Più che una corsa, è stata un’avventura, già solo per la distanza e il jet lag, fastidioso anche a distanza di giorni. Giulio Pellizzari è tornato dal Tour de Taiwan con un bagaglio ricco di esperienze che passano sì per le tappe, ma che hanno riempito i suoi occhi e la sua testa di tantissime immagini legate a un posto lontanissimo anche dalle nostre abitudini.
I suoi pensieri non possono partire che dalla corsa: cinque tappe che hanno lasciato il segno: «Tappe abbastanza corte e senza grandi salite, diciamo che è stato un crescendo. Il tempo era caldo, sempre fra i 25 e i 30 gradi. La frazione più difficile è stata sicuramente la terza, dove abbiamo pedalato per lunghi tratti sotto l’acqua».
Come ti sei trovato?
Bene, ma tecnicamente non era una corsa adatta alle mie caratteristiche, per questo il 12° posto finale è stato un buon risultato. La prima tappa era la più breve e tutta piatta, sono andati in due in fuga, abbiamo chiuso noi della Green Project-Bardiani per preparare la volata di Zanoncello, ma quel giorno non stava bene e ha chiuso 4°. La seconda tappa abbiamo provato ad attaccare nella parte finale, ma quando il JCL Team Ukyo ha fatto il forcing ci siamo un po’ persi.
Vai avanti…
Nella terza c’era una salita, ma quelle di Taiwan non sono ascese difficili, le pendenze sono sempre dolci. Davanti si è formato un gruppo folto con uno nostro dentro, ma da dietro il gruppo è rientrato, abbiamo preparato la volata di Enrico finito 2° dietro il belga De Decker della Lotto-Dstny. Nella quarta tappa, che era la più dura, siamo andati regolari. Davanti la fuga aveva accumulato tanto vantaggio, li abbiamo ripresi solo nel finale e io sono finito 11°. Poi nella frazione conclusiva siamo partiti con una classifica corta, eravamo 21 in 14”. C’è stata battaglia costante, soprattutto perché la corsa si giocava sui traguardi volanti ad abbuoni e io ho trovato la fuga per guadagnare secondi. L’arrivo poi è stato con una volata generale e questa volta Zanoncello ce l’ha fatta.
Che livello era?
Sicuramente molto buono, c’erano 4 formazioni professional, 3 nazionali e molti team che incontriamo in giro per l’Europa. Per questo anche il 7° posto a squadre ha avuto un certo peso.
Fin qui la corsa, ma Taiwan siete riusciti a girarla anche a parte i chilometri in bici?
Sì, un po’ di tempo l’abbiamo avuto. La cosa che mi ha lasciato interdetto è la grande quantità di macchine e motorini che girano per le strade. Mi sarei aspettato, dal Paese maggior produttore di bici, una situazione diversa, invece c’è un traffico impossibile soprattutto a Taipei. Ci sono molte piste ciclabili, quello sì, per andare in bici devi passare obbligatoriamente da lì. Inoltre ho notato che sono tutti molto ligi alle disposizioni sanitarie: lì si gira ancora con le mascherine.
Come siete stati accolti?
C’era una passione e un’attenzione incredibile, sembrava che eravamo delle star. Ci hanno portato in alberghi di lusso, c’era generalmente molta attenzione da parte degli organizzatori. Anche dal punto di vista delle strade abbiamo trovato una situazione ideale, molto larghe, senza buche, perfettamente asfaltate. Per loro erano 5 giorni magici, come una festa e noi eravamo gli invitati speciali.
La corsa che sensazioni ti ha dato, parlando dal punto di vista personale?
Non era un percorso adatto a me ma questo lo sapevo, era utile per fare esperienza e lavorare per gli altri. Sono però tornato a casa con grandi emozioni: avevamo lavorato tutta la settimana per portare a casa qualcosa ma per un verso o per l’altro non si riusciva mai a concretizzare, l’ultimo giorno con la vittoria di Zanoncello abbiamo davvero fatto festa, l’abbiamo tutti sentita come nostra. Non nascondo che ci siamo anche un po’ commossi…
Riprenderti dal jet lag non è stato facile…
No, infatti ci ho messo un po’ a riprendermi e a ritrovare le sensazioni che avevo a fine corsa. Devo dire che, come sempre avviene per una corsa a tappe, ho chiuso con una gran condizione che spero di portarmi dietro per le prossime gare, sia all’estero che nelle classiche italiane. La forma adesso è quella giusta e bisogna farla fruttare.