagram)

L’ultima, dolorosa telefonata

L’ultima volta che ha provato a chiamarlo è stato un paio di mesi fa: «Quella telefonata, ci penso spesso e mi fa ancora male perché sentivo dentro di me che non lo avrei più sentito. Cercava di nascondere il male, di mostrarmi speranza. Gli dissi che avrei tanto voluto fare l’ultima Vuelta al Tachira con lui, ancora una volta. Non è stato possibile e mi dispiace tanto».

Da dove nasceva questo suo profondo amore per il ciclismo sudamericano? «Io penso che sentisse dentro di sé di essere un po’ sudamericano anche lui. Aveva un grande occhio, ha portato tanti corridori a gareggiare in Europa, in tanti gli dobbiamo molto. Non era famoso solo in Venezuela, anche in Colombia, in Messico, sono tanti i Paesi dove Gianni ha trovato amici, si è fatto conoscere, ha favorito l’affermazione dei ciclisti locali».

Una delle sue vittorie più belle, al Giro d’Italia 2011 battendo Contador sul Glossglockner
Una delle sue vittorie più belle, al Giro d’Italia 2011 battendo Contador sul Glossglockner

Un personaggio fuori dal tempo

Come detto, il loro rapporto non era sempre semplice. «Gli dicevo sempre che era un po’ tirato nel pagare gli stipendi – dice con un sorriso – ma è sempre stato una persona corretta. Era un personaggio, al quale piaceva che il ciclismo fosse sinonimo di spettacolo e voleva che i suoi corridori fossero capaci di darlo. Per questo ci chiedeva sempre di attaccare, andare in fuga. Ma aveva anche un’umanità fuori del comune, quando qualcuno si faceva male gli restava sempre vicino, ogni caduta era per lui un trauma».

Nel suo racconto, José ha anche un altro rammarico: «Con Gianni anche mio figlio avrebbe avuto più possibilità di affermarsi e correre in Europa. Io so che Jeison può fare bene, ha qualità. Anche all’ultima Vuelta Venezuela poteva benissimo andare nei primi 5 se non avesse preso l’influenza. E’ stato sfortunato tante volte, ma è diverso da me, ha la mentalità del professionista soprattutto quando si allena, facendo quel che il preparatore gli dice. Io sono più figlio del mio tempo, più naif. Ma non mollo, voglio correre anche l’anno prossimo e provare a vincere la Vuelta al Tachira per la quinta volta. A 22 anni dalla prima…».

Di padre in figlio. La storia di Josè e Jeison Rujano

25.01.2021
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Rujano & Rujano, più che un marchio di fabbrica è un marchio di famiglia! Tutti ricordiamo il piccolo grande scalatore venezuelano, José Rujano, appunto, che per poco non vinse il Giro d’Italia del 2005. All’epoca correva con la Colombia Selle Italia ed era l’ennesima scoperta di Gianni Savio. Da allora ne è passata di acqua sotto ai ponti. Josè ha toccato alti e bassi, nel ciclismo e nella vita privata. Ma la passione per la bici non è mai venuta meno. E l’ha trasmessa a suo figlio Jeison.

I due, quasi per gioco, hanno iniziato a pedalare insieme. Quelle pedalate sono diventate poi uscite, allenamenti, gare. Tanto che Jeison è diventato campione nazionale U23. E così padre e figlio si sono ritrovati a correre insieme una corsa ufficiale internazionale, la Vuelta al Tachira, che si è conclusa ieri con la vittoria di Roniel Campos. Una corsa in cui c’è tutto il Venezuela del pedale e che Josè ha vinto ben quattro volte. E’ qui che è nato il suo mito. Josè è tutt’ora amatissimo nel suo Paese.

Josè e Jeison Rujano durante la preparazione
Josè e Jeison Rujano durante la preparazione

Una storia incredibile

Di fratelli in gara se ne sono visti tanti: i Bartali, i Coppi, gli Indurain fino ai Viviani e ai Nibali, ma padre e figlio è una vera novità. Almeno a questi livelli e a nostra memoria.

