Il Giro di 100 anni fa e la nascita di una rivalità

27.03.2022
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Chi vinse il Giro di 100 anni fa? E’ cercando di rispondere a questa futile domanda che si scopre ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, che le storie del ciclismo sono infinite e incredibili. Colpi di scena, liti, imprese, bufere di neve, squalifiche… Il Giro d’Italia del 1922, vinto da Giovanni Brunero, non ne fu esente.

Tra l’altro un Giro che toccò tre località in cui farà tappa anche quello che scatterà da Budapest il prossimo 6 maggio, vale a dire Napoli, Pescara e Torino. E anche diversi tratti di percorso, tra cui il Macerone e il Piano delle Cinque Miglia, che si affronteranno nel corso della tappa numero nove, e che furono determinanti per quell’edizione.

Quel Giro d’Italia si disputò in un clima sociale che cominciava a farsi più che teso. La classe operaia insorgeva. Quella politica, come spesso accade, non coglieva il malcontento e le camicie nere, che fascisti ancora non erano, prendevano sempre più forza. Da lì a pochi mesi avrebbero marciato su Roma.

La planimetria del Giro d’Italia 1922 (foto Archivio A. Freschi)
La planimetria del Giro d’Italia 1922 (foto Archivio A. Freschi)

Il fattaccio

Era il decimo Giro della storia. Andava da Milano a Milano, contava dieci tappe e misurava in tutto 3.095 chilometri. All’epoca non si correva tutti i giorni vista la lunghezza delle frazioni. Solitamente si faceva la tappa e poi si osservavano un paio di giorni di riposo. Le frazioni erano lunghissime, le strade erano bianche, le bici di ferro e le medie di conseguenza erano basse. Ammesso che fare i 25 all’ora in quelle condizioni fosse poco!

Il fattaccio si consumò nella prima frazione, la Milano-Padova. Si devono superare subito due salite Sant’Eusebio e il Pian delle Fugazze, e per l’epoca non era un qualcosa di molto diffuso. Ma il ciclismo, allora come oggi, stava cambiando e di lì a poco proprio le salite avrebbero dominato la scena e gli immaginari comuni.

Ma torniamo a quel 10 maggio di cento anni fa. Il Giro d’Italia parte all’alba. Al via 75 corridori, tra cui i favoriti Costante Girardengo e Gaetano Belloni della Bianchi e Giovanni Brunero, della Legnano. Sulla discesa delle Fugazze Brunero, in testa, cade. Rompe una ruota e la sostituisce. Come? Con quella del compagno Sivocci, che a sua volta ne prese una da un altro gregario meno forte, finché quest’ultimo non si arrangiò a ripararla come da regolamento.

Questa azione infatti non si poteva fare. Le bici e i loro componenti si potevano riparare, ma non sostituire. Eugene Christophe si ricostruì la forcella durante un Tour de France sotto gli occhi del giudice, tanto per dire.

Questa sostituzione in qualche modo mette le ali a Brunero. Il corridore della Legnano arriva a Padova con oltre 15′ di vantaggio su Belloni. La Bianchi di Girardengo protesta e l’UVI (la Federazione non esisteva, c’è era l’Unione Velocipedistica Italiana) infligge 25′ di penalità a Brunero.

Rivincita Girardengo 

Questa penalità però non era sufficiente secondo i dirigenti della Bianchi. La polemica proseguì. E alla fine la Bianchi ottenne almeno che Brunero corresse sub iudice.

Costante Girardengo era un mastino. Non a caso fu il primo Campionissimo della storia. Se si contassero tutte le sue vittorie, anche quelle su pista quasi doppierebbe Merckx. Si stima siano oltre mille. Il dato certo è difficile da stabilire. Anche perché non tutte erano gare “ufficiali”. 

Dopo aver mangiato riso, uova e carne bianca (Girardegno era un maniaco dell’alimentazione), due giorni dopo Girardengo approfittò delle sue grandi doti di passista e pistard. Mise tutti in fila in volata nella Padova-Portorose, che oggi si troverebbe in Slovenia. Tuttavia questa sua cavalcata non bastò a togliere la laedership al compagno Belloni, mentre Brunero, con la penalità dei 25′ era quarto.

Ritiro Bianchi

La terza frazione va a Belloni. Non cambia nulla nella generale, ma ecco che prima della quarta tappa, la Bologna-Pescara, arriva la sentenza: Brunero può correre. E’ confermata la penalità dei 25′, ma su di lui non pendono altre accuse. La Bianchi non ci sta e si ritira. E la stessa cosa fa la Maino.

Brunero, che comunque non era uno sprovveduto visto che era il campione uscente del Giro e aveva già vinto gare come la Milano-Sanremo pochi mesi prima (proprio su Girardengo), plana verso la conquista del Giro. Corre da dominatore e se la vede con il bravo Bartolomeo Aymo, ricordato anche da Ernest Hemingway in Addio alle Armi.

Controlla Aymo nell’appenninica Pescara-Napoli, dove si scalano il Macerone e anche il Piano della Cinque Miglia e fa il diavolo a quattro in una delle tappe più lunghe, la Roma-Firenze di 319 chilometri. E’ proprio salendo verso Radicofani che di fatto vince il Giro. Stacca tutti in salita e vola attraverso la Val d’Orcia, il Chianti e arriva a Firenze con quasi 4′ su Aymo. E’ il nuovo leader del Giro. 

Ma a quel tempo, nulla poteva essere dato per certo. Un guasto poteva essere fatale. E qualche rischio Brunero lo corse. Accadde nella nona e penultima tappa, ma stava talmente bene che alla fine arrivò a Torino con appena 22” di ritardo da Aymo. Per suggellare il trionfo schiacciò tutti nella tappa finale, infliggendo allo stesso Aymo altri 6′.

Girardengo (a sinistra) e Brunero: la rivalità si accese già alla Sanremo persa clamorosamente allo sprint da Costante che era velocissimo
Girardengo (a sinistra) e Brunero: la rivalità si accese già alla Sanremo persa clamorosamente allo sprint da Costante che era velocissimo

Radici di una rivalità

Quel che accadde in quel decimo Giro d’Italia fu un fatto che col tempo chiaramente si affievolì, ma si può dire che una buona fetta della rivalità tra Legnano e Bianchi nacque in quel Giro. Quella “non squalifica” di fatto fu il germe del derby tra le due case. Bartali e Coppi non potevano che militare in queste due squadre.

Girardengo (Bianchi) non l’aveva mandata giù. E Brunero (Legnano) non si era certo abbandonato agli eccessi di fair play che si vedono oggi. Pagata la sua penalità andò avanti a testa alta. 

Ma la rivalità Bianchi-Legnano è scoppiata. L’anno dopo, 1923, proprio Brunero e Girardengo, tra l’altro entrambi piemontesi, il primo torinese, il secondo alessandrino, se le danno di santa ragione.

Brunero, più scalatore, prova a metterlo in difficoltà sulle rampe di nuovo del Macerone. Costante tiene botta e di fatto non corre più rischi. Alla fine la spunterà Girardengo per soli 37”, un niente per il ciclismo di quell’epoca, vincendo ben otto delle dieci tappe in programma.