«Sono gare che vanno fatte. Serve esperienza, devi conoscerle per affrontarle al meglio». Tra i debuttanti di lusso di ieri non c’era solo Primoz Roglic, ma anche il nostro Fabio Aru.
In effetti, per un motivo o per l’altro, il corridore della Qhubeka-Assos non aveva mai corso nelle Ardenne, aveva solo preso il via, senza finirla, all’Amstel Gold Race del 2016. Ma, come si dice, non è mai troppo tardi.


Vecchie care sensazioni
Non è mai troppo tardi, soprattutto se a fine gara hai un sorriso grosso così. Ti sei divertito, ti sei misurato e senti che finalmente sei sulla strada giusta. Quei fenomeni che sgomitano davanti, e di cui facevi parte, piano piano tornano a farsi più vicini.
Alla fine Aru ha tagliato il traguardo di Huy in 41ª posizione, ma quel che conta è che sia arrivato ai piedi del muro con il gruppo dei migliori.
E’ chiaro, non ha ancora la gamba per tenere testa a gente che in questi mesi viaggia su altri mondi e probabilmente questa non sarebbe stata la sua corsa, neanche se fosse stato il Fabio dei tempi migliori. Ma è meglio prendere quello che di buono c’è e guardare avanti, piuttosto che rimuginare sul quel che non ha funzionato o che poteva essere.


Come un neopro’
Al mattino, scambiando qualche parola, Fabio era entrato subito nel merito di una sua presunta partecipazione al Giro.
«Sinceramente – spiega Aru – rimango basito certe volte da quello che esce, da come vengono fuori le notizie, ma ormai ci sono un po’ abituato. Ho visto anche io che su alcuni siti davano la mia partecipazione al Tour of the Alps, che non era in programma, e poi anche al Giro.
«La nostra squadra ha questo nuovo metodo di comunicare la convocazione degli atleti sui social, tramite annunci fatti da alcuni fans un paio di giorni prima dell’evento e nessuno aveva parlato di queste corse. Per quello i nostri programmi non escono mai troppo in anticipo. Insomma era completamente errata questa news della mia partecipazione sia al Tour of the Alps sia al Giro d’Italia. Mentre avevo in programma queste classiche, Freccia e Liegi, che tra l’altro corro per la prima volta. E quindi debutto come un neopro’!».


Condizione in crescita
Nella stagione della ricerca degli stimoli, ci sta bene cambiare radicalmente le cose. Mettersi in gioco su terreni sconosciuti non solo è propositivo, ma evita anche eventuali paragoni, ricordi. E’ tutto nuovo.
«Sì, sì ci voleva questo! Non pensavo di essere così indietro. Ho perso veramente tanta continuità in questi anni e quindi c’è da lavorare, c’è da fare, c’è da correre, da far fatica sulla bici ed è quello che sto facendo».
A questo punto ci chiediamo se, vista la sua attuale condizione, fare gare di un giorno sia meglio da un punto di vista della fatica, per ritrovare il giusto colpo di pedale gradualmente. Magari le gare a tappe se non si è al top rischiano di affossarti. Ma con Michelusi, il suo preparatore, il piano è stato ben ponderato.
«In realtà stiamo facendo tutte e due, nel senso che ho fatto delle corse di un giorno in Francia a febbraio e altre a tappe successivamente. Finirò alla Liegi con 25 gare da inizio stagione più qualcuna di ciclocross. E’ un bel un bel blocco di lavoro, però era quello di cui avevo bisogno. Ho ancora tanti atleti davanti, ma non sono neanche lontanissimo dai primi. Ai Paesi Baschi, ad esempio, avevo 20 corridori davanti a me, tutti top rider, ma so che sto progredendo, il corpo sta migliorando gara dopo gara».


Verso l’estate
Con la Liegi-Bastogne-Liegi, si chiude quindi la prima parte del 2021 di Aru. In pratica ha già uguagliato quanto fatto lo scorso 2020, quando mise nel sacco appena 26 giorni col numero sulla schiena. Solo che stavolta la storia non finisce qui.
«Dopo domenica – dice Aru – farò un piccolo periodo di riposo per poi preparare appunto la seconda parte, l’estate. Mentalmente sono sereno e molto contento. Mi sto divertendo e questa è una cosa importante».
Non sappiamo se rivedremo il campione di San Gavino Monreale al Tour, ma se questa è la strada per ritrovare il suo talento ben venga. Il Tour o il Giro ci saranno anche l’anno prossimo. E comunque lui ha parlato di estate e ad agosto c’è la Vuelta.
Ma prima di andare ai bus: «A proposito, chi ha vinto?», ci chiede. «Alaphilippe – rispondiamo noi – e Roglic secondo». Lui fa un gesto col capo e scappa via.