BENIDORM (Spagna) – Da quello che faceva lui, capivi che cosa avrebbe fatto Pogacar. Al Giro d’Italia è stato così quasi ogni giorno, quantomeno nelle tappe di salita. Quando il polacco si alzava sui pedali e calava il rapporto, la velocità cresceva di colpo. Significava che di lì a poco Tadej avrebbe attaccato e per allora gli altri sarebbero stati già al gancio. Rafal Majka è l’ultimo dei gregari all’antica. Uno che prima di lavorare per gli altri ha fatto il capitano.
A 35 anni detiene con Laengen il primato di corridore più anziano del UAE Team Emirates, dopo che nelle ultime due stagioni se ne sono andati i coetanei Trentin e Ulissi, per cui vederlo in mezzo a tanti ragazzini sembra persino strano. Se non fosse che gli stessi ragazzini lo guardano con rispetto e anche un filo di soggezione. Quello è Majka: ha vinto per due volte la maglia a pois del Tour e anche tre tappe.
Che effetto fa essere nella squadra numero uno al mondo?
E’ diventata forte, fortissima. Ci sono arrivato nel 2021, sono passati 4 anni e quasi non la riconosci. Non credevo che sarebbe stato possibile un progresso del genere, perché avviene in ogni comparto. I tecnici, gli allenatori, i nutrizionisti. E’ tutto ai massimi livelli e mi sento di dire che starci dentro è più facile di prima. Ho corso con Tinkoff e poi alla Bora, la UAE Emirates è la mia terza squadra. E quando faccio il confronto, per me è meglio perché è stabile. Si va senza problema ai ritiri, si prendono i voli e tutta una serie di dettagli. Come il fatto che abbiamo il cuoco sempre con noi. Anche nei ritiri prima di Giro, Tour e Vuelta. Ogni cosa che facciamo viene controllata, mi pare che ci sia una bella differenza rispetto ad altre squadre. Ho la sensazione che qui siamo proprio più avanti.
Hai corso per sei anni nelle squadre di Bjarne Riis, che sembrava il più organizzato di tutti. Se le riguardi adesso quanto sembrano più piccole?
Mi ricordo quando sono passato con Bjarne, la sua scuola prevedeva già una grande attenzione al cibo e il cuoco nelle corse più importanti. Ma le cose sono cambiate. Il carico sui corridori è aumentato e serve più concentrazione rispetto ad allora. Anche prima facevi sacrifici, però adesso ancora di più. Se vuoi vincere le corse, per stare avanti bisogna fare la vita oltre quello che prima si poteva immaginare.
Al Giro guardavamo te per capire cosa avrebbe fatto Tadej…
Lo sapete che prima del Giro avevo problemi con il tendine di Achille? Pensavo fosse il momento peggiore, però sono stato un mese a Sierra Nevada e il nostro fisio ha fatto il miracolo. Dopo due giorni di trattamento ho ripreso ad andare in bici e mi sono sentito subito molto meglio. Poi lo sapete, quando c’è un capitano come Pogacar e ti ritrovi davanti con venti corridori, sai che se acceleri, lui va via. Questo è un fenomeno, ragazzi.
A un certo punto chiedemmo a Matxin perché non portare anche te al Tour. Ce l’avresti fatta?
Dopo il Giro ci siamo ritrovati tutti a cena e abbiamo parlato. Stavo preparando anche io il Tour, in quanto prima riserva. Sono già stato per due volte in Francia con Tadej e uno l’ha pure vinto, quello del 2021. Però l’ultima parola spettava alla squadra e avevamo corridori molto bravi sia per la pianura e altri per la salita. Non sempre funziona tutto alla perfezione, anche a me sarebbe piaciuto andare, ma l’importante è che Tadej abbia vinto ugualmente. Ha vinto il Giro, il Tour e poi anche i mondiali.
Dicono che la figura del gregario non esiste più, allora tu cosa sei?
Prima ero capitano, adesso mi godo l’andare in bici. Ho un capitano di altissimo livello, uno così non l’avevo mai visto in vita mia. E’ anche un ragazzo umile, perché sono stato tanti giorni in gara con lui, anche in camera. E’ impressionante quanto sia umile e stabile, è sempre uguale. Quando però parte in bici, quello che vedo io è un terminator. Vuole ammazzare tutto. E’ lui che mi dice quando partire e io non aspetto altro.
Quest’anno è parso anche più potente di altre volte in passato.
Ha fatto la scelta di cambiare allenatore e la differenza si vede. Quando dopo un paio di anni che lavori allo stesso modo ti arriva l’impulso di cambiare, la squadra ti asseconda. Dal 2025 cambio anche io, ero sempre con lo stesso da quattro anni. Mi serve fare dei lavori diversi e questa squadra può darmi il supporto che mi serve, fra allenamento, bici e alimentazione. Tutti pensano che sia facile, però bisogna saper scegliere i corridori per lavorare e quelli per vincere. E’ il lavoro di Matxin, che lo fa bene.
Che cosa ti ha cambiato il nuovo preparatore?
Faccio un po’ lavori strani che non facevo prima. L’importante, come gli ho detto, è che voglio partire più tranquillo e arrivare bene, perché voglio fare il Giro d’Italia. Perché mi piace e penso che fare il Giro con Ayuso sarà diverso dal farlo con Pogacar. Juan è cresciuto tanto, soprattutto dopo questa stagione. L’ho visto quando ho corso con lui la Tirreno. E’ un ragazzo che vuole vincere e lo sai com’è un giovane che vuole vincere, scalpita. Io invece sono uno corridore che fa quello che gli viene detto dai direttori sul bus. Sono due leader diversi, però c’è una squadra che ti paga e bisogna fare al 100 per cento quello che ti dicono. Io penso che Ayuso possa arrivare fra i primi tre. Lo sapete come è il ciclismo, mai dire mai perché può succedere tutto, però può fare bene.
Ti sei mai pentito di aver fatto questa scelta, di non fare più il capitano?
Dopo Bora e dopo otto anni facendo il leader, mentalmente era diventato pesante. Non dico che non stessi bene, perché non sarebbe vero, però era un continuo carico di stress. Mi si attaccava addosso e interferiva nei rapporti con la famiglia, non riuscivo a essere in perfetto equilibrio. Invece questi quattro anni sono passati che quasi non me ne sono accorto. E’ incredibile. Matxin e Gianetti mi danno fiducia e anche quest’anno quando al Giro ho rinnovato il contratto con Mauro, non c’è stato nulla da ridire. Abbiamo trovato subito l’accordo, anche con Matxin per il mio ruolo. Lavoro al 100 per cento per la squadra, ma l’anno prossimo voglio vincere una corsa.
Quale corsa?
Spero di trovare spazio per vincere una tappa. Ne ho vinte tre al Tour e due alla Vuelta, mi manca una tappa al Giro. Sicuramente andrò a lavorare al 100 per cento per i ragazzi, però se avrò l’opportunità ci proverò. Prima pensiamo a lavorare e poi quando avremo un bel vantaggio e dopo che avremo fatto tutto quello che chiede la squadra, proveremo a portarne a casa una.