In questo periodo si parla molto anche di “riassetti” dal punto di vista di salari budget, ma anche di punti e sponsor. Il circus del pedale cerca sempre di evolversi, di adattarsi alle nuove situazioni. I team manager si sono riuniti prima del Giro di Lombardia, per parlare del salary cap. Una mossa secondo la quale ci sarebbe un contenimento dei costi e al tempo stesso una ridistribuzione degli atleti più forti nei vari team. Questo garantirebbe più spettacolo: più corridori forti in più squadre.
Oggi ci sono pochissime squadre WorldTour che detengono la maggior parte dei punti, i budget più alti, gli atleti più forti… Questo alla lunga può essere un rischio per il ciclismo, qualora venisse meno il suo appeal, con gare di cui salvo imprevisti si sa l’esito sin dall’inizio e con pochissimi protagonisti.
Fortissimi o debolissimi
Un esempio concreto? UAE Emirates (escluso Pogacar) e Visma-Lease a Bike solo con i loro primi cinque corridori si collocherebbero al nono posto della classifica a squadre. Ripetiamo: solo cinque corridori. E per il team emiratino non abbiamo incluso Pogacar, che è una particolarità, sarebbe nono da solo!
Di fronte a queste sfide a cui è chiamato il ciclismo abbiamo interpellato Brent Copeland, team manager della Jayco AlUla, ma in questo caso e lo ribadiamo con forza, presidente dell’AIGCP, l’associazione che riunisce le formazioni professionistiche.
«Io – spiega Copeland – chiaramente ho la mia idea ma in questo caso rappresento i 35 team della Aigcp. Non decido io insomma».
Brent, partiamo dal salary cap.
Premesso che è tutto in divenire, proprio perché è un argomento delicato, non posso scendere troppo nel dettaglio. Abbiamo un buon gruppo di lavoro, con tante idee e ne stiamo parlando già da un po’.
Perché c’è questa esigenza di un salary cap, che qualcuno ha già criticato, o di uno strumento simile?
Perché bisogna creare quello che in inglese è chiamato level playing field, cioè creare un sistema che ponga i suoi attori su un livello più egualitario possibile affinché il ciclismo sia uguale per tutti. Sappiamo che non è facile, che ci sono team più ricchi e altri meno, team più capaci e altri meno, ma non dovrebbe esserci troppa differenza di base ed economica. Non andiamo contro le squadre più grandi o più numerose, sia chiaro.
Da chi nasce l’idea di appianare certe differenze?
Dall’UCI e dal suo board. Quando l’UCI vede che una, due squadre fanno una netta differenza, che riescono a prendere tutti i corridori più forti e a vincere le corse, scatta un campanello d’allarme e ne risente lo spettacolo.
Si tratta di sopravvivenza del ciclismo, anche se forse sopravvivenza è un termine un po’ forte?
Si cerca di equilibrare il livello senza rovinare la crescita del ciclismo. Questo è un aspetto molto importante. La prima cosa che noi vogliamo è quella di non spaventare gli sponsor che investono o vogliono investire nel ciclismo. Per questo prima dicevo che si tratta di un argomento delicato.
Quindi i vostri colloqui trattano anche di sponsor: li volete tranquillizzare con un riassetto di budget e magari di punti UCI?
Certamente, ma questo è il secondo punto. Il primo è quello dello spettacolo che può offrire il ciclismo, per far sì che le tattiche non ruotino intorno a una o due squadre, che ci possa essere più incertezza nell’esito delle gare. Il secondo punto riguarda gli sponsor. Noi dobbiamo stare attenti che gli altri sport non ci passino avanti e ce li portino via.
Spiegaci meglio…
In Formula 1 per esempio, ma anche nel calcio, sono stati introdotti dei budget cap e se investire per uno spazio su una maglia di calcio o su una vettura di Formula 1 non è più costoso come un tempo e nel frattempo da noi i costi continuano ad aumentare, per il ciclismo può essere un problema. Un altro aspetto poi non riguarda solo il salary cap fine a se stesso. Formula 1 e calcio, dobbiamo essere realisti, hanno un altro ritorno per i loro investitori e noi dobbiamo dare una garanzia a questi sponsor che investono sul ciclismo. Faccio un esempio.
Vai…
Se uno sponsor investe mille euro per 4-5 anni deve essere certo che quell’investimento mantenga il suo valore. Ma se poi l’anno dopo arriva uno sponsor che offre di più, i mille euro del primo non valgono più allo stesso modo. Perdono valore. Per questo servono dei cap. Chissà, magari anche in Italia in questo modo si muoverà qualcosa e le grandi aziende torneranno ad investire nel ciclismo.
Discorso afferrato: servono regole più chiare e che garantiscano stabilità e certezza d’investimento. Passando ad aspetti più tecnici si è parlato anche di un tetto dei punti, di una ridistribuzione dei corridori nei team. Cioè una squadra non può avere più di un “tot” di corridori con “X” punti…
Onestamente abbiamo un gruppo di lavoro molto buono ed esperto e non ne abbiamo ancora parlato fino in fondo. C’è stato qualche scambio di messaggi tra i direttori sportivi e direi potrebbe essere una buona idea. Ma come ho detto prima: l’importante è che ci sia più equità tra le varie squadre.
Urge una mossa
Certamente c’è da fare qualcosa, al netto di chi è pro o contro Pogacar, che ha cannibalizzato la stagione. Perché poi, inutile negarlo, questo tema che sì vige da tempo si è acuito quest’anno. C’è da fare qualcosa soprattutto sul fronte tecnico, dal nostro punto di vista, ed economico da quello dei manager che devono imbastire le squadre. Anche se poi a ben pensare le due cose vanno (e molto) a braccetto.
L’idea di trovare la maggior equità di cui parla Copeland, attraverso una regolamentazione dei punti UCI potrebbe non essere male e potrebbe al tempo stesso superare i limiti del tetto salariale, che in qualche modo sarebbe aggirato. Ma questa è solo una nostra supposizione.
Per sapere ufficialmente come proseguiranno i lavori, sarà necessario attendere la fine del prossimo novembre, quando l’AIGCP si riunirà di nuovo su questo tema.