DT Swiss ARC38 1100 Dicut, la rigidità che non ti aspetti

24.07.2024
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FELTRE – Rigide e leggere, scorrevoli e guidabili, le DT Swiss ARC38 sono anche questo. Potrebbero essere il compromesso ottimale per molti, perché non sacrificano la velocità (rispetto ad un profilo da 50 millimetri). Al tempo stesso diventano più gestibili nel lungo periodo, quando il dislivello positivo raggiunge cifre importanti e quando è necessario rilanciare in fretta.

Cerchio da 38 millimetri di altezza e canale interno da 20. Raggiatura differenziata tra anteriore e posteriore, un mix che richiama l’aerodinamica e tanta rigidità laterale. E poi il valore aggiunto dei mozzi Dicut 180 con il meccanismo Rachet EXP (posteriore). 1.300 grammi (la coppia) di puro godimento e fanno parte del segmento Aero Optimizing.

Il test anche durante la Sportful Dolomiti Race
Il test anche durante la Sportful Dolomiti Race

DT Swiss stravolge la ruota bassa

Tempo addietro la ruota bassa era quella più comoda, certamente più leggera, ma utilizzata anche per avere maggiore morbidezza e una guidabilità facilitata della bici. La nuova ARC38 stravolge questo concetto, o meglio, lo evolve e adatta alle richieste e tecnologie attuali. Si tratta di un prodotto da competizione, che sorprende per la rigidità laterale e dotato di quella proverbiale scorrevolezza che è diventato uno dei marchi di fabbrica di DT Swiss.

Nell’era delle bici con i freni a disco e delle ruote ad alto profilo, DT Swiss fa saltare il banco con un profilo che oggi consideriamo ridotto, nato dalla collaborazione con Swiss Side. Le ARC38 sono ruote veloci, che permettono di mantenere facilmente un’andatura elevata e di conseguenza invitano a sfruttare un posizione efficiente in termini di penetrazione dello spazio. Inoltre, se messe a confronto con cerchi più alti, hanno influenze marginali sul controllo dell’avantreno e sulle forze che inevitabilmente si generano sullo sterzo e proprio in fase di sterzata e cornering. Sono facili da guidare.

Jean-Paul Ballard di Swiss Side (foto DT Swiss)
Jean-Paul Ballard di Swiss Side (foto DT Swiss)

Lo zampino di Swiss Side

Perché interpellare e coinvolgere i maghi dell’aerodinamica di Swiss Side, quando si argomenta una ruota medio/bassa? Lo abbiamo chiesto direttamente a Jean-Paul Ballard, fondatore e CEO dell’azienda svizzera.

«Un mito da sfatare è che l’aerodinamica sia solo per i ciclisti veloci. Non è vero. Ci sono notevoli risparmi nella resistenza aerodinamica anche a velocità inferiori, in particolare quando si sale in montagna. Pertanto, il nuovo cerchio aerodinamico da 38 millimetri è progettato per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica e massimizzare l’effetto vela, in una ruota da montagna dal peso minimo e dal profilo basso».

Il cappuccio della Presta è anche la chiave per smontare la testa della valvola
Il cappuccio della Presta è anche la chiave per smontare la testa della valvola

Il segno rosso dei cuscinetti SINC Ceramic

Il modello in test è posizionato al top del listino ed è il medesimo utilizzato anche in ambito professionistico. Nessuna differenza, stesse soluzioni tecniche. Cerchio full carbon (hooked, non hookless) da 38 millimetri di altezza, 26 di larghezza totale e con un canale interno da 20 che prevede l’applicazione del nastro tubeless. Tutti i raggi sono in acciaio ed incrociati in seconda. Sono di matrice DT Aero Comp con nipples interno al cerchio, mentre quello della ruota posteriore (lato pignoni) sono Aerolite.

L’ingranaggio del mozzo posteriore è l’ultima versione Rachet EXP con 36 punti di ingaggio. Facile in caso di pulizia e manutenzione, affidabile e non prevede alcun bullone di blocco. I cuscinetti sono i SINC con trattamento ceramico. Ogni sfera ha una tolleranza di gioco di pochissimi millesimi di millimetro, fattore che permette un adattamento del cuscinetto una volta inserito nel mozzo.

Non solo da salita

A prescindere dal contesto di utilizzo, le DT Swiss da 38 sono ruote in grado di cambiare il carattere di una bicicletta, facilmente sfruttabili anche su una aero-bike. Sono rigide e si sente, ma non sono invasive quando la guida diventa tecnica. La rigidità emerge quando si cambia passo, quando ci si alza in piedi sui pedali per rilanciare la bici e quando la velocità si alza in modo esponenziale (ad esempio percorrendo una discesa alpina). Non parliamo di una rigidità scomoda, dura e prepotente, quella che obbliga a cambiare lo stile di guida e a far si che sia il ciclista ad adattarsi al componente. Nulla di tutto questo.

