Chrono des Nations, pochi giorni fa: nella classifica junior, quella vinta dal belga Alec Segaert, spunta un cognome noto, quello di Saligari. Giacomo Saligari è figlio del “Commissario”, ossia Marco Saligari, per oltre 10 anni pro’, con 15 vittorie all’attivo tra cui un Giro della Svizzera e un terzo posto all’Amstel Gold Race. Oggi Marco fa l’opinionista in Rai per le corse ciclistiche e ammette che mai nella vita avrebbe pensato che, un giorno, potrebbe essere suo figlio oggetto delle discussioni davanti al microfono.
Gli inizi di Giacomo sono piuttosto recenti: «Ha cominciato a praticare il ciclismo solo a 14-15 anni, prima si dedicava al nuoto non pensavamo che seguisse le mie orme. Facevamo sì qualche uscita in bici, qualche escursione, ma nulla di più, poi evidentemente è scattato qualcosa. Un giorno ci ha detto che voleva provarci, sul serio. Non nascondo che mia moglie ci è rimasta anche un po’ male…».
Conosceva la tua storia?
Sì, da quello che si trova in rete, video su Youtube in particolare e quando mi vedeva si emozionava. D’altronde è del 2003, io ho smesso nel 1998, per lui sembra preistoria. E’ sempre stato curioso, quando ci trovavamo a cene con gli amici e si parlava delle gare del passato, mi diceva sempre «ma allora hai vinto anche questa, ma addirittura hai vinto il Giro della Svizzera, ma al Giro d’Italia…». Ha scoperto la mia carriera poco alla volta.
Nella sua scelta ciclistica si è affidato a te?
Diciamo che tiene ai miei consigli: la prossima sarà la terza squadra per lui, ha iniziato con la Senaghese, poi Energy Team e dal 2022 andrà al VC Mendrisio, dove il diesse Botta è cugino di un suo compagno di squadra. Ogni volta che doveva parlare con qualche società ha voluto che fossi presente, che sentissi se erano buone proposte, ma poi ha deciso sempre lui.
Che cosa ti aspetti?
Gli ho sempre detto che è un mondo molto difficile, ora ancor più dei miei tempi. Io voglio che questa sia per lui una buona esperienza di vita: non so se sarà mai un professionista, ma comunque vada vorrei che il ciclismo gli lasciasse un buon ricordo. Non è così per tutti.
Rispetto a te che corridore è?
Io ero più veloce, ma lui è più coraggioso. Ha un modo di correre che mi piace molto, generoso, spesso all’attacco e magari per questo perde, ma alla sua età ci sta, serve per imparare. Io sono sempre stato convinto che il primo obiettivo dello sport è far crescere una persona, dargli la giusta educazione, altrimenti sarà un fallimento. Nel ciclismo ci sono centinaia di ragazzi che smettono, che non arrivano ai vertici per uno che ce la fa, perché devi avere tante qualità non solo fisiche, ma anche e soprattutto caratteriali. Il suo è un viaggio appena iniziato.
Come mai era tra i pochi italiani a Les Herbiers?
E’ stato invitato in base ai risultati della stagione, soprattutto dell’ultimo mese. E’ stata per lui un’esperienza grandiosa, vedere tutto il contesto, ha chiuso 30° a 3’41” da Segaert. Dopo quell’esperienza è ancora più convinto di prima: ora ci vuole una vittoria, finora ancora non ci è riuscito.
Com’è il suo rapporto con la scuola?
Ottimo, frequenta il Liceo Scientifico Sportivo. Di questo abbiamo parlato molto: sa bene che per me e sua madre l’idea di privilegiare l’attività ciclistica non è un’opzione. Molti ragazzi lo fanno, lasciano gli studi e poi quando non trovano sbocchi non hanno un piano B. Devo dire che è un ragazzo con la coscienza sulle spalle, è determinato nello studio e questo ci conforta. Certamente far convivere le due cose non è semplice, l’attività ciclistica a quell’età dovrebbe anche essere commisurata agli impegni scolastici e questo non succede nella compilazione dei calendari, comunque finora abbiamo trovato nel suo istituto molta comprensione.
Parlate spesso di ciclismo e del suo futuro?
Diciamo che mi chiede molte cose su com’è l’ambiente, non solo i corridori, ma nel complesso. La vita del ciclista la sta scoprendo piano piano. L’importante è che mantenga questa serenità, comunque vada.