Philippe Gilbert compirà 40 anni il 5 luglio e ieri, dopo due anni e mezzo senza risultati (l’ultima volta risaliva alla Vuelta del 2019), è tornato alla vittoria. Occasione è stata la Quattro Giorni di Dunkerque, in cui il vallone della Lotto Soudal ha conquistato giovedì la tappa di Mont Saint Eloi, una sorta di piccola Liegi, e ieri la classifica finale.
«Mi rende davvero felice – ha detto Gilbert, in apertura nell’immagine Photo News – ho passato due anni difficili con molti problemi e tempi duri (la doppia frattura del ginocchio non è stata facile da recuperare, ndr). Ma voglio chiudere la mia carriera ai massimi livelli. Non ho mai dimenticato cosa si deve fare per essere al top. Le Classiche sono state difficili per me, perché per motivi di salute non ho mai potuto allenarmi come previsto. Questa volta, con il tempo migliore e in una gara più breve, sono riuscito ad ottenere la vittoria. Grazie anche alla squadra, che è stata grande. Perciò, prima mi sposo, a fine mese. Poi per le gare successive sono molto ambizioso. Voglio vincere ancora un po’».
Abbondanza belga
Sarà che in Belgio hanno Van Aert ed Evenepoel (oltre a un’altra manciata di ottimi corridori), quando alla vigilia della Liegi ci trovammo con Gilbert a parlare della sua ultima Doyenne, la sensazione fu di trovarsi davanti a un grande campione cui nessuno si sarebbe sognato di chiedere più di quel che poteva dare. Una leggenda. Uno da ringraziare. Uno davanti al quale, al pari di Valverde, al via della Liegi i giovani corridori facevano quasi l’inchino. E nei commenti dei tifosi sui social, la gratitudine per le grandi emozioni prevaleva palesemente sull’invidia. Segno di equilibrio e rispetto.
Come in Spagna, dove pur dovendo attendere perché sboccino Ayuso e Rodriguez, nessuno si sogna di mandare a processo Valverde perché non ha vinto la Liegi. E intanto Alejandro va avanti leggero a correre con l’animo libero, nel segno del suo consiglio preferito: disfrutar bicicleta, goditi la bicicletta.
La scelta di Nibali
Al via di una tappa della Settimana Coppi e Bartali, in un mattino un po’ pigro e finalmente tiepido a Riccione, ci siamo ritrovati a parlare con Vincenzo Nibali.
Simone Carpanini gli aveva appena fatto una breve intervista (trovate ancora il video sulla nostra pagina Facebook) e così parlando con lui del più e del meno, c’è scappata la tipica frase di quando non ci si vuole svegliare da un bel sogno.
«Non so se sia davvero il tuo ultimo anno, ma per come stai e la sensazione che ancora in bici ti diverta, potresti anche valutare di non appenderla al chiodo».
Nibali è stato zitto. Si è fatto serio. E poi ha risposto.
«Hai ragione – ha detto – a volte ci penso anche io e forse lo valuterei. Il guaio è che non posso viverla come vorrei, perché ogni volta viene fuori che devo vincere il Giro e ogni volta mi mettete addosso delle pressioni che di anno in anno sono più difficili da sopportare».
Il vuoto alle spalle
Ha ragione. Magari qualche pressione il campione se la mette anche da sé, ma nell’Italia che non ha Van Aert ed Evenepoel, che ha una manciata di ottimi corridori disseminati in squadre straniere e non ha una grande squadra un cui farli crescere, attaccarsi al mantello del santo è la cosa che sappiamo fare meglio. Con grandi attese, grandi titoli, poco equilibrio e a tratti anche poco rispetto. Lasciamo stare poi la gratitudine…
Eppure, quando lo speaker della Liegi s’è messo ad annunciarlo in francese, non sono bastate le dita di due mani per tenere il conto del palmares. Nel suo francese plateale, lo speaker è partito dai due Giri d’Italia. Poi ci ha messo il Tour de France. Ha aggiunto la Vuelta. E poi ha calato in un ritmare da deejay consumato i due Lombardia, i due campionati italiani. E alla fine, da attore consumato, ha piazzato sul tavolo anche la Sanremo. Con quale coraggio si punta il dito?
La formula sbagliata
Come già scritto in più occasioni, è la formula italiana che non funziona. I talenti nascono e, al pari dei cervelli, sono costretti ad andarsene. Non ci sono alternative. E chi potrebbe effettivamente offrirne soffre della già citata bulimia. Mangiano e buttano via.
Perciò, dopo aver visto vincere Gilbert e in attesa che Nibali trovi il modo di fare brillare la sua classe, ci chiediamo se la Federazione abbia effettivamente le capacità per bloccare la deriva e se davvero Cassani sia sul punto di annunciare la sua squadra. Mentre la Eolo-Kometa cresce in modo convincente, la Drone Hopper-Androni recita il solito copione affidabile e la Bardiani-Csf macina da qualche anno corridori come noccioline, non avendo altro ci aggrappiamo anche noi al mantello del santo. Quello dello Squalo. E quello di San Davide da Solarolo, messo via con troppa fretta, nonostante il buono che ha realizzato e che avrebbe ancora potuto realizzare.