Pare che Robbert De Groot, responsabile tecnico del Visma Lease a Bike Development Team abbia detto chiaramente che se i suoi voti a scuola non saranno sufficienti, Segatta potrà fare a meno di presentarsi al ritiro di dicembre. E così il trentino, che con i libri ha un rapporto faticoso e niente affatto amichevole, dovrà mettersi sotto anche a scuola, rinunciando al suo proposito di abbandonarla.
Un altro italiano finisce all’estero e questa volta senza che sia uno del giro della nazionale. Il reclutamento sta diventando sempre più capillare e profondo e va da sé che quando ti convocano in quel quartier generale così importante, serva tanta follia per dire di no. Segatta è trentino come Moser e un’intervista pubblicata ieri sul Corriere della Sera ha raccontato benissimo quale fosse la molla che in quegli anni spingeva i ragazzi a cercare altre strade. Da quello che diventava prete per non faticare in vigna, a Francesco che riusciva a soffrire sulla bicicletta perché abituato alla ben più dura fatica dei campi. Qual è oggi la molla che spinge i ragazzi a cercare la fortuna su una bici?


Tutto troppo facile
Ci sono i valori fisici pazzeschi, che fanno dire ai fisiologi che hai un futuro già scritto. C’è l’esuberanza. Ma quando il gioco diventa veramente duro e intorno hai soltanto ragazzi con valori fisici altrettanto pazzeschi, a cosa attingi se dietro non ci sono fame, rabbia, amore, cultura? Immaginare di lasciare la scuola per dedicarsi allo sport, sia pure con il supporto di doti atletiche non indifferenti, è tipico degli adolescenti che scansano gli impegni noiosi per dedicarsi a quelli più eccitanti. Eppure la chiave della maturazione sta anche nella capacità di gestire gli impegni meno stimolanti. Prima il dovere, poi il piacere.
Forse il problema di tanti ragazzi italiani che negli ultimi anni si sono affacciati al professionismo sta proprio nella base che manca, nelle motivazioni e nel fatto che paradossalmente sia diventato tutto troppo facile. Ti misurano il cuore e i polmoni, il trasporto d’ossigeno e la qualità muscolare e decidono che sei pronto. Se madre natura ti ha dato tanto, vai avanti e poi si vedrà. Se madre natura ti ha fatto normale, però magari hai il carattere di un leone, non ti guardano neppure.


Le scelte e la fretta
Segatta ha accanto dei manager capaci di stilare il giusto elenco delle priorità. E pure la nuova squadra ha fatto capire che dell’istruzione non si possa fare a meno. Altri invece hanno rinunciato agli studi, puntando sul ciclismo senza considerare che un giorno saranno grandi e non avranno necessariamente messo da parte una fortuna. In qualche modo si sta tornando indietro a quando i ragazzi non andavano a scuola per aiutare le famiglie e vedevano nel ciclismo un modo più redditizio di farsi strada, rispetto ai mestieri più umili cui erano dediti.
Oggi la società è ovviamente diversa e pur essendoci tutti i presupposti per finire gli studi e poi dedicarsi allo sport, nel nome della fretta, dei consigli sbagliati e della paura che qualcuno prenda il tuo posto, ci sono ragazzi che mettono da parte il resto. In alcuni casi lo sport resta emancipazione rispetto a un quadro sociale difficile e in quel caso la scelta di investire sull’attività più redditizia resta ingiustificata, ma se non altro è più comprensibile.


La contabilità da tenere
Tuttavia quale sarebbe l’alternativa al partire? Quali squadre italiane si erano accorte di Segatta, ad esempio, proponendogli di correre in Italia per il 2026? Quante hanno accolto la proposta di valutarlo? Nella stessa scuderia ci sono stati due casi precedenti di grandi talenti fatti passare per piccole squadre e che poi hanno ottenuto i risultati migliori. Uno è Bernal, passato con Savio. L’altro è Pellizzari, che prima di arrivare nel WorldTour ha fatto un importante… scalo tecnico con Reverberi.
Forse tra le valutazioni da fare dovrebbe essercene una sul quadro d’insieme, che tenga conto della maturità dell’atleta, per scongiurare il rischio che un domani torni indietro, e delle sue necessità di vita. Non tutti sono pronti per partire. E anche se nei fatti non si tratta di vivere all’estero, ma di restare a casa, studiare, allenarsi e raggiungere il team per le gare, quel che si perde è la familiarità con i compagni e la possibilità di allenarsi quotidianamente con loro. La tovaglia è corta. Nel frattempo sarà opportuno tenere la contabilità di quelli che partono e di quelli che tornano, affinché la loro esperienza possa guidare nelle scelte future.