Il recente Tour de Suisse ha segnato un altro tassello in quanto a ricambio generazionale. Se Remco Evenepoel è ormai un “veterano”, Mattias Skjelmose, il vincitore, e Juan Ayuso, secondo, sono ancora dei novellini.
In particolare Ayuso è un classe 2002. Juan non lo scopriamo adesso. Lo abbiamo seguito da vicino nel Giro U23 del 2021 e lo scorso anno si è preso il podio della Vuelta. Però stavolta il corridore della UAE Emirates entra di fatto tra i giganti. E’ stato l’unico a vincere due tappe. A sfiorare il successo finale dopo una giornata di “crisi” e, soprattutto, a battere Remco a crono.
Ayuso il meticoloso
Una prestazione così non poteva certo passare inosservata. Viene da chiedersi dove potrà arrivare già quest’anno il talento spagnolo. Che nel lungo periodo andrà lontano… beh, quello si sa già!
«Sapevamo che Juan stesse bene – commenta Fabrizio Guidi, che lo ha diretto dall’ammiraglia in Svizzera – che andava forte. Oggi gli strumenti ci dicono molto, ma da qui a vincere una tappa di montagna e una crono… non era semplice. E poi non contano solo i numeri.
«Di questo ragazzo mi è piaciuta e mi piace la meticolosità. Juan è attento ai dettagli in qualsiasi cosa faccia: dagli allenamenti alla strategia in corsa fino ai materiali. E poi ama la vita da atleta. Correre gli piace».
Che sia un… animale da gara ce lo aveva detto in tempi non sospetti anche Gianluca Valoti, suo diesse alla Colpack Ballan: «Fermarlo a volte è impossibile».
Tre momenti chiave
Evidentemente nell’era dei fenomeni bisogna inserire di diritto anche Ayuso. «Fa parte – dice Guidi – di quella schiera di giovani che si presentano alla scena dei pro’ già pronti. Acquisiscono esperienza in modo più rapido. E in questo Juan è una spugna.
«Per esempio nel giorno della sua “crisi” (terza tappa, ndr), quando ha avuto freddo in discesa. Ha capito molte cose, soprattutto l’importanza della squadra, dei compagni. Quel giorno fu Hirschi a salvarlo. Poi ha recuperato bene nel finale, ma è stata comunque una lezione importante. E quando dico lezione non intendo punizione, ma apprendimento. Perché poi certe esperienze è bene viverle da pro’. Uno come lui, da dilettante, prende e vince con 10 minuti. Se ha problemi, recupera. Tra i pro’ no, non è così».
Per Guidi, il giorno della crisi è uno dei tre momenti chiave dello Svizzera di Ayuso, insieme alla vittoria di tappa e quella finale della crono.
Fabrizio insiste sul fatto che Ayuso abbia corso pochissimo quest’anno. E questo ha complicato le cose. Per certi aspetti al via dello Svizzera era sin troppo fresco. Prima della corsa elvetica, lo spagnolo aveva preso parte solo al Romandia, tra l’altro sempre in Svizzera. E anche in quel caso era riuscito a dare una zampata, proprio nella crono. Stavolta però il livello era ben più alto.
Doti di recupero
«Il fatto che Juan abbia gareggiato poco lo ha fatto arrivare al via del Tour de Suisse con poco rodaggio. Gli sono mancati quei primi 2-3 giorni. Ed è lì che abbiamo perso la corsa. Il quarto giorno, quando ha pagato dazio, è stata una conseguenza del grande dispendio energetico del giorno precedente.
«Poi le cose sono cambiate. E’ scattato il campione che è in lui. Ha preso il ritmo gara, sono emerse le sue enormi doti di recupero e ha fatto quel che ha fatto. Questo vuol dire che hai un motore grosso così, altrimenti ti affossi».
Sull’Albula, Juan ha fatto un numero da capogiro. Ha staccato tutti, Remco e company inclusi. Una vittoria di forza e tenacia. Una vittoria da campione nel Dna. Come a dire: “Ieri le ho prese? Bene, oggi vi faccio vedere io”. Non tutti sono in grado di ragionare così.
«E anche la crono finale – prosegue Guidi – quegli otto secondi di vantaggio su Evenepoel sembrano pochi. In realtà c’è dentro un mondo. Non c’è solo un mare di watt, c’è anche la capacità di saper soffrire». E una grande attenzione verso questa disciplina che da quest’anno regna in UAE Emirates.
Favola Tour?
Ayuso sta benone dunque. I malanni sembrano del tutto alle spalle. E adesso dove potrà arrivare? Dovrebbe fare la Vuelta, ma in teoria c’è il Tour che chiama. Parte dalla Spagna e sembra fatto apposta per una nuova favola, una favola stile Pogacar. Juan potrebbe starci bene nella formazione per la Grande Boucle.
«Ci starebbe bene: e come fai a dire di no? Fisicamente Juan sarebbe pronto, è chiaro. Ma poi ci sono altre dinamiche di squadra, altri programmi. Ed è giovane».
E’ giovane: anche il suo compagno Pogacar era giovane quando fu buttato nella mischia del Tour (che vinse) dopo il podio della Vuelta l’autunno precedente. Semmai Pogacar all’epoca non aveva in squadra… Pogacar, un campione di tale peso che giustamente catalizza ogni attenzione.
Ma questo è un altro discorso. Quel che conta è che Ayuso sta mostrando chi è tra i professionisti, con la stessa grinta con cui attaccava strade ed avversari tra gli under 23. E quella vittoria a crono su Evenepoel non è cosa da poco.
«Anche in questo caso – conclude Guidi – un particolare che mi è piaciuto di Ayuso è che non è stato tanto lì a dire: “Ho vinto la crono su Evenepoel”, il quale comunque veniva dalle sue vicissitudini del Giro d’Italia, quanto piuttosto si è chiesto: “Dove ho perso il Giro di Svizzera? Dove posso fare meglio?“. Poi è chiaro, magari dentro di sé era contento, ma fin lì non ci leggo!».