Davanti si percepisce la ruota “tosta”, che è un binario quando i tornanti o le curve affrontate in velocità obbligano a spostare anche il corpo. Dietro c’è una ruota che spinge, che non si siede quando si indurisce il rapporto, si sposta il corpo per fare forza e inevitabilmente ci si scompone. Certo, contano anche le gomme (le abbiamo usate nella configurazione tubeless) e le pressioni di esercizio, ma il sostegno che arriva dalla raggiatura e dal mozzo si sente.

Zero manutenzione

Anche dopo aver percorso poco meno di 1.000 chilometri, anche in condizioni di pioggia, il mozzo posteriore è esattamente come era in origine. Significa preservare il sistema e la funzionalità, le performance e la longevità. E poi è sufficiente togliere il corpetto della ruota libera con una sola mano. Non ci sono brugole e/o bulloni di tenuta, non ci sono brugole di contrasto per il pre-carico dei cuscinetti.

Facile da rilanciare, di più, rispetto ad una ruota da 50
Facile da rilanciare, di più, rispetto ad una ruota da 50

In conclusione

Se è vero che le velocità di punta hanno visto un importante incremento nelle ultime stagioni, così come le medie orarie a tutti i livelli (anche in ambito amatoriale), è pur vero che l’utilizzatore medio fa fatica a sfruttare a pieno le potenzialità di un cerchio da 50 millimetri e oltre. Tenere una media oraria superiore ai 40 chilometri orari, spingersi verso i 45/50 all’ora non è cosa da tutti. Ma è pur vero che i vantaggi che arrivano dal mezzo meccanico moderno, dai suoi componenti e dell’aerodinamica sono sotto gli occhi di tutti e più o meno alla portata di (quasi) tutti.

Quando si esce in bicicletta per allenarsi con metodo e per puro piacere difficilmente si affronta una sola tipologia di strada. C’è la pianura, il vento, i mangia e bevi, ovviamente la salita lunga o corta che sia. Se un profilo da 38 diventasse la soluzione ottimale? Non scriviamo di un compromesso, ma di un pacchetto di ruote che è realmente sfruttabile ovunque, a tutti i livelli e in tutte le zone di potenza. 2500 euro sono molti (versione Dicut 1100 in test), ma è bene considerare che una ARC38 potrebbe essere la ruota totale.

DT Swiss

La Valbelluna a colpi di pedale. Paradiso del cicloturista

20.02.2022
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C’è un territorio nel cuore del bellunese che non è alta montagna né collina. Non è mare (chiaramente!) e neanche Lago. Ma per chi ama scoprire luoghi e segreti in bici è un vero paradiso: è la Valbelluna.

E noi, con il Gal Prealpi e Dolomiti ci siamo goduti una tre giorni di divertimento, di mangiate e di bevute, di salite e stradine, di cultura e natura.

Natura, ma non solo

Ma prima di partire, cerchiamo di individuare bene la zona a cui ci riferiamo. Siamo in provincia di Belluno, nella porzione più bassa, quella tra la pianura e le prime alte cime dolomitiche. La bellissima Feltre è il fulcro della nostra piccola avventura. 

Verso sud le montagne, le Prealpi, che separano appunto la Conca Feltrina dalla “Bassa” e verso Nord le prime vere guglie dolomitiche, che tra l’altro sono anche la porta del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. 

La cosa che più ci ha colpito è la varietà di paesaggi. Ci siamo intrufolati, termine non casuale, dappertutto. In musei e monasteri. In stradine di campagna vecchio stile e strade di maggior collegamento. Abbiamo lambito cascate nel bosco, attraversato ampie radure e costeggiato laghi.

Le stradine a mezza costa

Le stradine a mezza costa sono state la chiave di volta dei nostri anelli quotidiani. Queste sono le vie meno trafficate e più panoramiche al tempo stesso. Si viaggia in quella “terra di mezzo” forse più dimenticata. Non si è in montagna, ma neanche in basso. Il GAL individua nei suoi progetti di sviluppo rurale questa fascia come “Mezza Montagna” non a caso. E’ come un mondo a parte.

E’ il paradiso del cicloturista, quello slow, quello che vuol godersi ogni metro. 

Una di queste stradine è la vecchia Via Claudia Augusta. Una strada romana risalente addirittura al 15 a.C.. A proposito di romani, sapevate che esiste una Feltre sotterranea in cui si può fare un vero salto nel passato? Si trova appena al di sotto delle mura e dove scorre anche l’anello della mitica Castelli 24 Ore di Feltre. Percorrere le passerelle è come fare un tuffo nel passato e ritrovarsi in un antico mercato o in una questura romana.

Ma torniamo in sella. La Via Claudia Augusta l’abbiamo incrociata in alcuni punti, ma oggi è davvero un percorso simbolo. Questa arriva fino in Germania e nel feltrino passa per Lamon, Sovramonte e continua fino al Passo Croce d’Aune (a Nord) e taglia la valle proseguendo fino al passo di Praderadego (a Sud) nelle Prealpi che separano Feltre dalla pianura.

