La questione Giulio Pellizzari continua a tenere banco. In settimana, giustamente, se n’è parlato spesso tra compagni, tecnici ed ex corridori nei commenti post Vuelta. Oggi continuiamo a farlo con il supporto del direttore sportivo italiano più vincente dell’era moderna, l’ex Astana Giuseppe Martinelli.
Con “Martino” abbiamo affrontato in particolare il tema del primo doppio Grande Giro in stagione da parte di Pellizzari. Un doppio appuntamento che lo ha visto promosso a pieni voti: due sesti posti, entrambi arrivati senza essere leader designato al via. Al Giro d’Italia lo è diventato dopo l’abbandono di Primoz Roglic e prima aveva già speso parecchie energie per lo sloveno. Alla Vuelta, invece, è stato co-leader, ma anche in questo caso aiutando non poco Jai Hindley.


“Martino”, dicevamo di Giulio Pellizzari: due Grandi Giri nella stessa stagione, due sesti posti e una vittoria di tappa. Che impressione ti ha fatto?
Molto buona, bella nel suo insieme sia per le prestazioni che per il contesto. Un’impressione positiva dettata anche dal fatto che ho un buon rapporto con lui. E’ un rapporto di stima reciproca, niente di più, ma l’ho sempre seguito perché mi era piaciuto già al Giro dell’anno scorso. Una volta, incontrandolo, gli ho detto: «Se fai ancora un anno con Reverberi, fai un bel Giro d’Italia e poi spicchi il volo». Invece è andato via.
E il volo lo ha fatto lo stesso…
Esatto, e devo dire che sono stati bravi. E’ andato in una squadra importante come la Red Bull-Bora-Hansgrohe che gli ha fatto correre il Giro. E questa è stata la svolta per lui. Fare il Giro non era scontato. Con la corsa rosa Giulio si è reso conto di essere un buon corridore per davvero. E alla Vuelta, oltre al sesto posto, ha conquistato una vittoria di tappa. E quando vinci significa che batti tutti, non importa chi ci sia al via: li batti tutti. Punto. Non solo…
Cos’altro ti ha colpito di quella vittoria?
Non è stata la vittoria di una fuga da lontano, ma quella di un arrivo ristretto con i migliori della generale che si giocavano tappa e classifica. Se guardiamo l’ordine d’arrivo di quel giorno, ci sono nomi come Jonas Vingegaard o Joao Almeida. Quel sesto posto nella generale gli va forse stretto, ma la vittoria contava più di tutto. Credo che se non avesse vinto, avrebbe lottato molto di più per la maglia bianca.
Cosa ti porta a dire questo?
Perché quando vinci, spesso sei sereno con te stesso. Non parlo di appagamento, ma quella sensazione inconscia di “il mio l’ho fatto” ti resta. La testa, tante volte, fa la differenza.


Quindi se non avesse vinto la tappa, avrebbe portato a casa la maglia bianca?
Secondo me sì. L’ho detto anche a casa durante la corsa: era una questione di testa.
E in chiave futura, che lezione può trarne?
Gli ho scritto: “Ricordati che dalle sconfitte nascono le grandi vittorie. Questa non è una sconfitta, ma qualcosa che dovrai analizzare”. Lui ha apprezzato molto.
Prima hai sottolineato che la cosa buona è stata farlo debuttare al Giro. Non era scontato al primo anno in Red Bull-Bora: perché secondo te hanno deciso così?
Perché hanno visto che andava forte. Quella è una squadra che non lascia nulla al caso. L’arrivo di Red Bull ha dato un valore aggiunto, alzando il livello di tutto il movimento. Al Catalunya Pellizzari era già andato bene. E poi, secondo me, anche Roglic avrà espresso un suo parere. E quello che dice il campione della squadra conta. I tecnici avranno avuto i loro dati certo, ma il corridore lo vede su strada, in corsa. Primoz gli avrà detto: «Guardate che questo va forte, meglio magari tenerlo un po’ tranquillo e fargli fare il Giro d’Italia». E infatti gli hanno cambiato un po’ i programmi.
Quanto ha inciso la presenza di Enrico Gasparotto, tecnico italiano, che aveva un ruolo importante in squadra nel far sì che Pellizzari facesse il Giro?
Tanto, anche ai fini del parlare la stessa lingua. Ti confronti di più e in modo diverso, anche prima della partenza o subito dopo l’arrivo. Gasparotto, per Pellizzari, è stato un riferimento importante. Io non ho mai parlato bene l’inglese e quando provi a comunicare con un corridore usando parole che non rispecchiano completamente ciò che vuoi dire, è tutta un’altra cosa. Nella tua lingua, invece, basta dirgli: “Oggi ti aspetto all’arrivo”, mentre lo guardi negli occhi e gli dai una pacca sulla spalla. Vai a farlo in inglese… E’ diverso.


