Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti “all round” di questo Giro d’Italia. E’ andato forte dappertutto. Dalla pianura al mare. Dall’Ungheria alle Dolomiti. Fu Mark Cavendish stesso a ringraziarlo pubblicamente sulle sponde del Lago Balaton per la quantità e la qualità del lavoro svolto ai fini del suo successo. E nel giorno del Passo Fedaia, era ancora davanti a spingere.
A spingere anche se di certo quella della Marmolada non era la “sua” tappa. Sembrava quasi fosse un peccato sprecare quella buona condizione. Un peccato non sfruttare tutta quella gamba. E allora tanto valeva provarci, anche se sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Davide, come archivi il tuo Giro?
Mi dispiace di non aver vinto una tappa, questo è poco ma sicuro. Purtroppo ho passato la prima settimana e mezza con le gambe che non erano delle migliori. Le ho ritrovate verso la fine. Ma verso la fine le tappe erano veramente dure per me. Quindi – allarga le braccia – questo è quanto.
Nel giorno del Fedaia e anche verso Castelmonte hai fatto un super lavoro, col senno del poi sarebbe potuta andare diversamente spendendo meno?
Sì, potrebbe essere andata diversamente, ma io non starei a ripensarci troppo. Come ho detto, erano troppo dure per me tutte quelle salite, soprattutto l’ultima, il Fedaia, con le sue pendenze accentuate. Lì, il mio peso lo sento. Ho cercato di dare il massimo per Vansevenant, ma purtroppo lui non ha avuto una buona giornata. E’ andata così. L’importante è esserci, averci provato e aver avuto la gamba. E la stessa cosa vale con Mauro (Schmid, ndr), purtroppo questo è il ciclismo.
Quando vedi che riesci a fare delle ottime prestazione su percorsi che non sono i tuoi, cambia qualcosa nella tua testa? Si allarga lo spettro delle gare a te congeniali?
Dipende sempre da cosa prepari: una classica, una corsa in salita… Mi ricordo che l’anno scorso ad inizio stagione, quando pensavo alle classiche, ero sugli 80-81 chili, ma vincevo lo stesso. Sì, si può dire che sono aperto a molti tipi di percorso, ma non su quelli più specifici (tipo una tappa super piatta, o una di salita, ndr).
Appunto, vai bene ovunque…
Magari vado meglio in tappe un po’ mosse, però il problema è proprio questo: che vado forte un po’ ovunque. Per corridori come me, “mezzo e mezzo”, non è mai facile vincere. Se sei un velocista puro, dici: “okay, faccio la volata”. E nell’80-90% dei casi vinci e poi puoi recuperare. Se sei uno scalatore, se hai i watt giusti nelle gambe, prendi la salita, rispetti i tuoi parametri e sei certo di restare davanti. Uno come me invece deve cogliere l’attimo, deve stare bene al momento giusto e tutto è più complicato. Deve avere la giornata perfetta.
In effetti…
E anche nella fuga, devi avere la fortuna di trovare gli uomini giusti. Insomma non dipende del tutto da te. Non è facile.
Però in questi casi “ride” il team, che sa di avere l’uomo squadra perfetto…
Eh sì, la squadra ha sempre il jolly da giocarsi, ha la seconda carta, quella di riserva…
Specializzazione: bene o male?
Non sprizzava gioia il “Ballero” a Verona. Ed è comprensibile. Anche i percorsi, quando sono stati mossi forse restavano duri. Per uno come lui, la sola vera carta buona da spendere poteva essere nel giorno di Jesi, quando ha vinto Girmay. O Napoli, ma ci sta che un giorno non si riesca a prendere la fuga. O che, come ha detto lui stesso, nella prima parte di Giro non era brillante.
In ogni caso, parliamo di una tappa o due su 21. Sono i “problemi” del ciclismo moderno. Super specializzato.
Però è un peccato che un atleta come lui non abbia potuto avere più spazio. Davide si è mostrato generoso come pochi. E’ stato gregario anche nella fuga. E’ successo a Genova, a Castelmonte e sulla Marmolada. E negli altri giorni ha lavorato per Cav. Ha ragione lui, serve la giornata perfetta e soprattutto sapere cosa si sta preparando.
«Chi lo sa – conclude il “Ballero” – la ruota gira… L’importante è esserci… sempre».