Il Croce d’Aune

E a proposito di Croce d’Aune. Qui si è scritto un gran pezzo di storia del ciclismo. In cima infatti c’è il monumento a Tullio Campagnolo, l’inventore del cambio. Su questa salita, oltre a transitare ogni giugno la Granfondo Sportful Dolomiti Race, è passato anche il Giro 2019. E sempre in queste zone, poco più ad est del Passo c’è un museo che assolutamente merita di essere visitato. E’ il Museo della Bicicletta “Toni Bevilacqua”, a Cesiomaggiore.

Museo della bicicletta

Come dicevamo il Museo della Bici non può mancare nell’elenco delle cose da fare di un cicloturista che viene alla scoperta della Valbelluna.

Tre piani di ogni tipologia di bici: da quelle dei campionissimi in carbonio a quelle dei bersaglieri, da quelle degli anni ’70 che hanno vinto i Giri e le classiche a quelle dei mestieranti della Bassa. Ci sono persino le bici dei bambini di fine ‘800.

A prescindere dal poter ammirare oggetti unici, è come fare un viaggio nel tempo. E ulteriore testimonianza di questo viaggio sono le stampe del Corriere della Sera appese alle pareti. Anche queste sono dei veri pezzi da collezione.

Gravel o strada

Dicevamo le stradine. La bellezza di poter girare in bici, specie se si possiede una gravel bike è quella di passare dall’asfalto ad un prato verdissimo senza accorgersene. Oltrepassare un parco cittadino e ritrovarsi nel centro di un vecchio borgo con i ciottoli a terra. Come abbiamo detto in precedenza: questo è immergersi nel territorio.

Anche una bici da strada con delle gomme maggiorate va bene, ma certo la gravel è tutt’altra storia. O in alternativa delle Mtb, magari elettroassistite come le nostre per viaggiare in “poltrona”.

Cibi e tradizione

Da Nord a Sud non c’è uno spicchio d’Italia che non offra le sue bontà. E la Valbelluna non è da meno. Quel che stupisce è che al “confine” con le Dolomiti uno dei piatti forti sia la polenta con il baccalà (tipica del vicino vicentino) o con le trote.

A cena, in una delle locande che ci ha ospitato ce l’hanno proposta. All’inizio eravamo scettici, ma poi bisogna lasciarsi andare e fidarsi di chi fa della passione il proprio mestiere. Così come quando ci hanno detto che si poteva dormire in delle botti. Esperienza da provare sul Nevegal, al Pian Longhi, con una vista panoramica, avvolti dal calore del legno.

E poi i formaggi di malga, legati ad una tradizione certamente più radicata, la polenta che accompagna quasi ogni piatto, i ricchi taglieri di salumi. E poi la birra…

Quella della Birreria Pedavena è un pezzo di storia della Valbelluna e non solo. Si potrebbe dire dell’industria italiana, sempre all’avanguardia. L’azienda, nata nel 1896, ha attraversato periodi di enorme difficoltà, ma alla fine ha resistito sempre e chiunque passi di qua non può esimersi dal fare una sosta (magari anche per pranzo e cena). E’ ritenuta la birreria più grande d’Italia.

Tesori nascosti

Per un cicloturista l’elemento predominante è senza dubbio il paesaggio. L’andare in bici e inanellare scorci. Il solo fatto di pedalare e vedere costituisce di per sé un valore, una meta, per il viaggiatore. Ma poi ci sono le “gemme” che puntellano tutto e danno spessore al viaggio e alla sete di conoscenza del viaggiatore, in questo caso del cicloturista.

La Valbelluna in tal senso è un vero scrigno di tesori. Sono tutti racchiusi nel sistema “To.Te.M” (torri, teatro e museo) di Feltre. Tra questi spicca senza dubbio il Museo Diocesano con opere persino del Tintoretto. C’è il curiosissimo museo dedicato ai bicchieri. Mentre a circa 17 chilometri ad Est di Feltre sorge il Castello di Zumelle, con i suoi merletti e il suo stile medioevale… per fare un tuffo nel passato!

E poi ci sono castelli e monasteri. Il Santuario di San Vittore, per esempio, ha aperto la nostra avventura in Valbelluna. Questo Convento, oggi senza frati né monache, è una vera guardia di Feltre. Sorge sullo sperone del monte Miesna ed è un vero balcone sulla cittadina bellunese. In basso domina la “stretta” valle dove s’infila il Piave e va verso la Pianura Padana. Fondato intorno al 1.100, la sua lunga storia è strettamente legata a Venezia. La Chiesa è stata eretta con gli “scarti” della Serenissima e infatti si trovano capitelli, colonne e altri elementi architettonici di più stili.

GAL Prealpi Dolomiti

Dolomiti Prealpi