Come dovrà essere gestito adesso, con Roglic, Lipowitz, Hindley e l’arrivo di Evenepoel? Pellizzari sarà destinato ad un gregariato di lusso?
Adesso si divideranno un po’ i ruoli. Io penso che Roglic sia arrivato al capolinea e non avrà più i gradi di capitano. Giulio potrebbe davvero prendere il suo posto. Remco secondo me, farà altre cose a partire dal Tour dove non andrà solo per vincere le crono, quindi non andrà a togliere spazio a Pellizzari. Lo spazio per Giulio ci sarà, anche perché resta il più giovane di quel gruppo e immagino avranno anche interesse sotto questo punto di vista.
Però, Giuseppe, questo è un grande attestato di stima nei suoi confronti…
A me Pellizzari piace tantissimo. Ci siamo visti poche volte, però c’è stima reciproca. Se gli mando un messaggio risponde subito. Ed è bravo nella sua normalità di campione come lo è in questo momento, o meglio da come lo sta diventando. Ora per lui diventa tutto più complicato.
Tecnicamente hai notato differenze in Pellizzari tra Giro e Vuelta?
Ho visto che sa rimontare facilmente e non resta sempre a ruota. Sa anche prendersi il vento. Corre davanti senza spendere troppo. Non è come Roglic o Remco, che soffrono nel tenere la posizione. E questo è un bel vantaggio fisico e mentale.
Facendo un’analisi tecnica di Pellizzari sulle pendenze più dure, Pozzovivo ci diceva che Giulio dovrebbe stare di più sui pedali, fermo restando non è un scalatore di un metro e 60 per 50 chili. Sei d’accordo?
E’ la tendenza moderna quella di stare più seduti e girare agile. Ogni tanto alzarsi sui pedali fa recuperare meglio. Lo vedo anche tra gli juniores: vanno su a 80-90 pedalate al minuto e non mollano mai il rapporto agile. A volte gli dico: «Buttate giù un dente e alzatevi. Magari rilanciate meglio, usate altri muscoli per un attimo…», ma è così. Alla fine è il ciclismo moderno: altri metodi, altri rapporti. Tecnicamente andando così agili alzarsi diventa un cambio di posizione non facile da eseguire. Pozzovivo ha occhio, guarda i dettagli come pochi altri, pertanto come potrei non essere d’accordo con lui?
Nei Grandi Giri precedenti Pellizzari si era sempre trovato bene nella terza settimana. Stavolta invece ha ammesso di aver sofferto. Perché?
Primo, perché era il suo secondo Grande Giro in stagione. Poi perché la Vuelta è stata lunga e stressante, anche con le proteste che hanno inciso. Non sapere ogni giorno se si correva o come, i trasferimenti… ormai un Grande Giro dura quasi quattro settimane tra fasi preliminari, partenze all’estero… I ragazzi vivono sotto pressione continua, in una sorta di bolla, dalla mattina quando si svegliano alla sera quando vanno a letto. Tutto questo alla fine presenta un conto.