«Per me – racconta Jeison (19 anni) – è un grande onore correre con mio padre. Una volta era un sogno e in questo momento si è avverato. Penso che sia un regalo che la vita mi ha dato, un qualcosa che non si può davvero comprare».

«Sono molto felice – replica Josè (38 anni) – per quello che è successo. Il ritorno al Tachira non era previsto, ma mi sono goduto tutta la preparazione. Su di noi c’era attesa ed è stato speciale per me, così come per lui. Alcuni corridori si sono congratulati con noi. Altri ci hanno fatto battute come per esempio chi sarà primo tra di noi? Chi vince domani? Chi è il gregario e chi il capitano…».

Josè e Jeison Rujano: pausa caffè durante un allenamento
Per Jeison una pausa caffè durante un allenamento

Papà, corridore e ds

In passato Josè ci aveva raccontato delle prime uscite con il figlio. Quando lo vedeva crescere e soprattutto quando capiva, allenamento dopo allenamento, che davvero poteva essere forte, nelle gambe e nel carattere. Avendo calcato gli scenari del grande ciclismo, la sua esperienza è un tesoro prezioso da mettere a disposizione di Jeison, in allenamento e in corsa. 

«Jeison sa che può contare su di me – dice Rujano papà – In corsa ci siamo cercati parecchio. Spesso gli dicevo: dai andiamo avanti perché la strada è brutta. Oppure: prendi questo gel, per recuperare. Bevi, mangia…  Se andiamo davanti, c’è meno pericolo, vedi la corsa, ci sono meno cadute. E si guadagna anche il rispetto del gruppo». Insomma Jeison ha un direttore sportivo in corsa!

Per lo scalatore venezuelano però non è stato facile prendere il via in questa gara. All’inizio Josè non aveva squadra ed era in cerca di un team. Alla fine ha trovato spazio nel Team Osorio Ciclismo, nato per promuovere il ciclismo proprio nella regione del Tachira. 

Nel frattempo lavorava nel settore del pollame e si allenava. José è decisamente più maturo che ai tempi d’oro. Avesse avuto all’epoca questa mentalità probabilmente avrebbe vinto molto di più e magari si sarebbe portato a casa un grande Giro. Savio, per esempio, ne è sicuro. Lui stesso ci confidò queste cose in Argentina giusto un anno fa. 

Josè (primo) e Jeison (terzo) in una gara poco prima della Vuelta al Tachira
Josè (primo) e Jeison (terzo) in una gara locale

Il grande palcoscenico

Per il giovane Rujano si trattava della seconda grande esperienza internazionale di livello, già l’anno scorso vi aveva preso parte, ma il livello del Tachira 2020 era decisamente più basso. Per la prima volta si è ritrovato a pedalare anche con tanti professionisti europei e non era così scontato che riuscisse a concludere la prova, tra l’altro dura.

«Cosa mi ha colpito? Di essere riuscito a finire le tappe più dure senza grandi problemi – racconta Jaison – All’inizio mi allenavo con il potenziometro, quindi seguivo i watt. E’ stato così per quasi tutto il 2020. Poi alla fine di novembre ho ripreso ad allenarmi con mio padre, come facevamo all’inizio. A quel punto abbiamo seguito il suo metodo (sensazioni, chilometri e salite) e per tutto dicembre mi sono allenato con lui in vista del Tachira».

Jeison Rujano è campione nazionale a crono U23
Jeison Rujano è campione nazionale a crono U23

I sogni di Jeison

«Penso e spero che in futuro possa diventare un ciclista professionista – dice Jeison – correre il Giro d’Italia, il Tour e la Vuelta e magari riuscire a cogliere una grande vittoria nella mia carriera sportiva. E vorrei tanto che mio padre possa continuare a correre. Vederlo in bici al mio fianco mi motiva tantissimo».

«Jeison è uno scalatore, come me – dice con un certo orgoglio il papà – ma va molto bene anche a crono. Ha vinto il titolo nazionale U23. Sarebbe un sogno anche per me vedere mio figlio correre in Europa e nei grandi Giri. E devo dire che mi piacerebbe esserci. La vedo molto difficile ma non impossibile. Ripeto, sarebbe un altro sogno».