Una mostra di maglie gialle. Il tributo di Bettini al Tour

14.07.2024
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Il passaggio del Tour de France a San Marino è stato festeggiato anche attraverso una mostra fotografica dedicata alla Grande Boucle, autore il “nostro” Roberto Bettini, collega con il quale abbiamo condiviso una vita di trasferte in giro per il mondo e che attraverso la sua agenzia fornisce gran parte delle foto che trovate sul nostro sito. Bettini è la perfetta incarnazione dell’uomo che ha fatto della sua passione un lavoro, non perdendone nel corso degli anni neanche un’oncia.

Una rassegna di campioni e protagonisti per un solo giorno, accomunati dalla maglia gialla
Una rassegna di campioni e protagonisti per un solo giorno, accomunati dalla maglia gialla

La storia attraverso i leader

La sua mostra ha una particolarità, legata al tema scelto: per identificare il Tour ha deciso di proporre solo ed esclusivamente foto delle varie maglie gialle indossate nel corso degli anni. La storia della corsa attraverso i suoi leader, da chi ha vinto più edizioni consecutivamente a chi magari l’ha indossata solo per un giorno, conservandone quel ricordo per tutta la vita.

«Niente più di quella maglia è il manifesto, l’icona del Tour – spiega così la sua scelta Bettini – non a caso tutto è giallo e lo si è visto anche nelle varie località italiane toccate dal suo passaggio. Era la prima volta che avveniva una cosa del genere da noi e bisognava darle il giusto peso, il problema era scegliere qualcosa che fosse immediatamente identificativo. A San Marino avevano pensato di fare un chilometro tutto giallo, ma avere i permessi (anche lì era tempo di elezioni) era difficile. Così abbiamo scelto la strada della mostra delle maglie gialle, un simbolo che porti appresso tutta la vita».

L’ampio locale che ha ospitato la rassegna fotografica di Roberto Bettini
L’ampio locale che ha ospitato la rassegna fotografica di Roberto Bettini
Quanti Tour hai vissuto in prima persona?

Tutti dal 1991 fino al 2014, poi ho passato la mano a mio figlio, tramite lui mi sono sempre sentito parte della carovana, anche perché ogni anno qualche tappa l’ho comunque vissuta in prima persona. Facendo il conto ho seguito in moto più di 500 tappe in Francia e in giro per l’Europa e ho vissuto sulla mia pelle l’evoluzione, il cambiamento profondo che questo mondo ha vissuto e vive ancora adesso.

Rispetto a quando hai iniziato a seguirlo, quant’è cambiato l’ambiente dal tuo punto di vista?

Profondamente. E’ molto più difficile lavorare oggigiorno, ci sono tante regole da seguire, tanti mezzi in più ma paradossalmente molte meno moto a nostra disposizione. Inoltre prima ci si poteva muovere meglio in mezzo al gruppo, oggi devi chiedere permesso ai regolatori e quando ti arriva, magari il momento buono è passato. Le foto oggi sono molto più frutto di fortuna per trovare l’attimo giusto. D’altronde normalmente trovi 2 moto per l’acqua, 4 per i regolatori, poi le Tv senza considerare i mezzi per i vip. Le ammiraglie sono poste davanti invece che dietro, insomma è un modo diverso di vivere la corsa. Spesso si sceglie un punto, ci si ferma e si fotografa il passaggio, ma bisogna essere fortunati.

Vingegaard in primo piano in occasione del suo ultimo Tour vinto, di fronte Stephen Roche, primo nel 1987
Vingegaard in primo piano in occasione del suo ultimo Tour vinto
Come si ovvia a tutte queste difficoltà?

Cercando anche di mettersi d’accordo, di collaborare fra noi fotografi. Questo avveniva anche prima, perché non sempre si aveva la moto a disposizione, erano un po’ ruotate fra i fotografi. Diciamo che ci si passa la base di lavoro in corsa.

Oltretutto anche dal punto di vista tecnico il vostro lavoro è cambiato…

Infatti, ora è tutto diverso. Prima si portavano le foto all’arrivo e magari si scaricavano e si identificavano alla sera, ora le richieste sono in tempo reale, serve quindi la persona in sede che raccolta e prepari le foto per la pubblicazione in tempi rapidissimi perché già pochi minuti dopo siti e social chiedono. Io infatti mi dedico a questa fase del lavoro, per caricare le foto sul sito prima possibile.

