Tra pochi giorni la sua carriera arriverà al traguardo. L’ennesimo. L’ultimo. Philippe Gilbert è pronto all’ultima recita e la farà a Valkenburg, davanti ai rivali di una carriera lunghissima, durata un ventennio e contraddistinta da tantissime vittorie. Non tutte quelle che avrebbe voluto: quel traguardo che tanto agognava resterà proibito, la conquista di tutte le Classiche Monumento, ma quando porti a casa 81 successi lo puoi anche accettare e il vallone lo ha fatto. Chiude in pace con se stesso.
Tra questi 81 successi c’è di tutto. Ha vinto tappe in tutti e tre i grandi giri, ha conquistato classiche a iosa, ha anche vestito la maglia iridata ma soprattutto è stato un esempio. E allora riviviamo la sua carriera attraverso alcune magie, quelle per le quali ha reso unica la sua carriera.


Lombardia 2009, logica conseguenza
Il corridore della Silence Lotto viene da un periodo folgorante: nelle ultime tre corse ha vinto sempre lui, Coppa Sabatini, Paris-Tours, Gran Piemonte e sono tutte gare una diversa dall’altra. Quando mai uno che vince la classica francese dei velocisti poi va al Lombardia e vince? Invece il belga fa proprio così, nel finale evade con l’olimpionico di Pechino 2008 Samuel Sanchez e lo batte allo sprint con gli altri ad appena 4”. «Con questa condizione posso vincere dappertutto – risponde a chi sottolinea l’anomalia di cui sopra – in salita, in volata, dove volete…».


Liegi 2011, più forte degli Schleck
A un certo punto qualche dubbio gli è passato nella testa. In fuga non solo con due che sono compagni di squadra, ma che sono anche fratelli… Gli Schleck non hanno bisogno di parlarsi, basta uno sguardo, un cenno. Gilbert si sente schiacciato, ma com’era successo due anni prima ha una gamba folgorante. In settimana si è portato a casa Amstel Gold Race e Freccia Vallone, ha la possibilità di imitare il magico trittico di Rebellin e non se la fa sfuggire.
Parte ai 250 metri, volata lunga alla quale né Andy né Frank riescono a rispondere. «Ero solo contro due, che dovevo fare? Ho capito che potevo vincere quando mi sono accorto che Andy si stava sacrificando per il fratello, mi ha reso la cosa più facile». I giornalisti gli chiedono della Roubaix, che ha solo “assaggiato” nel 2007: «E’ pericolosa, c’è una lunga lista di corridori che sono caduti con conseguenze molto pesanti. Io non ho voluto rischiare il resto della mia stagione, vedremo col tempo».


Mondiali 2012, la stoccata del Cauberg
Si corre in casa dei rivali olandesi e questo dà sempre ai belgi quel qualcosa in più. Oltretutto si gareggia a Valkenburg, sulle strade dell’Amstel Gold Race che Gilbert gradisce molto avendola vinta già due volte. Alla Vuelta ha affinato la condizione con due successi di tappa, in Olanda aspetta finché Nibali non accende la miccia sul Cauberg e parte. A molti il suo scatto ricorda la “fucilata di Goodwood” di Saronni di trent’anni prima.
In sala stampa gli chiedono incessantemente della sua collezione di classiche d’un giorno, della ricerca del completamento di quel Grande Slam centrato solo da Van Looy, Merckx e De Vlaeminck, guarda caso tutti e tre belgi ma fiamminghi. Quell’ossessione sembra quasi più degli altri che sua…


Fiandre 2017: non ci si nasconde più…
Dopo aver conquistato tutte le classiche delle Ardenne, il pensiero di diventare re anche nel Nord inizia a solleticare la fantasia di Gilbert. Ma sono gare diverse e lo sa bene. Nel 2017 prova il tutto per tutto, ma cambia completamente il suo modo di correre: sul Kwaremont, a 55 chilometri dalla conclusione, si mette in testa al gruppo e lo disintegra, uscendone con 25” di vantaggio. Dietro ci sono due gruppi, quello di coloro che hanno provato a seguirlo e quello dei big. Si ricompongono, senza però mettersi d’accordo nell’inseguimento e Gilbert se ne va, arrivando a un minuto e mezzo. Ci prova Sagan, la sua maglia iridata attira Van Avermaet, Terpstra e Van Baarle ma ripassando sul Kwaremont va troppo vicino al pubblico, il suo manubrio s’incastra sul giaccone di uno spettatore e finisce a terra. L’ammiraglia è lontana, la gara è andata. Gilbert ringrazia e approfitta, vincendo con 29” su Van Avermaet.
A quel punto la Roubaix lo aspetta e Gilbert accetta la sfida: «La Roubaix è come la Liegi, se le gambe sono buone sai di poter vincere. Il problema vero è la Milano-Sanremo, guardate Sagan, si presenta ogni volta da grande favorito e non la centra mai…».


Roubaix 2019: il ciclismo non è matematica…
Dopo l’apprendistato dell’anno prima, Gilbert a 37 anni centra il successo più inatteso della sua carriera. E lo fa alla sua maniera, con tre attacchi che sbriciolano il gruppo con il solo tedesco Politt che regge la sua scia ma che in volata al velodromo non è un ostacolo, quasi intimidito al cospetto di un tale campione. «Tutti mi dicevano che il pavé non fa per me – sentenzia davanti ai giornalisti – ma sapevo come trasferire le mie qualità di scattista. Nella vita, c’è sempre bisogno di sfide entusiasmanti per contrastare il trascorrere del tempo».
Resta solo la Sanremo, dov’era stato 3° nel 2008 e 2011. Ci prova, nel 2020 è nono, ma la Classicissima è corsa che sfugge a tutti i dettami pur avendo un percorso che è quasi un rituale. Con quell’unico buco nella sua carriera Gilbert inizia a fare pace. Ora cala il sipario, ma prima c’è ancora una frase regalata ai taccuini da ripetere perché racchiude in sé tutta la carriera del corridore di Verviers: «Io sono un “puncheur”, un attaccante. Se non rischi mettendo i tuoi avversari alle corde non vinci». Guardate coloro che vincono e entusiasmano ora, da Van Aert a Evenepoel, da Van Der Poel a Pogacar: quell’assioma lo hanno imparato a memoria…