Il mattino di Diego Rosa è quello di tanti padri di famiglia, che si svegliano presto, danno una mano alla moglie nel preparare i due bimbi, in questo caso Noah di 3 anni ed Elia di 4 mesi, poi si cambiano e vanno al lavoro. La sola differenza è che il lavoro del piemontese di stanza a Monaco si svolge sulle strade assolate del Principato, dove a parte la prima settimana di gennaio, non sono mai scesi sotto i 18 gradi. Oggi però è una vigilia importante, perché domani finalmente si comincia con il Gp La Marseillaise, calcio di inizio di una stagione che fa già lo slalom tra un annullamento e l’altro.
«Qua – sorride amaramente – siamo tutte le sere davanti al notiziario col terrore che Macron parli e annunci un altro lockdown. E a quel punto non sappiamo che cosa succederà. Ha detto che lo sport professionistico non avrà arresti, ma il ciclismo è sempre particolare da controllare. Noi corridori abbiamo lavorato come al solito, potendo uscire. Io di solito vado da solo, anche perché sono tutti in ritiro o con i loro compagni. Ma mi rendo conto che per le squadre ogni volta è un rimescolare piani…».
Quest’anno nel mirino e anche nel cuore dovrebbe esserci il Giro?
Stiamo aspettando le wild card con una certa apprensione. Attesa su attesa. L’Arkea-Samsic ha dimostrato di avere l’organico per fare due grandi Giri, per cui l’idea sarebbe di fare il Giro con Quintana e un gruppo di scalatori. Poi andare al Tour ugualmente con Nairo, ma a quel punto quattro uomini per Bouhanni che vuole togliersi le sue soddisfazioni. Tanto al Tour non siamo noi a dover controllare la corsa e il percorso è meno duro del 2020.
A questo punto, sta tutto a capire quando arriveranno gli inviti…
Siamo una squadra piccola, se ci chiamano dobbiamo dire grazie. So che è stata chiesta la possibilità di avere una wild card in più, per cui credo che, avuta questa risposta, le renderanno note. In assenza della squadra aggiuntiva, per i team italiani la vedo complicata. L’ho provato sulla mia pelle con l’Androni, quando fare il Giro era una vera garanzia di sopravvivenza.
Avete fatto qualche ritiro nel frattempo?
Due. Uno a dicembre qui in zona Cannes, in un hotel solo per noi. Eravamo tutti, abbiamo preso il materiale, fatto le foto e sbrigato la parte burocratica. Poi uno in Spagna a gennaio, zona Altea, in cui però non c’erano i sudamericani. Si trattava solo di allenarsi, gli hanno risparmiato il viaggio.
Hai pensato di tornare in Colombia come nel 2020, oppure hai desistito per il Covid?
L’idea era di andare, in effetti. Abbiamo rinunciato per il rischio che chiudessero qualche confine e rimanessimo bloccati o per la necessità di fare la quarantena al rientro. Viaggiare col bimbo così piccolo non sarebbe stato un problema. Ma intanto, dovendo fare un ritiro in altura fra Sanremo e Ardenne, si stava pensando di andarci a fine marzo. Si sta bene, si lavora alla grande.
A proposito di sudamericani, come stanno Nairo e le sue ginocchia operate?
L’ho sentito pochi giorni fa, mi ha detto che le cicatrici sono ormai fatte e ha ricominciato a lavorare sul serio. Quando arriverà qua, sarà un po’ più indietro, ma c’è tutto il tempo. Con lui parliamo raramente di lavoro. Un po’ perché quando stacchiamo, lo facciamo davvero. E nelle occasioni in cui parliamo, ci scambiamo racconti di vita familiare, sui figli. Poco ciclismo…
Questo significa essere sereni: come va con l’inchiesta francese?
Cosa dire? Hanno aperto un’indagine e pare non abbiano trovato nulla. Sarebbe bello ci fosse un comunicato in cui, al pari di quando il caso è venuto fuori, si annunciasse che è chiuso. E’ giusto che controllino, ma in squadra respiro serenità, in un ambiente più piccolo in cui mi sono davvero ritrovato.
Il tuo programma?
Dopo il debutto di domani, di corsa in Italia. Laigueglia. Strade Bianche. Tirreno. Sanremo. Altura. Ardenne e Giro.
Se vi invitano ci sarai anche tu, dunque?
Senza neanche mezzo dubbio. Manco da due anni, non vedo l’ora di tornarci.