Aveva un sogno e ci ha creduto fino in fondo. Mark Cavendish batte Eddy Merckx. L’inglese vince la 35ª tappa al Tour de France, mai nessuno come lui. A 39 anni, ha colto la sua vittoria numero 165, forse la più dolce.
Contro pareri contrastanti. Contro scetticisimi, per un certo aspetto anche contro le squadre che non lo volevano, Mark ce l’ha fatta. E anche per questo motivo questo è un successo a pieno titolo anche dell’Astana-Qazaqstan.
Fiducia Astana
“Progetto 35”, così era stato ribattezzato questo record, nasce l’anno scorso al Tour, ma finisce presto e nel peggiore dei modi: “Cav” cade e va a casa. Aveva già annunciato il ritiro dopo il Tour. Ma come detto, aveva un sogno. Sentiva che aveva ancora qualcosa da dare. Torna sui suoi passi e convince Vinokourov, manager dei turchesi, a tenerlo.
Vino accetta e rilancia. Gli porta anche Morkov, il suo storico apripista, e il preparatore di sempre: il greco Vasilis Anastopoulos e un diesse specifico, Mark Renshaw.
«In questo Tour la squadra era tutta per lui. Vinokourov gli ha messo a disposizione tutto quello che poteva per questa sfida», ci aveva detto Giuseppe Martinelli, uno dei diesse dell’Astana, pochi minuti prima del successo di Saint Vulbas.
Nella corsa
Prime montagne alle spalle. Anche la sorte tra le altre cose gli si era messa contro. Ricorderete il calvario di Cavendish nella prima tappa. Mal di stomaco e rincorsa al tempo massimo sin dalla prima salita.
Ma stava bene e ci stava con la testa. Ieri a Valloire quando ha tagliato il traguardo aveva le guance rosse, ma non era più stremato dei velocisti che aveva vicino o di quelli che erano arrivati prima di lui.
Oggi verso Saint Vulbas a rendere tutto più difficile, ma anche mitico, c’era anche la pioggia. Ma Cav, nonostante tutto, stava bene. Ha messo la squadra a tirare. Un lungo treno tutto per lui, come ai vecchi tempi.
Nello sprint è stato un funambolo a saltare da una ruota all’altra e quando gli si è presentato il varco a 250 metri ha aperto il gas definitivamente. La sua velocità era altissima. Lo stile quello di sempre. Fluido, potente, agile: si è schiacciato sulla sua Wilier e non ce n’è stato per nessuno. Neanche per lo sprinter numero uno del momento, Jasper Philipsen. Il belga gli ha preso forse un metro mentre era in scia, ma poi è rimasto lì. La storia è stata fatta.
Zanini ride
Intanto in casa Astana-Qazaqstan impazza la festa. Abbracci e pacche sulle spalle si susseguono senza sosta. Quasi non si vorrebbe lasciare l’arrivo.
«Questa vittoria è merito di tutti – spiega non senza un filo di commozione Stefano Zanini – ci abbiamo creduto ed era giusto farlo. La meritava tutta la squadra. Bravi tutti. Bravi i compagni di, bravo Cav ovviamente, bravo il preparatore, lo staff… In certe situazioni di tensione basta una scintilla e salta tutto e invece siamo rimasti tranquilli e compatti».
Zanini è un diesse ed è stato anche uno sprinter e certe sensazioni ti restano cucite addosso. Sa captare anche le differenze più piccole, interpretare i segnali del suo corridore, specie se questo è un velocista. E in questi giorni racconta di aver visto un Cavendish sempre sul pezzo.
«In particolare – va avanti Zanini – stamattina c’era un’insolita tranquillità al bus. Abbiamo fatto un bel meeting, con i video, le immagini, i vari file… ognuno ha detto la sua. Renshaw ha spiegato la volata e i ragazzi si sono mossi poi alla perfezione. Non abbiamo fatto nulla di diverso dal solito, ma devo ammettere che c’era un atmosfera piacevolmente rilassata, serena: questa sì che era diversa. Tanta lucidità, ecco forse è questo il termine giusto, ed è stato bello».
Esultanza “in differita”
Tutto pianificato dunque. Come detto Cavendish e compagni si muovono come devono. A parte per un breve momento in cui si perdono, ma anche lì sono bravi a ritrovarsi. Poi il resto è storia.
«Neanche l’abbiamo vista la volata. Non c’era la tv in quel momento – riprende Zazà – e lo abbiamo saputo qualche secondo dopo. Ad un tratto sono iniziate ad arrivare auto e moto alla nostra macchina. Tutti ci facevano segno col pollice, ci applaudivano… Allora lì abbiamo capito ed è scoppiato il boato.
«Quando è iniziato veramente “Progetto 35”? L’anno scorso… poi è successo quello che è successo, ma dall’inverno abbiamo ripreso un lavoro ben pianificato in tutto e per tutto. Ognuno sapeva quel che doveva fare. E anche in queste prime tappe, al netto del problema di stomaco avuto in avvio della prima frazione, già nella seconda metà della tappa stava meglio. Abbiamo sempre calcolato ogni chilometro. Ogni watt e ogni tipo di salita per non spendere un briciolo di energia in più. Davvero: questa è stata una vittoria di tutti noi».
“Cav” incredulo
E infine c’è lui, Mark Cavendish. Chiudiamo con le sue parole. Dopo aver portato anche l’intera famiglia sul podio, “Cannonball” racconta: «Non posso crederci. È stata una grande scommessa essere qui e provare a vincere. Una grande scommessa per il mio capo Vinokourov. Ciò dimostra che è un ex corridore e che conosce il Tour. Abbiamo fatto quello che volevamo. Ogni dettaglio in termini di materiale e compagni di squadra è stato adattato per lo sprint».
Tutti, ma proprio tutti i corridori vanno a complimentarsi con lui. Anche Pogacar, anche gli altri velocisti. I social in un attimo impazziscono. Per chi segue il ciclismo l’argomento è monotematico: un nome e un numero. Mark Cavendish e il 35.
«Normalmente mi ci vuole un po’ per entrare in certi meccanismi. Ormai so come funziona. Non mi piacciono le brutte giornate, ma devi affrontarle e aspettare la tua occasione. E noi l’abbiamo fatto. Oggi, anche se nel finale non tutto ha girato alla perfezione, i ragazzi hanno saputo improvvisare e mi hanno portato allo sprint in ottima posizione. Ci ho messo 15 Tour per arrivare sin qui».