Ti diverte questo ciclismo?

Molto. Con corridori come quelli di oggi, i Pogacar e i Vingegaard che si confrontano di continuo è incerto. E’ un bel momento, io ho vissuto quello dei dominatori assoluti, l’epoca di Armstrong che toglieva smalto al ciclismo dal punto di vista dell’incertezza. Oggi non sai quel che può succedere e questo appassiona.

Servirebbe però il corridore italiano di riferimento…

Infatti se ne sente tanto la mancanza. Anche se l’Italia nel ciclismo di oggi c’è, molto più di quanto si pensi, basta pensare alla Uae che ha tanto d’italiano al suo interno e anche Pogacar in effetti è un nostro “vicino”. Il problema è che senza un italiano, la gente è distratta, si vede ad esempio quel che sta succedendo nel tennis che oggi attira tanta attenzione. Non c’è l’entusiasmo di prima. A Ravenna tanti si lamentavano per il blocco delle strade, vagli a spiegare che stava succedendo qualcosa di storico, mai avvenuto prima…

Greg Lemond, uno dei grandi interpreti negli anni Ottanta, tre volte vincitore
Greg Lemond, uno dei grandi interpreti negli anni Ottanta, tre volte vincitore
Ma la gente secondo te ama ancora questo ciclismo?

Io dico di sì. Una cosa che mi colpisce sempre è vedere quanti cartelli ancora ci sono in giro per le corse che inneggiano a Pantani, questo fa capire quant’era l’amore per il Pirata. Oggi però il ciclismo soffre un po’ come il calcio, perché non c’è il riferimento a cui appoggiarsi.

E parlando di passione, la tua c’è ancora?

Sì, non diminuisce anche se il modo di lavorare è cambiato. Ma anche occupandomi di editing vivo questo mondo, quando sono presente respiro le stesse sensazioni di allora e sembra che gli anni non sono passati. D’altronde un Bettini in carovana c’è sempre…

Le Canon di Fizza nel backstage dei corridori della UAE

26.12.2023
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LA NUCIA (Spagna) – Lorenzo Fizza Verdinelli è l’occhio sempre discreto che segue il UAE Team Emirates in ogni corsa importante e anche nei ritiri. La sua firma sta in un watermark che colloca di solito in basso a destra di ogni foto. In questi tre anni di bici.PRO abbiamo raccontato il punto di vista di alcuni fotografi del ciclismo, ma il caso di Fizza è diverso, perché lui ha accesso nel dietro le quinte da cui chi ha al collo un pass stampa viene ormai escluso.

Lorenzo Fizza è trentino, le sue mirrorless fermano momenti bellissimi
Lorenzo Fizza è trentino, le sue mirrorless fermano momenti bellissimi

Un occhio discreto

Che cosa significa esserci sempre e dovunque? Quali sono le immagini che si cercano? Quali si possono mostrare e quali è meglio di no? E come si arriva a rivestire un ruolo del genere?

«Ho iniziato nel primo anno della squadra – racconta in una pausa fra le interviste ai corridori del team – quindi nel 2017. Ho 42 anni. La squadra cercava un fotografo che documentasse tutta la loro vita. Io ho conosciuto Andrea Agostini grazie a Daniel Oss. Vengo dal mondo degli action sport, dirigevo una rivista di snowboard. Sono di Trento, quindi la montagna era il mio ambiente naturale.

«Nel 2015 con Daniel avevamo fatto la prima edizione del progetto Just Ride e grazie a quel viaggio ho conosciuto Andrea. E quando lui è entrato nel management del team, si è messo in cerca di un professionista che facesse foto e video. Voleva aprire la squadra ai nuovi media e ai social. Insomma, voleva creare dei contenuti e il modo migliore era avere una figura all’interno della squadra, capace anche di realizzare contenuti per gli sponsor».

Il bianco e nero ferma il tempo e dona profondità. Lui è Almeida (foto Fizza/UAE)
Il bianco e nero ferma il tempo e dona profondità. Lui è Almeida (foto Fizza/UAE)
Vedendo i tuoi scatti, sei entrato sempre di più nelle segrete stanze, riprendendo i momenti di vita della squadra. I corridori come vivono la tua presenza?

