Un tweet della scorsa settimana (dopo la quarta tappa e l’ennesima sfida fra Evenepoel e Roglic al Catalunya) su cui abbiamo rimuginato a lungo. Non tanto per il concetto, che si presta ad approfondimento, quanto per il suo autore: Manolo Saiz (foto Capovelo in apertura).
«Voy a hacer una crítica que espero deba ser constructiva porque no lo es malintencionada. Una carrera que en tres dias, por recorrido, solo tiene dos protagonistas, es que está muy mal diseñada, divertimento aparte!!».
Farò una critica, scrive, che spero risulti costruttiva perché non ha cattive intenzioni. Una corsa che in tre giorni, a causa del suo percorso, ha solo due protagonisti, è disegnata molto male, divertimento a parte!
Fuori dal gruppo
Manolo Saiz è stato per anni il grande capo della Once, squadrone schiacciasassi con la maglia gialla e nera e con un po’ di rosso, patrocinata dalla Lotteria dei Ciechi di Spagna. Già allora, ben prima di Sky e della Jumbo-Visma, Saiz poneva un’attenzione incredibile su posizioni e materiali. Ha scoperto e lanciato corridori come Contador, Purito Rodriguez, Zulle, Jalabert, Beloki, Rincon, Breukink, Olano, Sastre, Luis Leon Sanchez. Uno che di ciclismo ne ha sempre saputo tanto, forse anche troppo.
Nel 2006, Saiz e la sua squadra rimasero coinvolti nell’Operacion Puerto, in una delle pagine più brutte e malgestite dell’antidoping di tutti i tempi. E mentre negli anni sono fioccate le squalifiche per i corridori, Manolo non ha avuto condanne né sospensioni, salvo essere messo all’indice ed escluso negli anni a seguire dal ciclismo dei grandi. Per un po’ ha avuto una squadra di U23 e poi è uscito definitivamente, ma non ha mai smesso di seguire le corse.
La premessa è necessaria per dire che non era un ciclismo di santi e che comunque ciascuno di quelli che vi rimasero coinvolti ha pagato a suo modo un prezzo molto alto, ma ciò non toglie che il tema di quel tweet ci abbia fatto ragionare. E’ stato bello vedere ogni santo giorno Evenepoel e Roglic là davanti? E tutti gli altri? Così abbiamo chiamato Manolo Saiz e gli abbiamo chiesto di spiegarci il suo punto di vista.
Qual è il concetto?
Il concetto è che stiamo vivendo un ciclismo bellissimo. Ci sono cinque o sei corridori che lo interpretano in modo coraggioso. Questo però non significa che i percorsi di gara debbano essere fatti soltanto per esaltare loro.
Spiegati meglio, per favore.
La gara di un giorno può essere disegnata come vuole l’organizzatore. Può avere salite, può avere pavé, può avere muri, può avere quello che vuoi. Perché se il ciclista ha un guasto, domani o il giorno dopo avrà un’altra possibilità in un’altra gara di un giorno. Ma quando hai 6-7 giorni di gara come pure 21, i percorsi non possono essere ripetitivi. Non può essere che al Catalunya per cinque giorni i protagonisti siano stati sempre gli stessi due. Erano i più forti, ma perché le tappe erano uguali fra loro. Perché si vuole svalutare il ciclismo degli altri? Va bene, stiamo dicendo che ci sono dei corridori fortissimi, ma perché organizzare le corse solo per loro?
Come deve essere disegnata una corsa a tappe?
Non sempre i percorsi fatti per avere tanti consensi sui social sono attraenti per la qualità del ciclismo. Nel nome di questa, mi piacerebbe anche vedere Ganna all’attacco, oppure ammirare i velocisti o i migliori cronoman. In una settimana mi piacerebbe vedere situazioni di gara diverse da quelle create da questi pochi corridori. Secondo me è sbagliato che un organizzatore, che ha il privilegio di avere sette giorni a disposizione, pensi solo a pochi attori. Quel privilegio dovrebbe essere al servizio di tutti.
