Parigi-Nizza, uno di quei giorni che ti restano dentro. Esiti di una corsa che possono anche influire sul prosieguo della tua carriera. Roglic, quel maledetto responso della cronometro finale dell’ultimo Tour de France se lo porta ancora dentro, un ricordo indelebile, forse un patrimonio che pesa su tutte le sue scelte. A lui, la vittoria nella tappa della Parigi-Nizza a La Colmiane cambiava poco, a Gino Mader, in fuga sin dalle prime fasi, tantissimo. Tutto è cambiato a 30 metri, soli 30 metri dal traguardo (foto in apertura).
Una tappa così non la si può semplicemente raccontare con gli occhi, bisogna entrare nei pensieri dei protagonisti.
I fantasmi di Roglic
«Sono Primoz Roglic, 31 anni, leader della Jumbo-Visma. Da quel giorno a La Planche des Belles Filles quella sensazione non mi ha mai lasciato, per questo penso che ogni gara, ogni traguardo vada inseguito. E dobbiamo tutti lavorare per quello. Ho vinto ieri ma che sarà domani? Non posso saperlo».
«Sono Gino Mader, 24 anni, svizzero appena arrivato alla Bahrain Victorious. Già, vittoriosa e io di vittorie non he ho. Ma stamattina ho visto partire la fuga di giornata e mi sono messo dentro, chissà mai che…».
Il sogno di Mader
Mader: «La tappa sta finendo e io, Gino Mader, sono in testa, da solo. Ho staccato anche Powless. Una quarantina di secondi, basteranno? Mancano 4 chilometri, vado su, ci metto sui pedali tutto quello che ho».
Roglic: «Vogliono farmi la guerra? La maglia gialla ce l’ho io addosso, è normale che sia così, ma tra tutti questi scatti e rallentamenti non ci capisco più nulla. Si avvicina Kruiswijk. Sì Steven, dai un bello strappo, vediamo chi tiene. Grande ragazzo, Steven, era il capitano rima che arrivassi io nel team. Avrà le sue occasioni, ricambierò…».
Mader: «Eccolo, lo striscione dell’ultimo chilometro, non si vede nessuno dietro. Ce l’ho quasi fatta, ci sono, ci sono…».
Roglic: «Questo non lo accetto, Maximilian Schachmann che mi scatta in faccia. Va bene che è il campione uscente, ma il più forte sono io e devo dimostrarlo. Sempre».
Mader: «Il traguardo, eccolo, un ultimo sforzo, ma dietro “lui” sta arrivando. Lo sento che sta arrivando, 50, 30 metri: passa allora, ma questo successo era mio, doveva essere mio».
Roglic: «Sono tre vittorie, di seguito. Un cannibale? Forse, ma quando l’ho visto davanti mi sono detto perché no? Ero lì e sapevo di poter vincere. Domani c’è ancora una tappa difficile, la Parigi-Nizza non è ancora conquistata finché non oltrepassi l’ultimo metro. Lo so bene io, troppo bene».
Storie già viste
La storia del ciclismo ha vissuto centinaia di episodi simili e altri ne vivrà, ma sono proprio questi, o ancor meglio i sentimenti e i pensieri che si annidano in queste vicende che hanno reso lo sport delle due ruote il più epico che ci sia. Uno sport di vincenti e di perdenti e non sempre chi taglia il traguardo per primo vince in toto.
Oggi un quasi sconosciuto svizzero, col suo sguardo perso in quegli ultimi venti metri, è entrato nella memoria di molti, ci si può scommettere.