Mentre al Giro d’Italia Jonathan Milan collezionava vittorie, suo fratello Matteo si è messo in bella mostra alla Fleche du Sud, conquistando due podi parziali in un contesto rilevante. Per il 21enne corridore del devo team della Lidl-Trek sono stati i migliori risultati di una stagione vissuta quasi interamente all’estero, in gare dove si è sensibilmente alzato il livello come d’altronde era da aspettarsi dopo il cambio di squadra.
Il più giovane dei Milan si era già messo in evidenza con buoni risultati, ma soprattutto il suo nome inizia a circolare sempre più frequentemente nell’ambiente perché non si tratta del classico “fratello d’arte”. Nelle chiacchiere fra addetti ai lavori circolano notizie strabilianti sui suoi valori di allenamento, per alcuni versi superiori a quelli dello stesso olimpionico di famiglia il che fa ben sperare per il suo futuro.
Matteo intanto si gode i suoi primi bagliori di notorietà, contento ma certamente non appagato di quel che è riuscito finora a fare: «Per essere appena arrivato nel team posso dire che è stata finora una stagione abbastanza fortunata. Sono al primo anno qui e da questa esperienza ho per ora tirato fuori tutto il meglio. Non dimentichiamo che anche il gruppo è giovanissimo, ci siamo ritrovati tutti insieme interagendo spesso con la squadra maggiore, com’è capitato a me in un paio di classiche belghe. Io mi sono messo a disposizione degli altri, nel team c’è un grande rapporto di fiducia reciproca».
Rispetto allo scorso anno quand’eri al Cycling Team Friuli hai cambiato preparazione?
Sì, ora sono seguito da Matteo Orsolini che non ha stravolto quello che facevo precedentemente. Appena arrivato al team sono stato sottoposto a specifici test che hanno evidenziato valori molto alti, in base a quelli è stata sviluppata una tabella per farmi crescere il più possibile, ma in maniera graduale. Effettuo allenamenti mirati per progredire verso i miei limiti.
Con tuo fratello che cosa avete in comune e di diverso?
In comune abbiamo sicuramente la genetica… Anche se fisicamente siamo diversi, lui è più alto di me di 10 centimetri e anche nel peso ci saranno almeno 7 chili di differenza. Rispetto a lui, anche per questioni fisiche, ho più resistenza in salita, lui invece è più velocista puro e si vede dai valori che esprime allo sprint, per me irraggiungibili. Ma questo è un aspetto importante, perché io non voglio essere come lui, ho caratteristiche diverse e voglio seguire una mia strada.
Chi ha iniziato prima?
Lui, è più grande di età. La storia è ormai nota, l’esempio di papà ci ha contagiato, ma da parte sua non c’è mai stato un accenno di pressione, né in un senso né nell’altro. Io ho seguito mio fratello perché piaceva anche a me andare in bici, tutto qua.
Com’è stata la corsa lussemburghese?
Era una classica corsa a tappe del Nord, io venivo dal Tour de Bretagne dove avevo lavorato per i compagni tirando fuori comunque un 9° posto parziale che mi aveva detto che la forma stava arrivando. Ma soprattutto trovando un feeling con i compagni. Nella prima frazione io ho lavorato per Tim Torn Teutenberg tirandogli la volata, abbiamo visto che facevamo la differenza e alla fine lui ha vinto e io ho fatto terzo. E’ stato davvero bello, per me è stato come se avessi vinto io.
Inizi quindi a fare esperienza anche di treni per la volata…
Sì, la tappa finale ne è stata la più chiara dimostrazione. Abbiamo lavorato benissimo, sviluppando una tale velocità che ha impedito a tutti di risalire al punto che abbiamo monopolizzato il podio, con Soderqvist primo, Teutenberg secondo e io terzo. Credo che abbiamo espresso un livello molto alto, anche dal punto di vista tecnico.
Come funziona?
Di base il nostro velocista di punta è Tim, io sono l’ultimo uomo, ma capita anche che i ruoli vengano rimescolati e invertiti e mi trovi io a finalizzare proprio perché nel team vogliono che siamo intercambiabili. Diciamo che stiamo creando una struttura per copiare i pro’.
Con Jonathan ti sentivi in quei giorni di attività parallela?
Molto, mi ha sempre dato buoni consigli ed è stato molto bello condividere le nostre emozioni. Mio fratello mi è prezioso nello spiegare come affrontare la volata, come restare tranquillo, come muovermi. Io sentivo lui abbastanza rilassato anche se dopo Fossano sentiva un po’ di tensione per la vittoria sfuggita, poi dopo aver centrato il successo ad Andora era più tranquillo, il resto è venuto di conseguenza.
Jonathan ha la sua attività parallela su pista. E tu?
Io no, con la pista non ho nulla a che fare, a me piace molto il gravel. Lo scorso anno ho fatto qualche corsa e vorrei riprovarci. Magari a fine anno vorrei fare le classiche del settore, se il calendario non avrà sovrapposizioni. Mi piace molto perché è un modo diverso di gareggiare, mi libera la testa potendola affrontare con meno pressione mentale.
Ora che cosa desideri?
Non ho un obiettivo particolare in testa, una gara specifica. A me interessa continuare a imparare, a progredire, insomma a crescere.
Ma i risultati di Jonathan ti hanno mai messo pressione?
Mai, in alcun modo. Per me averlo vicino è una fortuna, è un pozzo d’esperienza al quale attingere, perché so la fatica che ha fatto per arrivare a quei livelli. Il più contento dei suoi risultati sono io, ma siamo due corridori e due persone diverse.