Vi ricordate di Museeuw? Ora a Roubaix corre suo figlio

17.01.2023
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Il ciclismo non è un lavoro semplice. In tanti ambiti siamo abituati a vedere genitori che trovano nei figli la loro ideale continuazione lavorativa, lasciano loro il posto, spianano la strada per il loro futuro. Nel ciclismo è molto difficile, ancor più se chi è tuo padre è stato un grande campione, di quelli che hanno contrassegnato un’epoca. E’ il caso di Stefano Museeuw, il figlio di Johan (nella foto d’apertura insieme durante il ritiro in Spagna).

Per i più giovani, Johan Museeuw è stato una colonna della Mapei, di quel nucleo di campioni dal quale è scaturita una storia ininterrotta di successi che prosegue ancor oggi attraverso la Soudal-Quick Step di Evenepoel e Alaphilippe. Allora, il team voluto da patron Squinzi aveva già una conformazione come quella degli ultimissimi anni, ossia di una squadra votata a fare il botto in ogni classica e Johan Museeuw era la perfetta incarnazione di quel profilo. Tre volte vincitore della Parigi-Roubaix come del Fiandre, iridato nel 1996 e poi una pioggia di altre classiche dal 1988 al 2004. Un fuoriclasse capace di affascinare un popolo come oggi fa Van Aert. Essere figlio di cotanto padre non è semplice.

Stefano Museeuw, 25 anni, è alla sua prima stagione con il Vc Roubaix
Stefano Museeuw, 25 anni, è alla sua prima stagione con il Vc Roubaix

Il figlio d’arte Stefano Museeuw ha 25 anni. E’ passato professionista nel 2020, ha sempre corso in squadre continental, quest’anno approda alla Go Sport-Roubaix Lille Metropole e la cosa affascina suo padre.

«Mi ha fatto davvero piacere – racconta Johan – quando ho saputo che passava nel team francese, Roubaix è una località che porta in me sempre dolci ricordi, anche quando sono stato battuto. Stefano ha iniziato a fare seriamente il ciclista 3 anni fa, ma era il tempo del Covid e non era davvero semplice potersi adattare. Ha corso in un team tedesco, poi uno belga e ora va in Francia. Ha bisogno del suo tempo».

Il fatto che abbia un nome italiano incuriosisce…

Anche suo fratello Gianni ha un nome italiano. Sono nati quand’ero in Italia e i loro nomi sono legati a due miei grandi amici e persone che stimo come Stefano Zanini e Gianni Bugno, compagni e avversari allo stesso momento. Io sono sempre stato innamorato dell’Italia, sono rimasto amico di tanti colleghi italiani tanto che preferisco parlare italiano piuttosto che francese. Però non ho mai baciato una ragazza italiana… 

Stefano Zanini e Johan Museeuw, primo e terzo all’Amstel ’96. Un’amicizia che dura ancora oggi. A sinistra, Mauro Bettin
Stefano Zanini e Johan Museeuw, primo e terzo all’Amstel ’96. Un’amicizia che dura ancora oggi
Com’è Stefano come corridore?

E’ difficile fare il ciclista se hai avuto un padre famoso. Io ho corso con Axel Merckx, era davvero bravo ma quel nome lo schiacciava, tutti facevano continuamente paragoni. Per Stefano è lo stesso, ma so che è spinto da una grande passione. Io sono contento dei suoi inizi, sta imparando tanto. Quando deve fare allenamenti sul ritmo usciamo spesso insieme, quando ha lavori più specifici chiaramente no, non ho più il fisico.

Ha qualche caratteristica che ha ereditato da te?

E’ un corridore molto tattico, sa leggere bene la corsa e quando si trova in gruppi di 30-40 corridori può dire la sua perché è abbastanza veloce. In salita tiene anche meglio di come riuscivo a fare io. Sa gestirsi bene anche se non ha un gran motore, lo sa bene lui stesso, ma è molto intelligente. Credo che gli manchi solo quel pizzico di furbizia che viene dall’esperienza, poi potrà togliersi delle soddisfazioni. Poi, è chiaro che per essere un campione devi avere tutto al massimo grado, ma io credo che un posto nel mondo del ciclismo importante potrà trovarlo.

Il figlio d’arte belga ha corso due anni con la Beat Cycling, formazione continental tedesca
Il figlio d’arte belga ha corso due anni con la Beat Cycling, formazione continental tedesca
Stefano corre in un’epoca di grandi campioni e dove il gruppo ha un’età media molto diversa da quella dei tuoi tempi. Quanto è cambiato il ciclismo da allora?

Tantissimo, strumenti come il power meter noi non li avevamo, ma non avevamo neanche le radioline in corsa e quindi dovevamo continuamente pensare a che cosa fare. E’ cambiato tutto: la dieta, l’allenamento, i tanti ritiri in altura, anche i soldi… Oggi è un ciclismo talmente sofisticato che anche la più piccola cosa, magari un capo d’abbigliamento diverso fa la differenza.

Tu sei stato il riferimento del ciclismo e quindi dello sport belga a cavallo del secolo. Oggi c’è Van Aert che smuove masse enormi quando gareggia nel ciclocross. Avveniva lo stesso ai tuoi tempi?

Ogni generazione ha i suoi fenomeni, oggi ce ne sono tanti e Van Aert è uno di questi. In Belgio il ciclocross poi è un’autentica cultura, anch’io l’ho fatto e so che l’importanza che ha il ciclocross in Belgio non è paragonabile a nessun’altra nazione. Van Aert è un campione universale, ma i vari Iserbyt o Vanthourenhout, al di là dei confini nazionali, non hanno grande visibilità. E’ la strada che dà la gloria imperitura, questo non cambierà mai.

La Roubaix del ’96 con il famoso arrivo in parata Mapei: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
La Roubaix del ’96 con il famoso arrivo in parata Mapei: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
Ti piace il ciclismo di adesso?

E’ molto diverso dal mio, ma mi piace, lo seguo sempre con passione. Anche se, a essere sincero, con tutti questi strumenti elettronici che si portano appresso, con quei cellulari con i quali riprendono tutto e sui quali sono costantemente appiccicati, lo trovo un po’ meno genuino di allora. Ma io sono di un’altra generazione…