A differenza dei fotografi o videomaker esterni, facendo parte della squadra, per loro è molto più naturale avermi vicino. Non sono un estraneo, quindi in alcuni momenti di intimità si sentono più liberi e più naturali.

Che tipo di criteri ti guidano nello scegliere le immagini da pubblicare?

Chiaramente cerchiamo di mantenere una linea nelle immagini della squadra. In realtà non ho un limite o un’imposizione, semplicemente io racconto il mondo dei corridori. Sono ragazzi semplicissimi. Magari vedendoli dalla tivù e dai giornali, la gente può pensare che siano delle star come i calciatori, in realtà sono dei ragazzi giovani che fanno una fatica bestiale. Nel tempo libero si divertono come tutti. Quindi diciamo che quella parte è anche più divertente da raccontare. Il mondo del ciclismo non è solo fatica. Il lavoro di ciclista è uno dei più duri al mondo, ma ci sono anche delle ore giù dalla bici. Stare assieme e ridere secondo me è una parte del successo della squadra. Quando ti diverti, senti meno la fatica e vai meglio.

Il fuoco sulla squadra, il fotografo sfocato: è la Tirreno di Pogacar (foto Fizza/UAE)
Il fuoco sulla squadra, il fotografo sfocato: è la Tirreno di Pogacar (foto Fizza/UAE)
Sei abitualmente testimone del dietro le quinte in caso di vittorie o di grandi sconfitte. Come le vivi?

Dipende dalla situazione, ma di base cerco sempre di essere meno invadente possibile. Con i ragazzi ho sempre un buon rapporto, ma chiaramente l’interno del bus è come se fosse lo spogliatoio, quindi magari le emozioni possono venire un po’ più a galla.

Pogacar e le emozioni?

Tadej è un ragazzo incredibile. Non solo perché è una potenza della natura a livello atletico, ma anche a livello mentale. E’ grande persino nell’accettare le sconfitte, perché comunque lo sport è fatto di sconfitte. Un vero campione deve saper affrontare le sconfitte in maniera dignitosa e sono testimone che Tadej è proprio così.

Le foto sul pullman: una volta si saliva, oggi sale soltanto il personale del team (foto Fizza/UAE)
Le foto sul pullman: una volta si saliva, oggi sale soltanto il personale del team (foto Fizza/UAE)
Conoscevi Daniel Oss, ma avevi la percezione di come fosse il mondo del ciclismo da dentro?

No, chiaramente no. Ovviamente, entrandoci, lo vivi e lo vedi in maniera diversa. Far capire che questi atleti sono veramente dei ragazzi normali è il mio ruolo. La cosa bella è che tutti chiedono loro come stiano, nell’ottica della prestazione. A me invece della prestazione interessa fino a un certo punto. Quindi il mio ruolo, fra virgolette, è anche quello di uscire dalla competizione. Parliamo anche di altre cose e non stiamo sempre lì a pensare alle prestazioni.

Lo vivi e lo vedi in maniera diversa: che cosa significa?

Vivono un professionismo altissimo rispetto agli sport dove lavoravo prima. Ogni membro della squadra, è uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. Sono ricercati per il lavoro che fanno e la cosa molto interessante è che dalla somma di queste competenze nasce la squadra, composta dai suoi tanti elementi. E’ bello vedere che il ciclismo non è solo una bicicletta.

Formolo strizza l’occhio, come un saluto prima di passare alla Movistar (foto Fizza/UAE)
Formolo strizza l’occhio, come un saluto prima di passare alla Movistar (foto Fizza/UAE)
Che rapporto hanno i corridori con la propria immagine?

Bè, dipende. C’è chi è più introverso e timido, chi è un po’ più espansivo, quindi c’è chi è più abituato ai social, chi un po’ meno. Chiaramente i social sono una parte fondamentale, che si affiancano alla prestazione sportiva. Tendenzialmente sono tutti abbastanza propensi, ognuno con le sue particolarità.

Quanti giorni all’anno sei fuori?

Più o meno sono 120 giornate fra corse, ritiri e allenamenti.

Quanto tempo impieghi per vedere e archiviare le foto? E di quanto spazio di archivio hai bisogno?

Soprattutto i video richiedono tanto spazio, perché i file sono sempre più pesanti. Tra un po’ bisognerà affittare una stanza solo per tenere gli hard disk.