Il ciclismo non è uno sport per tutti e non lo è mai stato. Solo in un certo periodo, breve nel quadro complessivo ma che parve eterno, alcuni imbonitori persuasero anche atleti senza mezzi ad acquisirli in modo alternativo.
Nacque un ciclismo con differenti velocità e periodi blindati. Si andava forte per un arco limitato di settimane e ogni periodo aveva i suoi vincitori. Sembra passato un secolo. E se oggi Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel possono vincere in corse fuori stagione rispetto ai loro obiettivi è perché le qualità dei grandi corridori vengono fuori come quando si sfidavano da ragazzini e il più forte vinceva sempre.
L’esempio di Visconti
Probabilmente il fatto di essere in piena scrittura di un libro sulla storia di Giovanni Visconti sta suscitando continui paragoni. Il ciclismo non è per tutti e forse il percorso del campione palermitano ne è la dimostrazione perfetta. Il ciclismo richiede rinunce, quelle che Alfredo Martini non voleva mai chiamare sacrifici: se lo scegli, non è sacrificio.
Visconti (come pure Nibali un anno dopo) un giorno partì da casa e si trasferì in Toscana, ospite di un’altra famiglia. Non è facile a 16 anni: se ce la fai, hai evidentemente la determinazione che serve per fare il professionista. Occhio però, non è una lettura limitata al ciclismo: chiunque lasci casa per inseguire un sogno e farne un progetto ha bisogno di carattere e determinazione. Il mondo del lavoro non è meno spietato e cinico.
Il ritiro di Benedetti
Nei giorni scorsi ha fatto parlare il ritiro di Gabriele Benedetti, neoprofessionista nella Drone Hopper che, ancor prima di aprire le ali, stava chiudendo i battenti. Si è parlato di poco carattere, magari senza conoscerne la storia. Si è puntato il dito verso un ciclismo che illude i ragazzi e li spreme. Si è attinto nei commenti a una letteratura di sentito dire che non spiega, ma ingarbuglia.
Così oggi vi raccontiamo di un altro ritiro, certo meno illustre, ma che conferma la difficoltà di emergere ai massimi livelli e come il dilagare delle promesse facili anche nelle categorie giovanili – a volte anche da parte dei loro direttori sportivi – rischi di guastare il ragionamento di alcuni.
Si è ritirato Salvatore Florio, 18 anni palermitano, della Delio Gallina. Nella squadra di Cesare Turchetti lo ha mandato (assieme a Carlo Sciortino ) Giuseppe Di Fresco, tecnico del Team Casano Matec, e pare che il tecnico bresciano ne fosse soddisfatto. Eppure Florio, in cui Di Fresco credeva ciecamente, si è fermato.
I due diesse
Il suo diesse in Sicilia, Alessandro Mansueto, parla della difficoltà di fare il corridore in cambio di 2-300 euro, al punto che per vivere devi chiedere soldi ai tuoi genitori. E avendo a sua volta lasciato la Sicilia per correre in Toscana, ricorda che alla fine degli anni Novanta, un dilettante guadagnava molto più di adesso. Erano gli anni in cui le fatture venivano usate anche per altri motivi ed è quindi corretto ricordare che girassero più soldi. Oggi non si può più.
Di Fresco non ci sta. Si dice deluso perché in Florio credeva e per la figuraccia fatta con Turchetti, che lo ha chiamato apostrofandolo bruscamente. Conferma che il rimborso offerto al ragazzo fosse dell’entità indicata da Mansueto, ma ricorda che quando a sua volta salì nel 1994 in Toscana, partì da zero e lentamente convinse i suoi dirigenti. Precisa che la Delio Gallina si fosse impegnata a pagare i biglietti aerei per Florio, facendolo alloggiare in una casa, in cui doveva pensare solo ad allenarsi.
Ricorda i ringraziamenti del ragazzo per l’occasione e il fatto che, concluso il liceo, avrebbe potuto puntare solo sullo sport. Solo che, andato a casa per un mese dopo il primo ritiro del 2023, qualcosa si è inceppato ed è arrivata la decisione di smettere. Con le prevedibili rimostranze della nuova squadra, che ha investito sul ragazzo per poi ritrovarsi con nulla fra le mani. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe la recente scoperta di Florio di essere celiaco.
Intollerante al glutine
E Florio cosa dice? Ci risponde da Palermo, in attesa di partecipare a settembre alla selezione per l’Università e studiare materie sanitarie. Ringrazia la sua famiglia per avergli insegnato che nella vita serve comunque una cultura (ha concluso il liceo classico), che ti permette di attraversare meglio i momenti più complicati.
«Sin dall’inizio – spiega – ho sempre avuto valori del sangue molto bassi. Pensavo fosse anemia, invece circa tre mesi fa ho scoperto di essere intollerante al glutine. Ero appena passato nella categoria dei dilettanti, quindi cominciavo ad allenarmi seriamente. Tanti chilometri in rapporto a quel problema. Correvo già con 35 di ematocrito, continuare così non sarebbe stato opportuno. Perciò ho preferito fare sacrifici nel mondo del lavoro, studiando all’Università e creando il mio futuro in maniera diversa».
Pochi soldi
La celiachia nel ciclismo esiste, le abbiamo dedicato un articolo poco tempo fa in cui il dottor Giorgi spiega come sia possibile ugualmente avere prestazioni ai massimi livelli. Perciò spostiamo il discorso.
«Senza dubbio correre adesso è diventato veramente pesante – spiega Florio – si fanno troppi sacrifici pagati troppo poco. Io avrei voluto dedicare tutta la mia vita al ciclismo, ma come fa qualcosa a diventare il tuo lavoro se ti pagano 200 euro al mese? Anche questo sicuramente è uno dei motivi per cui non vale più la pena continuare. O si è campioni e allora finisci nel mirino delle squadre importanti e cominci a prendere qualche soldino, ma essere pagato così poco non ti fa venire la voglia di continuare. Perché magari vedi un calciatore che già alla nostra età prende 2.000 euro al mese. Invece nel ciclismo, che per me è uno degli sport più duri, si viene pagati troppo poco».
Testa, gambe e fortuna
Il ciclismo non è uno sport per tutti, ma non è che il mondo del lavoro sia poi tanto diverso. Le continental non sono squadre professionistiche. Corrono fra i pro’, ma non ne hanno le prerogative. E se a 18 anni entri in un’azienda per fare uno stage, nessuno ti pagherà mai per quelli che sono i tuoi sogni o i tuoi sacrifici. Si stringono i denti e si aspetta di arrivare a un contratto. Ecco perché tanti puntano a passare pro’ a 18 anni, persuasi da procuratori e tecnici che in un modo o nell’altro avranno pure la loro convenienza. E chi non passa, magari pensa di essere un fallito e molla.
«Chi mi conosce – dice Florio – sa quanti sacrifici ho fatto. Ho studiato e ho corso, ma ho avuto sfortuna. Sono sicuro che se fossi stato stimolato dal pensiero di lavorare e di guadagnare qualcosa di serio, sicuramente avrei provato a continuare, gestendo meglio la celiachia e continuando a sognare di passare professionista. Anche se sappiamo tutti che adesso è molto, molto difficile. Bisogna avere testa, gambe e fortuna. Se manca la fortuna, non si va da nessuna parte...».
Leggi, mastichi e ci ripensi. Da quale parte sarà la verità? Oppure, dando per scontato che tutti abbiano detto la propria, che idea vale la pena farsi?