All’inizio hai parlato dell’influenza dei guasti meccanici.
Non mi piace che mettano ripetutamente muri estremi o tratti pericolosi e che nessuno pensi alle possibili conseguenze. La cosa importante in una gara a tappe è che le insidie siano fatte in modo che nessun corridore possa perdere la corsa a causa di un guasto o una caduta. Visto quante cadute ci sono? Ci riempiamo la bocca dicendo che vogliamo un ciclismo più sano, vogliamo un ciclismo più sicuro… Lo vogliamo e alla fine non lo stiamo facendo.
Stai facendo un discorso per lo spettacolo oppure pensi che su percorsi più vari quei pochi campioni siano più attaccabili?
Secondo me è un discorso a vantaggio dello spettacolo, perché questi fenomeni sanno muoversi anche su altre tipologie di percorsi. E’ un discorso per il ciclismo stesso, che ha bisogno di una maggiore varietà agonistica. Se questa non c’è, stiamo sbagliando.
Quali sono le conseguenze?
Anche se gli italiani non hanno più scalatori forti come prima, ci sono molte gare in cui il ciclismo italiano non lo vediamo. E non vediamo neppure il ciclismo spagnolo, che non è messo tanto meglio. Guardi la corsa e ti dici: «Diavolo, non può essere questo. Inizia la Ruta del Sol e ci sono tre tappe vinte dallo stesso corridore». Al Gran Camino le vince tutte un altro. Parlo di uno, però mi riferisco a questi 5-6 che possono vincere tutte le tappe. Onestamente penso che non sia giusto.
Cosa manca?
I percorsi di gara devono essere diversi. Deve esserci la media montagna e deve esserci una montagna dove puoi salire a 20 all’ora e una dove puoi salire a 30 all’ora. Il bello della salita sono l’attacco e il contrattacco. Se però metti un muro di 3 chilometri al 20 per cento, ognuno sale alla sua velocità ed è impossibile che ci siano attacchi e contrattacchi, perché vanno a 11 all’ora.
Come fare una Vuelta di soli Angliru?
Vale la pena avere una tappa come l’Angliru. E’ perfetto anche se c’è una tappa con il Mortirolo, ma non possono esserci sei tappe con il Mortirolo. Almeno questo è il mio modo di vedere il ciclismo: quello che penso sia utile per difendere lo spettacolo del mondo del ciclismo
Manolo Saiz va ancora a guardare le corse?
Quest’anno vorrei andare al Tour, ma non so avrò il tempo. Mi piace il Giro, ma mi piace soprattutto andare a vedere le corse dei dilettanti. Mi è sempre piaciuto il ciclismo di base.
La tua squadra di under 23?
Lo sponsor si è comprato il Real Racing Santander, per cui è passato al calcio. Non faccio più nulla nel ciclismo, serviva un colpevole e io ero l’utile sciocco. Qualche azienda importante che mi ha detto che con me sarebbe entrata, ma non se ne è potuto fare niente. Mi aveva cercato la Katusha, ma qualcuno gli ha fatto capire che era meglio lasciar perdere. Curiosamente gli stessi che hanno coperto altri corridori, come si sa bene…
Cosa fai per vivere?
Ho chiuso il ristorante. Sono tranquillo con la mia famiglia e per il momento Manolo Saiz nel ciclismo non fa più niente. Ho un’azienda che si dedica a Blockchain, Nftc e sicurezza internet con un socio, che è quello che se ne intende davvero. Passo parecchio tempo in questo e poi guardo tutte le corse alla televisione. Stiamo vivendo davvero un buon ciclismo. Quei cinque o sei sono straordinari, speriamo che gli costruiscano attorno uno spettacolo all’altezza. Il ciclismo ha bisogno di tutti.